Cultura e scienza / Intervista
“Vibrations from Gaza”: la vita dei bambini sordomuti nella guerra

L’artista Rehab Nazzal ha realizzato prima del 7 ottobre 2023 un’opera di straordinaria importanza che tratta di disabilità e violenza. “Israele ha usato per anni la Striscia come un laboratorio”. L’abbiamo intervistata
Già prima del 7 ottobre 2023, i bambini di dieci anni, a Gaza, avevano vissuto almeno due guerre. Di quelle del 2014 e del 2021, Amani ricorda che era il mese del Ramadan e che gli attacchi aerei si intensificavano durante i pasti. “Lo fanno di proposito, perché sanno che stiamo digiunando”.
La sua esperienza è raccontata in “Vibrations from Gaza”, un film che mostra come i bambini sordomuti vivono la guerra. Attraverso video, immagini e il suono incessante dei droni che sorvolano la Striscia -da anni una realtà quotidiana per i gazawi– sono i bambini che spiegano come percepiscono i bombardamenti. “Sento gli aerei attraverso le vibrazioni nell’aria”, dice Musa, mentre Isra spiega con più dettagli che “quando i bombardamenti colpiscono il terreno o un edificio, il rumore penetra nelle mie orecchie e il mio corpo trema per la concussione dell’esplosione”.
Diretto dall’artista multidisciplinare palestino-canadese Rehab Nazzal, il film è stato realizzato poco prima del 7 ottobre 2023, quando la situazione a Gaza è peggiorata drammaticamente. Già premiato con dodici riconoscimenti internazionali -tra cui il Short film award al Bfi London film festival del 2024- è stato recentemente proiettato ad Amman, al museo Darat Al Funun, dove Altreconomia ha incontrato la regista.
Nazzal può spiegarci perché ha deciso di fare un film con i bambini come protagonisti?
RN È stato il mio attivismo a condurmi a Gaza quattro anni fa. In seguito all’escalation di violenza iniziata con lo sfratto di sei famiglie palestinesi nel quartiere di Sheikh Jarrah, a Gerusalemme Est, nel maggio 2021, Israele ha bombardato per 11 giorni la Striscia. Seguendo le notizie dal Canada, non riuscivo a starmene con le mani in mano. Così dopo vari contatti, ottengo un invito dal ministero della Salute di Gaza per un progetto di terapia artistica per bambini con condizioni speciali. Arrivata una settimana dopo la fine dei bombardamenti, la situazione era sconvolgente. I bambini con cui ho iniziato a lavorare avevano bisogno di materiali e medicine che però Israele non faceva entrare, né permetteva loro di andare in Cisgiordania per le cure. Questa era una realtà consolidata ben prima del 7 ottobre 2023, che determina che in alcuni casi i bambini muoiono per l’impossibilità di essere curati. Sono rimasta ancora più colpita alla fine del progetto, lavorando presso il centro Atfaluna society for deaf children, dove il trauma della guerra era ancora più evidente. Ma l’idea del film nasce al mio rientro in Canada, quando il ronzio orribile dei droni a Gaza continuava a tormentarmi, giorno e notte. Così un anno dopo sono tornata nella Striscia e ho dedicato l’intera estate al film.
“Non sono sicura che il termine ‘barbaro’ sia quello giusto per descrivere ciò che era ed è diventata oggi Gaza. Occorre cercare nuove espressioni”
Nonostante la complessità del soggetto e le difficoltà nel girare un film a Gaza, ha scelto di concentrare il tutto in un cortometraggio di 16 minuti. Come mai?
RN L’urgenza di pubblicare mi ha spinto a questa decisione. Dopo diciassette anni di assedio e guerre, Gaza era stata dimenticata dai media e dalla politica internazionale. Sentivo il bisogno di utilizzare urgentemente la mia esperienza per mettere in luce due cose. La prima su come Israele stia usando Gaza come un laboratorio per testare armi, in particolare quelle sonore, che molto probabilmente -perché non ci sono ancora prove scientifiche- causano danni all’udito nella popolazione, soprattutto tra i bambini. L’altro obiettivo era ricordare al mondo che l’assedio israeliano su Gaza impedisce l’ingresso dei materiali di base per la vita umana. Maryam Mahmoud, responsabile della scuola di Atfaluna, nel suo intervento dopo la proiezione ha ricordato le implicazioni più ampie della vita sotto assedio. Nei primi mesi dei bombardamenti israeliani dopo il 7 ottobre 2023 non sono nemmeno riusciti a procurarsi le micro-batterie per gli apparecchi acustici, indispensabili per i bambini sordomuti. Non sono sicura che il termine “barbaro” sia quello giusto per descrivere ciò che era ed è diventata oggi Gaza. Occorre cercare nuove espressioni linguistiche perché onestamente non ne abbiamo.
L’associazione Atfaluna lavora con persone sordomute nella Striscia di Gaza dal 1992
Come è stato possibile comunicare con i bambini, su un soggetto così complesso, senza condividere lo stesso linguaggio?
RN Quando sono tornata a Gaza per girare il film nell’estate 2022 ho ripreso da dove avevo terminato. Ossia passare più tempo possibile con Atfaluna, associazione che lavora con persone sordomute dal 1992, e soprattutto con Amani, Musa, Isra, e i bambini che avevo incontrato in precedenza. Conoscerci già ci ha permesso di costruire un rapporto di fiducia. Vero, avevo un interprete per comunicare con loro, ma vedermi passare tempo a casa o in spiaggia con le loro famiglie ha aiutato molto, soprattutto per affrontare il tema della guerra durante le interviste. Domande a cui loro rispondono con una consapevolezza personale e politica che mi ha colpito fortemente. Ci sono due frasi del film che non riesco a togliermi dalla testa. La prima è quando Amani dice che “è una benedizione essere sorda, così sono la meno terrorizzata quando bombardano”, e poi quando ha risposto alla mia domanda sul perché pensa che gli israeliani facciano loro tutto questo, con un candido quanto preciso “perché vogliono sbarazzarsi di noi e prendere la nostra terra”.

Per il suo percorso artistico e di attivista ha spesso pagato in prima persona, come il ferimento alla gamba a opera di un cecchino israeliano a Betlemme nel 2015 e le campagne mediatiche contro i suoi lavori.
RN Nonostante non si tratti del mio primo documentario, con “Vibrations from Gaza” è la prima volta che mi rivolgo a un pubblico così ampio. In genere mi sono sempre concentrata su fotografia, video e suoni per installazioni artistiche presso musei e centri culturali, in modo che la mia esperienza potesse interagire con il pubblico direttamente. Anche il mio precedente documentario, “Canada Park”, sulla storia del parco di Gerusalemme Est costruito sulle macerie di tre villaggi palestinesi distrutti da Israele nel 1967, che provocò lo sfollamento di diecimila persone, è stato concepito per proiezioni “intime”. Sono nata a Jenin, dove sono cresciuta e da dove sono stata costretta all’esilio per 25 anni, per motivi di cui prima o poi scriverò. Ma dalla prima volta che sono rientrata nella mia terra ho sentito il bisogno di raccontare la mia esperienza tramite l’attivismo e l’arte per attirare l’attenzione sull’oppressione dei palestinesi e la loro lotta per libertà, dignità e diritti. Sono questi i soggetti dei miei lavori, come “Walking under Occupation”, “Driving in Palestine” e “Invisible”. Per quest’ultimo ho ricevuto fortissime critiche da ambienti pro-israeliani, in particolare in Canada e negli Stati Uniti. Gli attacchi sono stati pesanti, a livello personale, arrivando fino alle minacce di morte.
“Dalla prima volta che sono rientrata nella mia terra ho sentito il bisogno di raccontare la mia esperienza tramite l’attivismo e l’arte per attirare l’attenzione sull’oppressione dei palestinesi e la loro lotta per libertà, dignità e diritti”
Che cosa l’ha spinta e la spinge ancora ad andare avanti, specie dopo gli ultimi terribili mesi in Palestina?
RN All’inizio avevo paura, soprattutto per la mia famiglia ma poi ho capito che l’unica cosa che potevo fare era continuare a fare arte critica, la cui missione è far riflettere, sollevare domande. Le ingiustizie che vedo ogni giorno muovono ogni cellula del mio corpo. Studiare la storia dei Paesi colonizzati come il Sudafrica o l’Algeria mi dice che alla fine la giustizia prevale sempre. Se guardo alla mia terra, a Jenin, penso che nonostante i rinnovati assedi da parte delle forze di sicurezza israeliane, la sua comunità è ancora capace di insegnare che cosa siano la speranza, la resistenza e la resilienza.
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