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Economia / Opinioni

Mes: a quali condizioni?

© Chiristine Lagarde - Unsplash

L’Italia deve stare nel perimetro europeo, senza strappi, lavorando perché la monetizzazione del debito si ampli. Altrimenti sarà difficile dire no a quei fondi. La rubrica “Il dizionario economico dell’ignoto” di Alessandro Volpi

Tratto da Altreconomia 233 — Gennaio 2021

Sembra molto evidente che, in questo momento, nell’ottica della Commissione europea la questione della riforma del Meccanismo europeo di stabilità (Mes) -uno degli acronimi più ricorrenti del nuovo lessico economico- serve, in primo luogo, per avere una rete di salvataggio nel caso di crisi bancarie; diventa possibile infatti, dopo tale riforma, utilizzarne le risorse come strumento per finanziare il fondo di salvataggio bancario. Il timore di un forte aumento delle sofferenze creditizie è assai alto, in particolare per molte grandi banche europee, a cominciare da quelle tedesche; dunque la volontà di chiudere la riforma si lega in primis a una simile esigenza. Sarebbe difficile infatti procedere ad aumenti di capitale necessari per coprire le perdite perché indebolirebbero la corsa delle Borse che, in questo momento, sono vitali per le banche quotate, impegnate a difendere i prezzi dei loro titoli e i propri dividendi, su cui alcuni istituti puntano anche per procedere a importanti acquisizioni.

C’è poi la necessità di “garantire” l’enorme mole di liquidità che la Banca centrale europea sta producendo e, ancor di più, produrrà nei prossimi mesi, visto il crollo del Prodotto interno lordo di numerosi Paesi. Il debito di alcuni Stati membri, e tra questi in particolare l’Italia, è esploso e di fatto è stato monetizzato senza procedere ad alcuna riforma degli statuti della Bce. La paura diffusa in alcune cancellerie, e nel board della Bce, è che i mercati, appena esaurita l’onda d’urto della pandemia e appena avviata una ripresa che sarà diversificata per i vari Paesi, possano punire l’euro; di qui l’esigenza di dare un segnale forte con i vincoli di ristrutturazione del debito e con una possibile distinzione fra Paesi virtuosi e no. Naturalmente tutto ciò ha anche un valore politico interno per i Paesi “frugali” contrari alla monetizzazione del debito; la presidente della Bce Christine Lagarde sta seguendo Mario Draghi nel cambiamento di natura della Bce e questo non è digeribile da tutti.

1.700: nei primi nove mesi del 2020 in Italia i depositi hanno superato i 1.700 miliardi di euro. La liquidità sui conti correnti è cresciuta di 32 miliardi di euro

L’Italia ha ritardato a lungo la riforma del Mes e, nel frattempo, ha usufruito più di altri degli acquisti della Bce attraverso la Banca d’Italia. Chiedere che la modifica delle regole di questo meccanismo vada di pari passo con il pacchetto complessivo, che comprende anche la garanzia “universale” dei depositi e che non preveda vincoli di ristrutturazione è giusto, ma quanto è praticabile nelle condizioni italiane? In questo momento il Tesoro colloca i propri titoli, indispensabili per finanziare l’imponente spesa pubblica, a tassi quasi negativi che non hanno spread nei confronti della Germania. Non possiamo illuderci che il debito italiano sia coperto, almeno in tempi brevi, da risparmiatori e investitori istituzionali italiani, anche se in tale direzione occorre muoversi con strumenti ad hoc, come dimostrano i numeri.

A ottobre 2020 la liquidità sui conti correnti è cresciuta di 32 miliardi di euro e i depositi hanno superato i 1.700 miliardi di euro nei primi nove mesi dell’anno appena trascorso; le somme in banca delle imprese sono lievitate infatti del 21%, sfiorando i 365 miliardi di euro mentre i risparmi sui conti correnti delle famiglie, circa 1.080 miliardi di euro, sono saliti del 3,4% da gennaio a fine settembre. Tali risorse devono essere messe in gioco ma, in questa fase, l’Italia deve stare nel perimetro europeo, senza strappi, lavorando perché la monetizzazione del debito si ampli ulteriormente (l’inflazione è a -0,3% e il rapporto euro-dollaro si colloca all’1,2). Solo così sarà possibile non ricorrere ai fondi Mes per la sanità perché se l’Italia strappa, i nostri titoli avranno maggiori difficoltà, i tassi saliranno e allora sarebbe davvero difficile dire no a tali fondi.

Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento

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