Cultura e scienza / Intervista
Manuel Ferreira. Teatro a cuore aperto
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La compagnia teatrale âAlma RosĂŠâ in oltre 20 anni ha raccontato la crisi economica e la societĂ , portando i suoi spettacoli anche fuori dai circuiti tradizionali, a partire dalle scuole
“Portiamo in giro il nostro spettacolo sulla crisi argentina del 2001, âGente come unoâ, dal 2003. In 15 anni e 500 repliche non abbiamo cambiato una parola, il testo è ancora attualissimo. Io credo che a volte gli artisti vedano le cose con anticipo, magari inconsapevolmente. Ă una sorta di intuizione. Solo dopo capisci che la storia che hai raccontato è universale. Servono anni ed esperienzaâ.
Manuel Ferreira, attore e autore teatrale, ha 54 anni. Ă nato a Buenos Aires dove si è diplomato come attore e laureato in Economia e commercio. Dal 1992 vive a Milano: qui nel 2000 si è unito alla compagnia âAlma RosĂŠâ, fondata nel 1997 dalle attrici, autrici e registe Annabella Di Costanzo ed Elena Lolli. La compagnia prende il nome da quello della violinista austriaca deportata dai nazisti nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau che, per dieci mesi, diresse unâorchestra di prigioniere che suonavano per i loro carcerieri per sopravvivere. Ancora oggi Alma RosĂŠ porta in scena âCâera unâorchestra ad Auschwitzâ in occasione della Giornata della Memoria del 27 gennaio. âPer ricordare che nelle storie delle persone tutti hanno i propri motivi, le proprie emozioni, e i âcattiviâ alcune volte non sono consapevole del danno che producono. Quando generi odio il confine della coscienza è molto sottileâ.
Dopo lo spettacolo sulla crisi avete raccontato le fabbriche recuperate con âFabricasâ, dieci anni fa. A dicembre siete tornati in Argentina per capire che cosa è cambiato in questi anni.
MF Quando ci recammo lĂŹ trovammo operai molto affaticati dallâattenzione mediatica che ricevevano: âDobbiamo lavorare!â, lamentavano. Ma il racconto delle occupazioni era sempre lo stesso. A noi interessava il vissuto personale, e questo ruotava e ruota ancora tutto attorno al tema della dignitĂ , e del lavoro che la garantisce. Una societĂ che non difende la sua parte attiva perde la propria dignitĂ . Un Paese che difende le rendite di posizione e i diritti acquisiti è un Paese sterile. Valeva per lâArgentina di allora, vale oggi e vale per tanti Paesi, Italia compresa. Tempo fa portammo lo spettacolo, tradotto in spagnolo, in tournĂŠe anche lĂ : ci furono reazioni contrastanti. Le persone tendono a rimuovere, lâoblio prende il sopravvento sulla memoria. Oggi in Argentina -che arriva sempre qualche anno prima- vedo unâacutizzazione dellâodio, della tifoseria, una polarizzazione e radicalizzazione che pretende un ânoiâ contro qualcosa che non si sa mai che cosa sia. LâItalia è su questa strada.
Ă anche per questo che lavorate nelle scuole
MF Otto anni fa abbiamo iniziato a fare teatro con bambini di quattro anni, che nel frattempo sono cresciuti. Lâultimo spettacolo che abbiamo realizzato ha portato in scena 175 di quei bambini recitanti ma che oggi hanno 11 anni, 22 maestre e numerosi genitori. Il teatro è innanzitutto un elemento di unione, e non è facile farlo capire alle istituzioni. La coesione sociale si fa anche cosĂŹ. Oggi la scuola non interessa a nessuno perchĂŠ non si arriva piĂš agli adulti attraverso i loro figli, e quindi la politica la ignora. Eppure la scuola è un volano eccezionale, dove si insegnano tolleranza, etica, valori, democrazia. Nellâautunno 2018 abbiamo realizzato un lavoro coi bambini di quarta e quinta a partire dagli archivi della scuola Stoppani di Milano. La consideriamo una scuola del centro cittĂ , ma nel secondo dopoguerra era un quartiere povero, a scuola ci si veniva anche per lavarsi. Abbiamo recuperato e letto i testi degli anni appena precedenti. Alcuni mostrano chiaramente lâindottrinamento degli insegnanti operato dal regime. In una scena abbiamo poi letto le lettere drammatiche di bambini esclusi da scuola perchĂŠ ebrei, e quelle dei loro compagni che non si capacitavano dellâallontanamento dei loro amici. Oggi alla Stoppani si continua a parlare di quella scena. Il teatro funziona cosĂŹ: se vuoi incidere nel cuore delle persone, devi lasciare un ricordo indelebile dal punto di vista emotivo. Con le scuole abbiamo realizzato un modello che potrebbe essere replicato, se le istituzioni lo capissero.
Nel 2016 il Comune di Milano vi ha riconosciuto il massimo riconoscimento della cittĂ , lâAmbrogino dâoro. Con âIl Giro della CittĂ â vi siete immaginati una distribuzione alternativa dei vostri spettacoli oltre che nei teatri in luoghi della cultura, del lavoro e del sociale.
MF Vogliamo portare il teatro dalle persone, e non solo persone a teatro. La nostra vocazione verso la cittĂ si è trasformata prima in curiositĂ e poi in drammaturgia. Ogni nostra produzione -e anche il lavoro nelle scuole- in un certo senso parlano di territorio e comunitĂ . Ma non solo. Adesso stiamo portando in giro âCittadini in transitoâ e âCarta Cantaâ, dove parliamo delle cosiddette âseconde generazioniâ e della cittadinanza: vale la pena oggi essere cittadini italiani? Nel 2019 invece porteremo in scena un testo della senatrice Liliana Segre, deportata al campo di concentramento di Auschwitz a 14 anni, a partire dal suo racconto del ritrovamento -una volta ritornata in Italia- di un album di famiglia. Ă il tema della ricostruzione della memoria, quando non hai piĂš nulla e la memoria è lâunica cosa che ti è rimasta.
E infine, abbiamo un progetto, che abbiamo chiamato âTipi da spiaggiaâ: raccontare lâItalia vista dalla battigia. La spiaggia come palcoscenico dove gli italiani giudicano se stessi: un non-luogo senza territorio ma dove si incontrano tutte le regioni. Nei nostri spettacoli câè sempre una grande componente di gioco, ma ci serve per parlare di cose che non ci fanno dormire. Quando sono al mare a volte non riesco a farmi il bagno perchĂŠ mi perseguita lâidea che il Mediterraneo sia un cimitero per chi non ce lâha fatta ad attraversarlo. Quando lo dici ti guardano come un guastafeste. Mi spiace, ma le strade dellâarte non sono mai pacifiche. Il nostro ruolo è raccontare per cambiare, non per amareggiare.
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