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Diritti / Approfondimento

L’utilizzo dei dati biometrici e gli effetti sui diritti dei lavoratori

© George Prentzas - Unsplash

Crescono a livello europeo le aziende che raccolgono e monitorano le informazioni biometriche dei dipendenti. Per il think tank Bruegel però con la retorica dell’efficienza si intacca la privacy e si sviluppano forme di sorveglianza, con un alleggerimento dei costi tutto a favore delle imprese

L’utilizzo di tecnologie basate sulla raccolta dei dati biometrici dei lavoratori diventerà sempre più diffuso tra le aziende europee con il rischio di gravi violazione della privacy. Per questo, secondo il think tank belga Bruegel, una loro classificazione che tenga conto di rischi e benefici è di grande importanza per aiutare i legislatori europei a prendere decisioni corrette in materia.

Secondo un sondaggio della Commissione europea del 2020, infatti, il 42% delle aziende dell’Ue utilizzerebbe tecnologie basate su programmi di intelligenza artificiale (IA) per gestire le attività dei propri dipendenti. In Italia il 35% delle imprese impiegherebbe almeno un sistema di IA e il 19% ne starebbe pianificando l’utilizzo. “Il sondaggio pubblicato dalla Commissione sicuramente sovrastima la percentuale di utilizzo -segnala Bruegel- ma si tratta lo stesso di una questione fondamentale per il mercato del lavoro, in particolare quando vengono usate tecnologie per classificare i dati biometrici dell’individuo con potenziali violazioni dei diritti”. Per questo motivo Bruegel ha pubblicato a metà novembre una classificazione dei sistemi che gestiscono i dati biometrici dei lavoratori. “Se affidiamo la tassonomia delle tecnologie biometriche alle aziende produttrici -avvertono gli autori del lavoro di ricerca- esiste la possibilità che vengano sottovalutati i rischi legati al loro utilizzo o ne venga sovrastimata la precisione. Pensiamo che la nostra ricerca possa fornire una solida base ai legislatori per poter affrontare efficacemente il problema”.

Le informazioni biometriche sono divise in tre categorie. La prima riguarda i dati catalogati come “fisici” relativi alle caratteristiche del corpo umano: DNA, impronte digitali o della retina. Nella seconda categoria rientrano invece i dati fisiologici come battito cardiaco, pressione sanguigna e ossigenazione del sangue. Infine troviamo le informazioni come il tono della voce o l’andatura, che vengono usati per identificare il dipendente ma anche per controllare il suo stato di salute. Per quanto riguarda il loro utilizzo, Bruegel li suddivide in quattro funzioni: sorveglianza, reclutamento, controllo, sicurezza e benessere e per ognuna ne elenca vantaggi e rischi.

La prima categoria esaminata riguarda i dispositivi impiegati dalle imprese per regolamentare l’accesso alle loro strutture e servizi tramite una procedura di autenticazione. Il processo, se effettuato tramite dati biometrici, presenterebbe numerosi vantaggi rispetto alle controparti “tradizionali” come le password o i generatori fisici di Otp (one time password, ndr): non possono essere dimenticati, rubati o smarriti, oltre a essere più rapidi ed efficaci. Alcuni sistemi basati sui dati comportamentali, come l’andatura o la pressione sulla tastiera, possono venire controllati costantemente permettendo una “autenticazione continua”. La raccolta e l’archiviazione di questi dati, si legge nel rapporto, comporta problemi in termini di privacy. Per esempio il tracciamento dell’attività sulla tastiera può portare alla raccolta di informazioni personali. “Le problematiche sulla raccolta di questi dati biometrici non si limitano alla privacy -scrive Bruegel-. Ad esempio negli Stati Uniti questi sono stati incrociati con le banche dati dell’Ufficio immigrazione per identificare gli immigrati senza permesso di soggiorno”.

Il secondo utilizzo riguarda il reclutamento e la selezione del personale tramite l’uso di programmi IA per analizzare i dati biometrici e dedurre da questi l’attitudine del candidato. Vengono utilizzati per velocizzare i colloqui permettendo di ottenere un confronto (sulla carta) “oggettivo” e basato su informazioni come il tono della voce o il lessico impiegato. Il gruppo multinazionale Unilever (attivo nel campo dell’alimentazione e nei prodotti per la casa, ndr), che utilizza un sistema di valutazione simile, sostiene di risparmiare ogni anno circa 100mila ore di colloqui, ovvero un milione di dollari, e di aver ridotto le discriminazioni etniche e sociali.  Il problema più importante, evidenzia però Bruegel, riguarda la trasparenza del sistema di selezione in quanto ai ricercatori indipendenti non è possibile esaminare i codici. Nonostante gli sviluppatori sostengano la neutralità dei loro programmi, diversi algoritmi sono stati accusati di perpetrare discriminazioni nei confronti di minoranze. “Mentre numerose aziende informatiche affermano di combattere i pregiudizi aggiornando i loro software -si legge nel rapporto- i loro processi decisionali continuano a mancare di trasparenza”.

Il terzo campo riguarda i sistemi di monitoraggio degli impiegati per controllare la loro efficienza produttiva. Se da un lato sono sempre stati utilizzati metodi per sorvegliare l’attività dei lavoratori (controllo della navigazione online, delle mail o delle telefonate) durante la pandemia da Covid-19 la crescente diffusione di forme di lavoro a distanza ha portato a un aumento del loro utilizzo. Con il tracciamento di dati biometrici è possibile effettuare controlli in modo più efficiente, ad esempio tracciando i movimenti del mouse e dell’occhio o la pressione dei tasti si è in grado di monitorare il grado di concentrazione del lavoratore. La start-up americana Cogito ha sviluppato ad esempio una IA per i call center in grado di analizzare la reazione emotiva dei clienti, di suggerire agli impiegati come cambiare il loro approccio e di premiare i lavoratori ritenuti “migliori”. Forme di costante sorveglianza e pressione che vengono giustificate strumentalmente dal presunto aumento della produttività dei lavoratori. Alcuni algoritmi hanno inoltre la possibilità di licenziare in automatico i lavoratori che non rispettano gli standard richiesti, esercitando un potere enorme sui dipendenti.

I dati biometrici in realtà potrebbero anche essere impiegati per migliorare la sicurezza sul lavoro e promuovere la salute, fisica e mentale. In Ue nel solo 2020 si sono registrate più di tremila vittime sul lavoro e tre milioni di incidenti gravi, per un controvalore di 476 miliardi di euro, pari al 3,3% del Prodotto interno lordo europeo. Secondo Bruegel la salute e il benessere dei lavoratori è uno dei campi più promettenti per l’utilizzo di queste tecnologie, in quanto non sono solamente in grado di prevenire incidenti e infortuni ma permetterebbero anche di controllare le condizioni mentali (ad esempio tramite il battito cardiaco e il riconoscimento facciale) per ridurre i livelli di stress o per scoraggiare una vita sedentaria.

È il campo dei paradossi. Amazon, che ha fatto del ritmo incessante del lavoro e della precarizzazione dei diritti lungo la catena dei subappalti il proprio marchio distintivo, avrebbe “installato sui veicoli per le consegne un sistema di telecamere guidato da un IA per prevenire comportamenti pericolosi alla guida”, segnala Bruegel. Anche in questo caso si esercita una sorveglianza continua del lavoratore, ma la privacy non è l’unico problema. “Esiste il rischio che le aziende utilizzino le informazioni sulla salute psicofisica dei propri dipendenti per la gestione del personale -avverte Bruegel- finendo per penalizzare lavoratori già sottoposti a elevati livelli di stress”.

“Il maggior pericolo legato alle intelligenze artificiali –ha ricordato Steven Poole sul Guardian a fine novembre di quest’anno- risiede nella stupidità del genere umano che sceglie di adottarle senza una attenta valutazione dei rischi. Non dovremo domandarci se i robot rimpiazzeranno l’uomo ma se mai i dirigenti sceglieranno di licenziare i dipendenti umani”.

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