Finanza / Intervista
Ecco come la finanza fuori misura ci ha reso tutti un po’ più poveri
Intervista al giornalista Nicholas Shaxson: “Nel solo Regno Unito il settore ha sottratto risorse all’economia reale per 4,5mila miliardi di sterline in 20 anni, il 250% del Pil. Non è una gallina dalle uova d’ora, ma un cuculo nel nido altrui”
La maledizione della finanza sta nei dettagli. Non è un caso che nell’introduzione del suo ultimo libro “The finance curse” (Penguin Random House, 2018), il giornalista Nicholas Shaxson -membro della rete indipendente sull’equità fiscale “Tax Justice Network” (taxjustice.net) e autore nel 2011 del bestseller “Treasure Islands” sui paradisi fiscali (treasureislands.org)- abbia scelto di descrivere il percorso seguito da una commissione da 75 pence versata per acquistare online un biglietto del treno nel Regno Unito, tramite la piattaforma Trainline. La minuscola “fee” attraversa cinque società inglesi, atterra nel paradiso fiscale britannico dell’Isola di Jersey, torna a Londra, di nuovo a Jersey, ricompare in Lussemburgo, poi alle Isole Cayman e infine giunge negli Stati Uniti, l’ultimo gradino, quello del fondo di private equity KKR.
“A che cosa serve tutta questa complessità?”, si è chiesto Shaxson. “Per rispondere a questa domanda -riflette- è necessario comprendere il fenomeno della finanziarizzazione che si è manifestato per la prima volta negli anni 70 e che si è lentamente insinuato nella vita di tutti noi”. Con una conseguenza che Shaxson non esita a sintetizzare: quella di averci reso tutti un po’ più poveri, sottraendo ricchezza all’economia reale.
Quando nasce il libro e perché?
NS L’elaborazione del concetto della “maledizione della finanza” risale alla metà degli anni 90. All’epoca lavoravo come corrispondente per la Reuters dall’Angola, un Paese tanto ricco di petrolio e di diamanti quanto ridotto in condizioni disastrose. La domanda che mi facevano tutti i visitatori occidentali era sempre la stessa: com’è possibile che la popolazione di un Paese con tante risorse possa essere ridotta così? “Colpa della corruzione”, era la mia prima risposta, ma c’era qualcos’altro che allora non sapevo, non afferravo. Gli accademici se ne stavano occupando in Paesi paragonabili all’Angola. Si trattava cioè del paradosso della povertà dall’abbondanza: in sostanza, tanti soldi da altrettante risorse possono rendere un Paese più povero.
L’attuale direttore e capo del board di Tax Justice Network, John Christensen, allora faceva il consulente economico nel paradiso fiscale inglese dell’Isola di Jersey. Leggendo i miei articoli si disse: “Ma questo è il caso di Jersey!”. Da lì abbiamo iniziato a riflettere sulle analogie tra la “maledizione delle risorse” dell’Angola e la “maledizione della finanza” della Gran Bretagna.
75 centesimi: il viaggio planetario di una commissione passa per paradisi fiscali e fondi
Nel libro premette che la finanza è necessaria.
NS Certamente. Noi abbiamo bisogno della finanza per pagare i conti, risparmiare per la pensione, investire, assicurarci, per qualcuno anche speculare. La maledizione cui faccio riferimento riguarda la finanza “oversized”, sovradimensionata.
Insieme a John Christensen avete chiesto a due accademici dell’Università del Massachusetts (Gerald Epstein e Juan Montecino) di calcolare i costi della finanza “oversized” per l’economia del Regno Unito. Qual è il risultato?
NS Pur trattandosi di una stima al ribasso, il valore elaborato rispetto al ventennio 1995-2015 è straordinario: 4,5mila miliardi di sterline. Il 250% del Pil. La narrazione mainstream in Gran Bretagna vuole che la City di Londra sia una sorta di gallina dalle uova d’oro. In realtà, la maledizione della finanza dimostra che è un altro tipo di volatile: ovvero un cuculo dentro il nido che sta togliendo spazio vitale agli altri settori.
Quali variabili considera l’analisi di Epstein e Montecino?
NS Ad esempio la cosiddetta “errata allocazione dei costi di crescita”, che misura l’impatto della ricollocazione della produzione, il “drenaggio” delle persone più intelligenti e meglio istruite da altri settori, gli effetti degli investimenti effettuati lontano da dove sarebbero stati invece più indicati, le attività più in generale di estrazione della ricchezza. L’altra componente è quella dei costi della crisi finanziaria e la terza riguarda invece l’eccessivo ammontare degli stipendi e dei profitti raccolti dagli agenti finanziari.
Ricostruendo la genesi della “maledizione”, racconta dei petrolieri statunitensi di inizio Novecento, della rinascita della City di Londra dopo la Seconda Guerra mondiale, dei paradisi fiscali britannici nei Caraibi. Ma anche dell’affermazione della “Terza via” da parte di una generazione di politici “riformisti” come Tony Blair o Bill Clinton e della loro “Agenda per la competitività”. Un’eredità che contesta duramente. Perché?
NS Quello che è stato raccontato e si racconta ancora in Gran Bretagna è che per avere un settore finanziario competitivo non bisogna disturbarne gli attori, le grandi banche e così via. Non disturbare significa niente tasse o normative stringenti, altrimenti si diventa “non competitivi” e queste scappano verso Hong-Kong, Ginevra, Lussemburgo.
Penso a Tony Blair o a Gordon Brown: il mantra era uno solo, “Dobbiamo essere competitivi”. Suona bene, è bello dire che “dobbiamo avere un settore finanziario competitivo”. La maggior parte delle persone ha accettato questo modello senza rendersi conto che in realtà un settore finanziario “competitivo”, cioè sovradimensionato, produce una crescita economica inferiore. Un sistema fiscale “competitivo” ha significato ingenti tagli alle tasse per le grandi società, per poter annunciare l’arrivo nel Paese delle multinazionali. Ho fatto dei calcoli sulla quantità di denaro da gettito cui il Regno Unito ha rinunciato e su quello che ha perso. Con i tagli fiscali apportati ai colossi finanziari si sarebbero potuti mandare a Eton, la scuola privata più elitaria del Regno Unito, mezzo milione di studenti. O si sarebbe potuto dar vita ad altre dieci università di Oxford. È questo il paradosso: tagliare le tasse per rendere più competitiva l’intera economia mentre si riducono i fondi per l’istruzione. A chi giova questa “competitività”?
Nelle conclusioni del libro sostiene che la finanza sovradimensionata non produca solo povertà, disuguaglianza, conflitti sociali e impunità, ma rappresenti anche una porta spalancata da cui possono entrare minacce per la sicurezza nazionale dei singoli Paesi. In che modo?
NS Nel 2013 l’allora Primo ministro inglese David Cameron e il cancelliere George Osborne si sono recati a Pechino per sottoscrivere una serie di accordi. Uno di questi consentiva a una grande azienda cinese di partecipare a un progetto di costruzione di centrali nucleari nel Regno Unito. Gli esperti di sicurezza nazionale misero in guardia dal pericolo di consentire alle aziende cinesi di introdursi in qualcosa di così sensibile come le infrastrutture nucleari del Paese. Quale fu la contropartita? Il governo cinese avrebbe offerto alla comunità finanziaria della City di Londra nuove opportunità commerciali. Questo è un esempio di come la City sia predisposta a minare la sicurezza nazionale. E questo permette di guardare al tema più ampio.
“Con i tagli fiscali apportati ai colossi finanziari si sarebbero potuti mandare a Eton mezzo milione di studenti. O si sarebbe potuto dar vita ad altre dieci università di Oxford. È questo il paradosso: tagliare le tasse per rendere più competitiva l’intera economia mentre si riducono i fondi per l’istruzione”
Quale?
NS La City di Londra è verosimilmente diventata il più importante centro per il riciclaggio di denaro sporco del mondo. La City -e i suoi satelliti dei paradisi fiscali nelle Isole Cayman e a Jersey- è un gigantesco bordello dove chiunque può fare qualsiasi cosa e non ci sono sanzioni per la gestione del denaro sporco. Si tratta di una gigantesca impresa criminale. L’atteggiamento britannico è sempre stato il seguente: “D’accordo, possiamo proteggere il resto dell’economia dalla corruzione e dal crimine in modo da gestire tutto questo denaro sporco. Basterà creare una sorta di muro tra questo denaro e il resto del Paese”. Naturalmente questo è impossibile.
Come si inserisce Brexit in tutto questo?
NS Non mi piace discuterne perché le incertezze sono numerose. Detto questo, il Regno Unito ha di fronte due strade. Può provare a seguire il modello di Singapore sul Tamigi e sottomettersi a oligarchi, criminali, multinazionali che evadono il fisco. Oppure può perseguire gli interessi del suo popolo. Sono sempre più convinto che nel Regno Unito di oggi, e in generale, le antiche divisioni politiche tra destra e sinistra siano superate. La questione politica vera è tra chi sostiene la finanziarizzazione e la “maledizione” e chi vuole ricondurre la finanza al proprio posto, al servizio della società. Da qui la domanda: tu da quale parte stai?
© riproduzione riservata