Diritti / Intervista
La scuola che cura, parola di preside
Intervista alla scrittrice e dirigente scolastica Mariapia Veladiano, prima in Italia ad aver fatto ricorso al giudice del lavoro contro la reggenza di un secondo istituto. Una scelta attenta ai diritti degli studenti, in difesa della scuola come luogo di cura e accoglienza. Dove preparare i giovani a costruire una società aperta
La scrittrice Mariapia Veladiano è preside all’istituto Boscardin di Vicenza: frequentato da 1.320 studenti, riunisce un liceo artistico con cinque indirizzi (multimediale, architettura, design, scenografia, plastico-pittorico) e un tecnico tecnologico con due indirizzi e 29 laboratori. Per questo anno scolastico le è stata affidata la reggenza del comprensivo di Altissimo (VI), una località di montagna a 60 chilometri dalla città, dove dovrebbe prendersi cura di altre due sezioni della scuola dell’infanzia, quattro della primaria e due della scuola media.
“Ho aperto un contenzioso con una parte del mio mondo”, ha annunciato su La Repubblica lo scorso 18 settembre, quando ha deciso di fare ricorso al giudice del lavoro contro la reggenza. È la prima preside in Italia a prendere questa strada e le motivazioni partono dal contratto stesso dei dirigenti, come racconta ad Altreconomia: “L’istituto della reggenza è considerato dalla legge straordinario e temporaneo, ma da anni è di fatto diventato ordinario”. Quest’anno, quasi il 50% delle scuole italiane è in reggenza, con picchi molto alti (90%) in Veneto e Friuli, “e quasi il 100% nella provincia di Vicenza, dove lavoro”, sottolinea.
La coperta corta della “razionalizzazione” scolastica sta svelando un progetto fallimentare di accorpamento degli istituti, che lede i diritti degli studenti e la dignità dei lavoratori della scuola, a favore delle casse dello Stato.
MV Siamo dirigenti di istituti sovradimensionati, con un numero di studenti superiore a quello previsto dalla legge. “Razionalizzando”, ovvero accorpando le scuole, si sono uniti mondi talvolta molto diversi tra loro, generando una complessità che non è stata gestita. In Italia ci sono circa 8.100 scuole e 6mila presidi; significa che quasi 4mila scuole hanno dei presidi “a metà”. Neppure l’ultimo concorso del 2011 ha coperto tutti i posti vacanti e nel frattempo, mentre le scuole si ingrandivano, ci sono stati molti pensionamenti. A monte c’è una cronica mancanza di capacità previsionale da parte del ministero dell’Istruzione, che riguarda non solo i dirigenti scolastici, ma anche gli insegnanti e i servizi amministrativi. Basti pensare che l’attuale concorso per presidi prevede 2.416 nuovi dirigenti che dovrebbero entrare in ruolo nel 2020, ma secondo uno studio della Fondazione Agnelli ne servirebbero almeno un migliaio in più. Certo, quella delle reggenze è una pratica che permette un bel risparmio per lo Stato. Infatti, se un dirigente scolastico costa in media 50mila euro lordi l’anno (2.500 al mese netti), per una reggenza il costo si riduce a meno di 5mila euro annui (350 euro al mese netti). In questa situazione, il ripristino degli incarichi di presidenza -adottati fino al 2012 e poi aboliti- potrebbe essere, se non una soluzione, un modo transitorio di far del bene alla scuola nel mentre che si lavora per uscire dall’emergenza.
Nella lettera che il primo giorno di scuola ha dedicato ai suoi studenti ha scritto “a scuola costruiamo una comunità”. Perché ritiene che l’istituto della reggenza non favorisca questa costruzione?
MV Tutto dipende da che idea abbiamo di preside. Se pensiamo a una persona che firmi, deleghi, gestisca bilanci e sia responsabile della sicurezza della scuola, non c’è altro da aggiungere. Ma se, al contrario, abbiamo in mente una figura capace di conoscere il mondo della scuola, di presidiare la didattica, di prendersi cura delle relazioni con i genitori e che sia presente fisicamente a scuola, si apre il dibattito. Sono profondamente convinta che il preside debba essere una persona capace di costruire una comunità educativa a scuola, giorno per giorno, entrando nelle dinamiche degli studenti, dialogando con i docenti, relazionandosi con le famiglie. E che sia presente anche nelle interconnessioni tra questi mondi. Alcuni aspetti, infatti, non sono delegabili ad altri da parte di chi ha amore per la scuola. Bisogna essere presenti e trovare, anche nella scuola, il tempo della cura.
Parlando delle reggenze lei ha fatto emergere il tema del ruolo e delle responsabilità dei dirigenti scolastici, ma anche su altri fronti siamo molto lontani dal parlare di un sistema scolastico che sia davvero “buono”.
MV Il problema infatti è molto più ampio, gestionale. Manca un pensiero complessivo sul mondo della scuola, una riflessione che spesso dimentica di dover affondare le sue radici nei diritti degli studenti. Pensiamo agli insegnanti. Ogni anno tutti i docenti possono fare domanda di trasferimento. In pratica tutto il personale potrebbe, ogni anno, sparire dalla scuola dov’erano fino a giugno. Ma gli esiti di queste richieste e le graduatorie definitive non arrivano mai per l’inizio della scuola. Si genera un paradosso: c’è una specie di “iper protezione” dei diritti individuali dei docenti che tuttavia non tutela nessuno, poiché genera uno stato di perenne incertezza, sia per gli insegnanti sia per gli studenti. Il meccanismo dei trasferimenti poi è così ingarbugliato da prestarsi a errori anche in buona fede e così finiamo per perdere di vista che un fatto fondamentale: il bene della scuola è tutelare i ragazzi. È il triste risultato dell’eterna rincorsa dei problemi della scuola in un’ottica emergenziale, anziché costruire un pensiero di lungo periodo focalizzato sui ragazzi. Questo percorso richiede tempo: il tempo per ascoltare, confrontarsi, accompagnare, dialogare con loro e anche con i genitori. Un lavoro pedagogico senza le famiglie, infatti, è impensabile. Serve il tempo di prendersi cura, esserci per offrire gli strumenti culturali attraverso cui esprimersi e saper interpretare la realtà.
“Qui a scuola ciascuno è una persona piena di valore e di diritti, quali che siano i suoi voti. In ogni momento della vostra vita di scuola siete persone chiamate ad essere felici, per quanto possibile felici”. È l’invito che ha fatto ai suoi studenti all’inizio dell’anno scolastico. Riusciremo a costruire una scuola felice?
MV È come stare in un giardino. Se c’è un mondo nel quale i rapporti umani e sociali si stanno desertificando, dove prevarica l’aggressività, il mondo della scuola deve avere la forza di destrutturare questa realtà e preparare i ragazzi ad avere strumenti per affrontare la vita in modo diverso. Nessuno sta bene arrabbiato, l’ho scritto anche a loro. E la scuola, attraverso il tempo della cura, dovrebbe far sapere che si può vivere in relazione, anziché in guerra, liberandosi dal mito della prestazione e del successo per diventare uno spazio di accoglienza delle diversità. Se ci si pensa un attimo, è questo l’unico luogo dove arrivano proprio tutti: italiani, migranti, ricchi, poveri, non italiofoni, nati qui oppure altrove. Ed è qui che imparano a convivere. Se sapremo costruire questa convivenza nella scuola, insegnando ai ragazzi a costruire comunità, tuteleremo la società del futuro.
© riproduzione riservata