Cultura e scienza / Intervista
Mackda Ghebremariam Tesfau’. Una fellowship in memoria di Agitu
Centrale Fies a Dro, in Trentino, tiene vivo l’impegno dell’imprenditrice di origine etiope Agitu Ideo Gudeta uccisa nel 2020. Lo fa con borse di studio per artisti e artiste razzializzati e appartenenti a minoranze. Intervista alla co-promotrice
Centrale Fies è un centro di ricerca per le pratiche performative contemporanee. Danza, teatro, performing art, ma anche workshop, mostre temporanee, produzioni e residenze per artisti e artiste si tengono negli spazi della centrale idroelettrica di epoca asburgica di Dro, in provincia di Trento.
Sempre in territorio trentino, ma verso Nord-Est, si trova la valle dei Mocheni, dove viveva e lavorava l’imprenditrice e attivista di origine Oromo (Etiopia) Agitu Ideo Gudeta, vittima di femminicidio nel 2020. Conosciuta anche a Centrale Fies, dopo la sua morte e in accordo con la famiglia, è stata istituita una borsa di studio che porta il suo nome.
La “Agitu Ideo Gudeta fellowship” è giunta così alla sua terza edizione, vinta quest’anno da Valerie Tameu. Parliamo delle peculiarità di questa iniziativa con Mackda Ghebremariam Tesfau’, ricercatrice in Scienze sociali, impegnata nel dibattito antirazzista e co-promotrice, con Razzismo brutta storia della fellowship dedicata all’imprenditrice.
Mackda, l’iniziativa è nata nel 2021 da un gruppo di lavoro di cui sei parte. Puoi raccontare quali sono stati gli step iniziali che avete ritenuto necessari per dar vita a questo progetto?
MGT La differenza sostanziale tra la “Agitu Ideo Gudeta fellowship” e una qualsiasi borsa di ricerca, artistica e non, è che individua come target un gruppo che solitamente non è beneficiario di forme particolari di diritto alla formazione o di altre misure di sostegno. Inizialmente, dunque, abbiamo dovuto riflettere molto sul significato che aveva per noi tentare un’azione positiva nel contesto italiano, dove queste politiche di promozione delle pari opportunità non sono contemplate.
Si tratta di programmi di contrasto attivo alle diseguaglianze strutturali, attraverso forme di agevolazione dei gruppi storicamente svantaggiati dal sistema in cui viviamo. Lo sono, ad esempio, le cosiddette “quote rosa”, che in Italia sono state utilizzate per favorire l’ingresso delle donne in politica. Per noi è stato necessario discutere molto bene, capire che cosa stessimo facendo e perché, e solo dopo il come.
È complesso introdurre, da soggetti non-istituzionali, quelle che sono politiche che dovrebbero essere sostenute dalle istituzioni. Banalmente non ci sono linee guida su come fare: c’è un aspetto di sperimentazione che grava tanto su chi le crea quanto su chi se ne avvale. Dunque, per dar vita al progetto è stato necessario innanzitutto immaginare quello che volevamo fare.
La borsa si rivolge ad artisti e artiste che si identificano come soggetti razzializzati, o appartenenti a minoranze etniche o con background migratorio. Offre una somma in denaro, una residenza a Centrale Fies, la possibilità di entrare in un network di professionisti e professioniste dell’arte e presentare il proprio lavoro artistico. Da chi è supportato il progetto?
MGT È sostenuto da Centrale Fies e Razzismo brutta storia, e curato insieme al collettivo Black history month Florence (BHMF). Nel board curatoriale oltre a me sono presenti Barbara Boninsegna, direttrice artistica di Centrale Fies; Simone Frangi, associate curator per il progetto “Live works free school of performance”; Justin Randolph Thompson, artista/curatore e co-fondatore del collettivo curatoriale BHMF e The Recovery Plan.
“Quando abbiamo pensato alla borsa l’abbiamo fatto in un’ottica di cambiamento sociale. Penso che più di tutto sia questa tensione a tenere viva la memoria e la lotta di Agitu”
Definite la fellowship un’affermative action, a distanza di tre anni che cosa avete notato? Quali processi si sono attivati per coloro che hanno vinto le prime due edizioni?
MGT È cambiata Centrale Fies e cominciano a cambiare le persone che la attraversano. Le artiste selezionate hanno avuto un supporto nel perseguire la propria pratica, in momenti diversi ma egualmente delicati dei loro percorsi. Si sono costruite relazioni, che era uno degli obiettivi. Altre realtà hanno iniziato a mettere in campo iniziative simili, come BASE Milano. Ma anche altre esperienze, come Milano Mediterranea. Immaginiamo che possa esserci un dialogo, una coalizione se vogliamo, che possa mostrare alle istituzioni della cultura e delle politiche sociali che queste sono “buone pratiche” -per utilizzare il loro linguaggio- che sono necessarie, e che devono essere sostenute.
Hai sottolineato la necessità di prestare attenzione verso un linguaggio discriminatorio spesso inconsapevolmente interiorizzato, espressione di un razzismo sistemico, che rende difficile l’esercizio di immaginazione politica per chi lo subisce quotidianamente. In queste edizioni e nel tuo continuo lavoro di ricercatrice e attivista che cosa pensi stia cambiando e che cosa pensi sia ancora necessario fare?
MGT Impariamo quotidianamente. Soprattutto, comprendiamo come tentare politiche simili in un contesto che non vi è abituato significhi dover prestare molte attenzioni e cura: al linguaggio, alle relazioni, a quello che significa esporsi come fanno le persone che prendono parte al bando. In questi anni mi trovo sempre più spesso a riflettere sulla necessità di occuparci del nostro benessere. Perché in qualche modo siamo ancora agli inizi di quello che -se tutto andrà bene- sarà un lungo cammino di costruzione di spazi di cittadinanza più equi. È importante che le persone coinvolte in questo processo abbiano gli strumenti per non subirne irrimediabilmente il peso. Questa è un’indicazione fondamentale per me per pensare non solo le prossime edizioni, ma il nostro intero operato.
Avevi avuto modo di conoscere Agitu Ideo Gudeta? In che modo questa borsa tiene vivo il suo ricordo e come interagisce con le future generazioni e con la società nella quale Agitu aveva deciso di vivere e intraprendere un’attività imprenditoriale legata alla pastorizia?
MGT Centrale Fies aveva un rapporto con Agitu e la sua attività. Personalmente la conoscevo solo di fama. Era diventata un simbolo di coerenza e impegno politico per molte persone. Era un’attivista, si era battuta contro il land grabbing e per questo aveva dovuto fuggire dall’Etiopia. Una volta tornata in Italia come richiedente asilo -era già stata nel nostro Paese per studi- ha mantenuto il suo impegno ecologico e politico dedicandosi alla conservazione delle capre dei Mocheni, una specie messa in pericolo dagli standard di produzione odierni.
Quello della performance e dell’arte può essere un mondo distante da quello della pastorizia. Ma la fellowship porta avanti lo spirito di Agitu, per questo la famiglia ne è stata felice. Quando abbiamo pensato alla borsa l’abbiamo fatto in un’ottica di cambiamento sociale. Penso che più di tutto sia questa tensione a tenere viva la memoria e la lotta di Agitu.
© riproduzione riservata