Diritti / Attualità
Migranti riportati in Libia da nave italiana al lavoro per Eni
La Asso Ventotto ha sbarcato a Tripoli oltre 100 naufraghi. “Se confermato sarebbe un caso di respingimento vietato dalla CEDU” denuncia l’Asgi. La nave appartiene alla flotta dell’armatore Augusta Offshore, un capitano del quale sui social condivide fake news sui migranti
Il 30 luglio 2018, oltre 100 migranti partiti su un gommone dalle coste libiche sarebbero stati prima tratti in salvo da una nave italiana in acque internazionali e poi però respinti in Libia e sbarcati a Tripoli, e cioè in un luogo non sicuro. La nave in questione è la “Asso Ventotto” che in quella circostanza era “in assistenza alla piattaforma di estrazione ‘Sabratah’ della Mellita Oli & Gas”, joint venture tra l’italiana ENI e la compagnia nazionale libica. Asso Ventotto fa capo alla Augusta Offshore di Napoli, armatore che “da oltre trenta anni a supporto delle attività estrattive in mare del Gruppo Eni in Libia”, guidato da Claudio Descalzi che proprio il 30 luglio era in visita a Tripoli per incontrare il premier libico Fayez al-Sarraj.
“Se fosse confermato che la nave aveva chiesto il coordinamento dei soccorsi all’MRRC (Maritime Rescue Coordination Center) di Roma e quest’ultimo avesse declinato la propria responsabilità alla guardia costiera libica -denuncia l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, anche sulla scorta della ricostruzione fornita dal parlamentare Nicola Fratoianni di LEU, a bordo della nave della Ong Proactiva Open Arms-, quanto avvenuto si configurerebbe come un fatto gravissimo di cui le istituzioni italiane debbono essere chiamate a rispondere sussistendo pienamente la giurisdizione italiana sui fatti accaduti”.
Si tratterebbe infatti di un “respingimento collettivo di migranti”, vietato dalla Convenzione europea per i diritti umani (CEDU) e in evidente analogia con i respingimenti attuati nel maggio 2009 dal Governo italiano che furono poi condannati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo. “Ai migranti -continua Asgi- è stato impedito l’accesso alla protezione internazionale e sono stati condotti direttamente verso un territorio nel quale sono sottoposti a torture e trattamenti disumani e degradanti in violazione dell’art. 3 della CEDU e dell’art. 33 della Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati”.
Quell’operazione di soccorso si sarebbe dovuta concludere in un luogo sicuro -come prevede la Convenzione SAR-, inteso come “una località dove la sicurezza e la vita dei sopravvissuti non sia più minacciata, i bisogni primari (come cibo, alloggio e cure mediche) possano essere soddisfatti, e possa essere organizzato il trasporto dei sopravvissuti verso una destinazione successiva o finale” (Asgi, citando le Linee Guida IMO sulle persone soccorse in mare).
La Guardia costiera italiana ha diramato una dichiarazione stringata nella quale ha respinto la ricostruzione: “Le attività di soccorso si sono svolte sotto il coordinamento della Guardia Costiera libica che ha gestito l’intera operazione”. Come dire: Roma non ha giocato alcun ruolo. Quando abbiamo chiesto conto del coinvolgimento del MRCC italiano, la Guardia costiera ha sorprendentemente risposto inoltrando il comunicato stampa dell’armatore.
E ovviamente anche nella versione fornita da Augusta Offshore, il Centro di coordinamento del soccorso marittimo di Roma non compare mai. Nel pomeriggio del 30 luglio, Asso Ventotto si sarebbe trovata a “57 miglia marine da Tripoli, 105 miglia da Lampedusa, 156 miglia da Malta e 213 miglia da Pozzallo in Sicilia”. Il comandante avrebbe “ricevuto informazioni” dal “Marine Dept. di Sabratah”, imbarcato “rappresentanti dell’Authority libica”, poi sarebbe stato “affiancato” da “una motovedetta della Coast Guard libica” e si sarebbe diretto a Tripoli. “Non si sono verificati incidenti o proteste da parte dei migranti salvati -ha affermato l’armatore italiano- anche quando sono stati trasbordati sul battello della Coast Guard libica all’interno del porto di Tripoli”. “Appare talmente sorprendente da risultare poco credibile -secondo Gianfranco Schiavone, vice presidente di ASGI- che la nave commerciale battente bandiera italiana operante in alto mare, quindi sotto la giurisdizione italiana, abbia potuto operare in totale autonomia, sotto la guida di uno stato terzo, la Libia, senza che ciò sia stato concordato con l’MRCC di Roma”.
Nella conclusione della nota, Augusta Offshore ha aggiunto che dal 2012 le sue unità sarebbero state “impegnate in 262 operazioni SAR”, soccorrendo 23.750 persone e “interrompendo le normali operazioni commerciali per un totale di 137 giorni, pari a circa 5 mesi”.
Il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli ha dichiarato di essersi “coordinato con l’ammiraglio comandante della Guardia costiera”, aggiungendo che “il fatto è avvenuto in acque Sar libiche, dove secondo le norme internazionali è la Libia a dover coordinare le operazioni. Tutto è avvenuto nel perfetto rispetto del diritto internazionale”. Il disegno, dunque, è dare formalmente competenza (o mano libera) ai libici. Ecco perché il giurista Fulvio Vassallo Paleologo, esperto di Diritto internazionale, ha parlato di un atto “frutto dell’attuazione degli accordi con la Libia dello scorso anno e rafforzati quest’anno, che hanno portato alla creazione di una zona SAR libica”. Su questo –come abbiamo ricostruito a fine giugno– il contributo italiano ed europeo è stato decisivo. E il paradosso di un centro di coordinamento SAR di un luogo “non sicuro” è stato ben fotografato dalla professoressa Francesca De Vittor.
Torniamo all’Augusta Offshore. Nel 2018 le sue navi sarebbero state impegnate in 15 operazioni SAR, compresa una compiuta a metà marzo di quest’anno da un’altra sua imbarcazione, la Asso Trenta (e non la Ventotto), di cui abbiamo però copia del verbale sottoscritto dal comandante Pierluigi Galano. In quell’occasione Asso Trenta soccorse 62 persone (58 uomini, 4 donne) poi trasferiti a bordo della nave Aquarius della Ong SOS Mediterranée.
Galano -che mentre scriviamo non sappiamo se fosse al comando della Asso Ventotto- si è distinto su Facebook per aver condiviso contenuti alquanto problematici, comprese vere e proprie fake news sulla famiglia dell’ex presidente della Camera, Laura Boldrini. Come quello della pagina “Dimissioni e tutti a casa”, che recita testualmente “Questo ‘migrante’ ospitato nel CARA di Mineo, arrivato in Italia grazie alle varie operazioni volute dalla sinistra e dalle coop che ci guadagnano con l’accoglienza, ha sgozzato lui e buttato lei dalla finestra, uccidendo questa coppia di pensionati per derubarli. Tu che continui a votare PD… Non ti fai un po’ schifo da solo?”.
© riproduzione riservata