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L’Ue bandisce i Pfas, l’Italia frena: la legge per regolamentarli è timida

Il nostro Paese registra il più grave inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche in Europa. Il Disegno di legge in discussione al Senato prevede soglie massime di sversamento. Per gli attivisti, invece, l’unico limite accettabile è pari a zero

Tratto da Altreconomia 249 — Giugno 2022
© Comitato Stop Solvay

Mentre l’Unione europea si muove per bandire la produzione di sostanze perfluoroalchiliche, meglio conosciute come Pfas, a livello italiano le proposte “più quotate” di regolamentazione non sono adeguate. “Il ‘Ddl Moronese’ attualmente in discussione al Senato è un provvedimento timido -spiega Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace-. Prevede limiti massimi di sversamento di Pfas nelle acque di scarico e l’introduzione di valori di tolleranza nelle acque potabili ma l’unico valore accettabile è pari allo zero. Se questa sarà la nuova legge si realizzerà l’ennesimo compromesso al ribasso in cui la salute e l’ambiente cedono il passo al profitto di pochi”. In Veneto almeno 300mila persone vivono le conseguenze dannose sulla loro salute dall’esposizione ai Pfas; in Piemonte, invece, a Spinetta Marengo (AL) l’attività dell’azienda belga Solvay continua senza limiti significativi mettendo a rischio, secondo attivisti e attiviste locali, decine di migliaia di abitanti della zona. “Stride il fatto che la proposta di vietare la produzione di queste sostanze non venga dall’esecutivo italiano -continua Ungherese-. A Bruxelles siamo completamente assenti nonostante il nostro Paese sia teatro del più grande inquinamento da Pfas del continente europeo”. 

Un inquinamento rispetto a cui la giustizia sta facendo il suo corso. Dal luglio 2021, infatti, di fronte alla Corte d’Assise di Vicenza è iniziato il procedimento penale per accertare le responsabilità di quindici manager dell’azienda Miteni (fallita, ora Mitsubishi Corporation e international chemical investors), situata a Trissino (VI), accusati di aver sversato per oltre vent’anni sostanze perfluoroalchiliche, contenute nei polimeri utilizzati per rendere impermeabili all’acqua e ai grassi svariati prodotti, provocando l’inquinamento di una delle falde acquifere più grandi d’Europa che insiste su circa 30 Comuni delle province di Vicenza, Verona e Padova. Il disegno di legge 2392 intitolato “Misure urgenti per la riduzione dell’inquinamento da sostanze poli e perfluoroalchiliche (Pfas) e per il miglioramento della qualità delle acque destinate al consumo umano”, presentato nel settembre 2021 da Vilma Moronese (ex M5S) vorrebbe regolare proprio lo sversamento di queste sostanze in acqua. “Non serve girarci intorno -spiega Michela Piccoli, attivista delle Mamme No Pfas, un gruppo che in Veneto combatte da anni per ottenere giustizia e verità-. Anche un nanogrammo di Pfas è persistente, bioaccumulabile e di conseguenza pericoloso. L’unico obiettivo accettabile è arrivare al divieto di sversamento”. 

Non solo. Il disegno di legge non affronta altre due tematiche centrali: il sistema di controllo delle aziende e l’assenza dei cosiddetti standard analitici. “Sono le aziende, in un regime di autocontrollo, a fornire i dati sul rilascio di sostanze pericolose nell’ambiente -spiega Ungherese- ma soprattutto gli enti di controllo spesso sono impossibilitati a verificare la presenza di ogni tipo di Pfas in quanto non sono in possesso degli standard analitici di tutte le molecole”. Un problema che Piccoli, che è infermiera, sintetizza così: “È come voler conoscere i valori della glicemia in un esame del sangue senza cercare il glucosio. Lo standard serve per sapere che cosa cercare in un determinato campione d’acqua”. 

Un aspetto fondamentale considerando che i Pfas sono una classe di almeno 4.700-4.800 sostanze. Dalle padelle antiaderenti, all’abbigliamento, dai cosmetici fino all’elettronica: questi polimeri, creati dall’uomo a partire dagli anni Quaranta del Novecento, sono stati utilizzati via via in un’ampia gamma di prodotti. Lo studio “An overview of the uses of per- and polyfluoroalkyl substances (Pfas)”, pubblicato nel giugno 2020 da un gruppo di ricercatori sulla rivista scientifica Environmental science: processes & impacts prendendo in esame 1.400 singoli Pfas ha ricostruito almeno 200 usi in 64 categorie differenti. Dato che vengono definiti “sostanze chimiche per sempre” perché non si decompongono, una volta dispersi nell’ambiente, rintracciarli e conoscerne la composizione è fondamentale per capirne il grado di nocività e poterne studiare la pericolosità. La Commissione europea, proprio per queste loro caratteristiche, si è già mossa vietando l’utilizzo di alcune sostanze del gruppo dei Pfas (Pfos, Pfoa e molti altri*). Inoltre nella “tabella di marcia delle restrizioni” pubblicata il 24 aprile 2022 con cui le istituzioni dell’Ue hanno aggiornato, nell’ambito del Green deal, le sostanze chimiche da bandire per i loro effetti tossici su ambiente e salute hanno incluso proprio le sostanze perfluoroalchiliche. “Per molte di queste sostanze e per numerosi settori esistono già alternative più sicure. Sono ormai pochissimi gli usi essenziali per cui non è ancora possibile sostituirle”, sottolinea Ungherese. 

“A Bruxelles siamo completamente assenti nonostante il nostro Paese sia teatro del più grande inquinamento da Pfas del continente” – Giuseppe Ungherese

La “timidezza” dell’esecutivo italiano nella regolamentazione è ancora più significativa considerando che non è solo il Veneto a essere interessato dall’inquinamento da Pfas. A fronte di livelli allarmanti della presenza di queste sostanze nel suolo e nelle acque dalla fine del 2018 anche a Spinetta Marengo -Comune alle porte di Alessandria- alcuni movimenti, tra cui Comitato Stop Solvay, Movimento per la salute Maccacaro, No Pfas Alessandria e Legambiente hanno iniziato una battaglia nei confronti dello stabilimento di Solvay, l’azienda belga che opera nel settore chimico e delle plastiche e proprio nell’alessandrino ha uno dei suoi stabilimenti più importanti. “Nel caso di Spinetta Marengo il Ddl Moronese in discussione sarebbe ancora meno efficace perché a differenza del Veneto il problema principale non è lo scarico nelle acque superficiali -spiega Gian Piero Godio, referente di Legambiente per il Piemonte e di No Pfas Alessandria-. In questo momento Solvay scarica quantità imprecisate di Pfas sia in aria sia nel sottosuolo. È chiaro che dei limiti nazionali riguardanti solamente gli scarichi nelle acque superficiali non aiuterebbero questa situazione”.

Per questo motivo Godio sottolinea come la proposta di legge a firma del senatore Mattia Crucioli (Gruppo Misto), presentata in Senato il 16 marzo 2022, sia meglio strutturata. Prevede infatti il divieto totale di utilizzo, commercializzazione e produzione di Pfas o di prodotti contenenti queste sostanze con un cronoprogramma da qui al 31 dicembre 2025 per permettere alle aziende di adeguare la produzione. Con limiti fissati anche per emissioni in atmosfera. Questa è l’unica soluzione possibile anche per l’ingegnere Claudio Lombardi che è stato assessore all’Ambiente del Comune di Alessandria dal 2013 al 2017 e conosce da vicino la situazione di Spinetta Marengo. “Le istituzioni locali faticano a prendere posizione e rimuovono il problema -spiega-. Questa zona vive una forte crisi economica e la ‘scusa’ dei politici locali è la salvaguardia del lavoro. E così Solvay continua a sversare quello che vuole. Serve un intervento legislativo radicale per porre fine a questo inquinamento e a tutte le conseguenze che produce”.

Nel fiume Bormida si riversano le sostanze inquinanti dello stabilimento della Solvay di Spinetta Marengo, in provincia di Alessandria © Gian Piero Godio

Un’indagine epidemiologica del 2017 commissionata all’Arpa dal Comune di Alessandria, promossa proprio da Lombardi, ha evidenziato risultati drammatici. “Più ci si avvicina al polo chimico più aumenta l’incidenza di alcune malattie -spiega-. I tumori epatobiliari del 30%; i tumori al rene e le patologie renali che portano al ricorso alla dialisi in aumento del 46% per gli uomini e del 20% per le donne; le patologie neurologiche sui giovani tra gli zero e i 14 anni in crescita dell’86%. Nonostante questi dati non si è dato corso alle ulteriori fasi delle indagini epidemiologiche e sanitarie riguardanti il rapporto di causalità fra gli inquinanti presenti nelle matrici ambientali e le indagini ematologiche sugli abitanti della zona che circonda lo stabilimento Solvay”. 

I “costi” in termini di salute sono elevatissimi così come quelli legati all’immobilismo politico che li genera. Il report “The cost of inaction” pubblicato alla fine del 2019 dal Nordic council of minister, un forum intergovernativo formato da Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia con lo scopo di promuovere la cooperazione tra i Paesi nordici, ricostruisce i costi per la società legati agli effetti e agli impatti negativi sulla salute umana e sull’ambiente dovuti all’esposizione dai Pfas. Sommando le spese per le attività di screening della popolazione, quelle per i monitoraggi della contaminazione e per i trattamenti dell’acqua, la bonifica del suolo e gli interventi legati alla salute umana gli studiosi stimano che in Italia, se un bacino di 1,8 milioni di persone venisse contaminato, servirebbero tra 1,2 e sei miliardi di euro per intervenire a seconda del livello di inquinamento.

Il messaggio dei ricercatori è chiaro: “Più a lungo la contaminazione da Pfas rimane nell’ambiente senza bonifica più si diffonderà e maggiore sarà la quantità di suolo o di acque sotterranee che dovrà essere decontaminata”. Limiti zero sugli scarichi in acqua, nelle acque potabili e nel sottosuolo, sulle emissioni nell’aria; standard analitici per l’esame della concentrazione di Pfas e meccanismi di controllo adeguati restano i punti di non ritorno per rendere la normativa nazionale efficace. “A prescindere da quale disegno di legge si porti avanti -conclude Ungherese- questa maggioranza nasce sotto la bandiera della transizione ecologia: qualcosa però che non abbiamo ancora visto trasformarsi in atti concreti. Anche per questo abbiamo ribattezzato l’esecutivo Draghi quello della ‘Finzione ecologica’. Ci auguriamo che almeno sui Pfas ci sia la volontà politica di varare una legge in tempi brevi con valori pari a zero. Non è più possibile rimandare e continuare a tutelare gli inquinatori a scapito dell’ambiente e della salute”.


* Mi scuso con i lettori per aver erroneamente indicato, nella prima versione dell’approfondimento, il C6O4 come uno dei Pfas di cui la Commissione europea avrebbe vietato l’utilizzo. La normativa europea resta comunque più avanzata e stringente di quella italiana. Nel caso di Alessandria il C6O4 è stato presentato dalla Solvay come un’alternativa al PFOA meno cancerogena e dannosa per la salute umana. Alcuni studi però contestano questa lettura. Tra questi troviamo una ricerca realizzata dal Dipartimento di Biomedicina comparata e alimentazione (BCA) e il Dipartimento di Biologia dell’università di Padova, in collaborazione con l’Istituto di Ricerca sulle Acque del Consiglio Nazionale delle Ricerche (IRSA-CNR) pubblicata su Environmental International, una della più prestigiose riviste scientifiche di studi ambientali, che evidenzia come il C6O4 altera in modo significativo i processi biologici della vongola filippina. “Per alcuni versi ancora di più del PFOA” ha spiegato Tomaso Patarnello,  professore del Dipartimento BCA dell’Università di Padova e coordinatore della ricerca. lr

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