Diritti
L’oligopolio fondato sulla pubblicità
Dall’Ocse nuove critiche al mercato televisivo italiano: è in mano a troppo pochi attori
Non fa notizia, almeno in Italia, che l’Ocse certifichi come problema strutturale della competitività in Italia l’assenza di concorrenza nel settore televisivo e la conseguente anomalia di un oligopolio delle reti pubbliche e di un solo operatore privato. E’ quanto contenuto nel rapporto "Going for Growth" pubblicato qualche giorno fa.
Come noto, a distruggere la possibilità di concorrenza nel settore televisivo non è solamente la legislazione attuale (la cosiddetta Legge Gasparri, confluita poi nel Testo Unico sulla Radiotelevisione). La stessa legge, e l’aggressività sul mercato di Publitalia, la concessionaria pubblicitaria di Mediaset, consentono alle reti private di avere condizioni di esercizio della pubblicità molto vantaggiose, in particolare per la possibilità di trasmettere pubblicità in fasce orarie migliori e per più tempo e di offrire pacchetti complessivi che costringono l’inserzionista a "puntare" su pochi contenitori.
Le discussioni sul pluralismo non dovrebbero prescindere da un’attenta analisi sugli andamenti pubblicitari e in particolare su quello televisivo che, unico caso in Europa, concentra su di sé circa il 50% delle risorse complessive.
Lo rivelano anche i dati sugli ascolti: nel 2010 il 63% dei 3,8 miliardi spesi per la pubblicità in tv è andato a Mediaset, mentre la Rai ha avuto il 23% e solo il 6% è andato a Sky e il 3,7 a La7. Questo a fronte di dati sull’audience profondamente diversi secondo i quali la Rai ha nettamente superato Mediaset sugli ascolti totali (41,3 a 37,6%). Non serve avere buoni ascolti, basta godere di leggi adeguate ai propri interessi ed avere molto potere concentrato su di sé.