Interni / Intervista
Maria Molinari, Giacomo Agnetti. Migranti in Appennino
La montagna non è mai stata lo spazio immobile delle tradizioni. Lo dimostrano le testimonianze degli stagionali che ogni anno si spostavano per svolgere lavori umili che però permettevano loro di conoscere l’Italia e il mondo. Nel libro illustrato “Al di là e al di qua dei monti” cinque storie raccolte a Berceto (PR)
“Al di là e al di qua dei monti” è un libro illustrato che raccoglie le testimonianze di uomini e donne protagonisti di storie di migrazione stagionale dall’Appennino parmense. I due autori -Maria Molinari e Giacomo Agnetti- hanno intervistato mondine, segantini (tagliatori di boschi), carbonai, donne a servizio, mulattieri, disegnando poi le loro vicende. Lo hanno fatto nell’ambito di un progetto voluto dal Comune di Berceto (PR) e finanziato dalla Consulta degli emiliano-romagnoli nel mondo.
Il loro racconto abbraccia un contesto locale ma ha un carattere territoriale e per questo anche valenza nazionale, poiché approfondisce dinamiche che hanno toccato tutto l’Appennino fino al secondo Dopoguerra, “anche se l’ultimo mulattiere di Berceto io me lo ricordo, negli anni Novanta, quando avevo una decina di anni. Si chiamava Badì e scendeva con tre muli dal poggio”, ricorda Maria Molinari. Laureata in Antropologia culturale ed etnologia all’Università di Bologna, ha lavorato quindici anni nel campo dell’accoglienza dei migranti in contesti cittadini e poi montani. Oggi, nell’ambito di un dottorato dell’Università di Torino, sta portando avanti la sua ricerca nel territorio di Calestano, un Comune dell’Appennino parmense dove il 21% della popolazione è di origine straniera.
I portatori dei ricordi -a cui la matita di Giacomo Agnetti ha regalato la forma di una graphic novel– sono in molti casi gli ultimi testimoni, ormai molto anziani, di un tempo che è parte della società presente, quella in cui viviamo. “Questo lavoro si inserisce in un doppio dibattito, quello legato alla presenza di immigrati in montagna -una presenza reale da un po’ di anni- e al fatto che i giovani italiani iniziano a tornare a popolare le aree interne. A noi due, che viviamo in Appennino, l’idea che molti hanno di una montagna statica ci sembra un po’ bizzarra e parlando con i nostri paesani abbiamo scoperto che molti affrontavano una ‘mobilità’ stagionale che era normale e per molti si ripeteva ogni anno”, racconta Maria.
“Al di là e al di qua dei monti” risponde anche a un’esigenza privata: i turisti che arrivano ogni anno in estate ad aprire le imposte delle seconde case di Berceto (PR) e della sue frazioni si stupiscono che Giacomo -illustratore e regista di cartoni animati e di documentari in tutto il mondo, docente di Cinema digitale all’Università Iulm- e Maria siano dei viaggiatori, perché stona con la loro lettura stereotipata della montagna secondo cui i montanari non possono essere anche turisti e viaggiatori, esploratori del mondo. “Questo libro ci permette di raccontare una mobilità cui la Storia non ha mai prestato attenzione, fatta di tante piccole storie individuali che rappresentano comunque masse di persone in movimento. Un’emigrazione che non è solo quella epica, verso gli Stati Uniti o il Sud America, ma fatta di tanti viaggi di andata e ritorno, ad esempio verso le risaie del vercellese oppure oltre il crinale dell’Appennino, in direzione Lunigiana e Liguria. Un movimento continuo che silenziosamente ha caratterizzato da sempre la nostra montagna e più in generale quella italiana”, riprende Maria. Elementi che aiutano a sfatare il mito di un mondo contadino rappresentato come società legata alla terra in modo stabile. Senza possibili letture alternative, nemmeno oggi, perché al cittadino piace l’idea “di una montagna statica, quasi una ‘garanzia’, una certezza offerta alle persone che arrivano da fuori, un luogo fermo perché lì si preserva la tradizione”, suggerisce Maria.
Il libro “Al di là e al di qua dei monti”, pubblicato da Mup-Monte Università Parma Editore, può essere scaricato dal sito di “Casa d’Augusto”, museo vivente di comunità, nato per raccogliere la memoria collettiva della comunità di Berceto
Eppure, non è così. Lei e Giacomo raccontano lo stupore dei turisti che accompagnano (entrambi sono anche guide ambientali ed escursionistiche) a Corchia, una frazione di Berceto, per visitare il museo di Martino Jasoni: raccoglie le opere di un migrante bercetese che ha passato l’infanzia, l’adolescenza e la prima maturità a New York, diventando pittore dopo aver studiato arte con Walt Disney e il vignettista Otto Soglow, uno dei fondatori del New Yorker. Jasoni tornò a casa a 23 anni ed è singolare che il sito dell’assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna -forse per questo motivo- lo definisca pittore sfortunato.
Di quel periodo di migrazioni stagionali mancano immagini, una delle motivazioni che hanno portato Giacomo a disegnare le storie raccolte: “Probabilmente questa Storia non esiste perché è stata documentata in modo frammentario e orale, le immagini che ho trovato sono davvero poche. Era per me fondamentale, però, dare forma ai racconti, permettere ai lettori di vedere”, spiega. È stato importante, aggiunge “conoscere le persone che ci raccontavano le storie, almeno un paio delle quali fanno parte della mia famiglia. Alcuni elementi, poi, sono quelli del mio quotidiano, i boschi, i cavalli, dormire all’aperto. Quando mio zio, mulattiere, mi raccontava delle notti passate a dormire all’interno di un basto, sapevo portare nel racconto i rumori notturni, elementi che aiutano a calare il lettore dentro la storia”.
“Questo libro racconta una mobilità cui la Storia non ha mai prestato attenzione, fatta di tante piccole storie individuali che rappresentano masse di persone in movimento”
Tra le storie del libro è importante quella dei segantini che andavano in Corsica a lavorare nei boschi. “Erano talmente specializzati che i tagliatori erano conosciuti come Bercetini”, racconta Maria. Nel febbraio del 1927, al Col de Vert, una tragedia causata dalla neve causò la morte nel bosco di una dozzina di segantini arrivati dall’Appennino. “Una vicenda utile a identificare dinamiche che legano le migrazioni di allora a quelle di oggi: i tre quarti dei caduti avevano lo stesso cognome. C’era uno che andava avanti e poi chiamava tutti quanti, come avviene oggi. Ma ce le siamo dimenticati e sembra di raccontare una dimensione parallela”, dice Maria. “Queste storie le raccontano persone esistenti, ma sembra che ti parlino di un altro Pianeta” sottolinea Giacomo. Sono donne e uomini con età media sopra gli 85 anni. Alcuni purtroppo non sono più in grado di ricordare, come quell’uomo che ha fatto lo scaldino a Parigi, faceva cioè funzionare le caldaie a carbone che riscaldavano la città. Giacomo e Maria sono stati contattati dalla nipote. Tra la fine delle interviste e la pubblicazione del libro, invece, è morta Brandina, andata a servizio giovanissima prima a Baganzola poi a Parma e quindi di nuovo a Baganzola, dov’è rimasta a vivere.
“Una vicenda utile a identificare dinamiche che legano le migrazioni di allora a quelle di oggi […]. Ma ce le siamo dimenticati e sembra di raccontare una dimensione parallela”
“Alcune storie sono saltate per esigenze di spazio nel libro, ma sono a mio avviso significative, perché raccontano di chi arrivava dalla Lunigiana per la raccolta delle castagne a Corchia, e delle nostre nonne, le ‘lombarde’ che andavano a fare la raccolta delle olive giù, oltre il crinale”, racconta Maria. E se alcuni non hanno voluto parlare, per non tornare ad aprire una sofferenza e una ferita mai completamente rimarginata, “la sensazione che abbiamo raccolto -spiega Giacomo- è che tutti, pur combattuti o tristi di fronte all’esigenza di partire per campare, erano mossi anche da una sana curiosità, che li spingeva ad andare per il mondo, fosse anche la città di Parma, alla scoperta”.
“Questo libro, come ogni libro o documentario, offre una visione parziale. È una fotografia e il fotografo sceglie cosa scartare e cosa inquadrare. È il racconto di persone e di un tempo mitico, al quale dobbiamo rendere giustizia. Quando dico questo mi riferisco all’esigenza di raccontare che ‘noi dell’Appennino ci muovevamo più che quelli di pianura’, perché spesso in città uno non aveva bisogno di spostarsi”, conclude Maria. Oggi in Appennino la sua vita e quella di Giacomo non sono molto diverse da quelle raccontate nel libro: “Si lavora intensamente nei mesi di luglio e agosto e poi in inverno si va quasi in letargo. Anche se questo ritmo non dipende più dal raccolto, il nostro lavoro e quello di molti in Appennino è ancora stagionale. Ed è ancora mobile”.
Giacomo Agnetti e Maria Molinari sono tra gli organizzatori del Piccolo festival dell’antropologia della montagna (Pfam), che dal 2016 si tiene a Berceto. Il prossimo appuntamento è il 29 e 30 ottobre 2022
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