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L’offensiva dei coloni e dell’esercito israeliano in Cisgiordania, all’ombra di Gaza

Il 14 novembre a Tulkarem, in Cisgiordania, sono stati uccisi dall'esercito israeliano sette palestinesi © Credito: CHINE NOUVELLE/SIPA / Ipa-Agency.Net / Fotogramma

Dal 7 ottobre, nella West Bank e a Gerusalemme Est, sono stati uccisi 218 palestinesi e 2.850 sono rimasti feriti, a causa dell’aggressione delle forze di occupazione. Quasi 3mila gli arrestati. I coloni sempre più violenti sono coperti dai militari e da pezzi di governo. Mentre i checkpoint sono chiusi e muoversi è quasi impossibile

C’è un’altra offensiva che si sta consumando all’ombra di quella di Gaza, dal 7 ottobre scorso. Si combatte in Cisgiordania, ma anche a Gerusalemme Est, dove coloni israeliani sempre più violenti attaccano i palestinesi, coperti dall’esercito e da pezzi di governo. Tanto che il presidente americano Joe Biden si è detto pronto a sanzionare i coloni colpevoli, vietando loro l’ingresso negli Stati Uniti.

Da sempre la Ong israeliana B’Tselem accusa il governo di Tel Aviv di usare le violenze dei coloni per impossessarsi delle terre palestinesi. Non si tratta quindi di un fenomeno e una denuncia nuovi, ma dal 7 ottobre -quando Hamas ha attaccato il Sud di Israele, uccidendo 1.200 persone, ed è scattata la durissima rappresaglia su Gaza, provocando a oggi 13.300 vittime- il fenomeno si è acuito. E, mentre il mondo guarda da un’altra parte, in Cisgiordania, continuano a consumarsi violenze: omicidi, pogrom, terreni e raccolti devastati e trasferimenti forzati. Di questi ultimi, in particolare, B’Tselem tiene traccia, in un elenco in cui indica i nomi di tutte le famiglie e le comunità palestinesi dell’Area C, costrette ad andarsene da una situazione diventata insostenibile.

Basta guardare la mappa, in continuo aggiornamento, per vedere come le comunità colpite dai trasferimenti forzati dopo il 7 ottobre siano più di quelle precedenti tale data: su un totale di 28 comunità, 16 sono state costrette a trasferirsi “sotto la copertura dei combattimenti di Gaza”, colpendo 149 famiglie e 874 persone, di cui 320 minori.

Si tratta quasi sempre di piccoli villaggi, in cui i coloni arrivano armati e agiscono quasi indisturbati o con la copertura, e spesso l’aiuto, dei soldati israeliani: nella migliore delle ipotesi, bloccano le strade di accesso al villaggio o impediscono il rifornimento di acqua, nelle peggiori attaccano le infrastrutture, minacciano gli abitanti o incendiano case e veicoli, come successo, per esempio a Huwara.

Ci sono comunità, come quella vicina a Tuqu, nel distretto di Betlemme -otto famiglie per un totale di 69 persone e 25 minori- dove i coloni dal 7 ottobre hanno cominciato ad arrivare di notte, minacciando i residenti e ordinandogli di andarsene. Una volta partiti, i coloni hanno vandalizzato le proprietà e con i militari hanno bloccato la strada, dichiarando i terreni agricoli e gli uliveti zona militare chiusa. “La violenza dei coloni è uguale alla violenza di Stato”, scrive a chiare lettere B’Tselem.

“Dal 7 ottobre -riferisce l’Ocha, l’agenzia delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari- la violenza dei coloni israeliani è aumentata in modo significativo, passando da una media già elevata di tre incidenti al giorno nel 2023 a una media attuale di sette al giorno”.

Ma non si tratta solo di trasferimenti forzati. Secondo il ministero della Salute palestinese, dal 7 ottobre, in Cisgiordania e a Gerusalemme Est, sono stati uccisi 218 palestinesi e 2.850 sono rimasti feriti, a causa dell’aggressione delle forze di occupazione israeliane. Quasi 3.000 i palestinesi arrestati.

Da quando Gaza è sotto attacco, la Cisgiordania è bloccata: i checkpoint sono chiusi e muoversi da un posto all’altro è quasi impossibile, per via delle enormi restrizioni alla circolazione. Intere zone dell’Area C sono inaccessibili, anche al personale e ai mezzi di soccorso, con cittadini senza la possibilità di accesso ai servizi.

A chiedere di interrompere le violenze in Cisgiordania è stato prima il presidente francese Emmanuel Macron e poi quello statunitense Biden, che in un editoriale sul Washington Post ha scritto: “Gli Stati Uniti sono pronti a compiere i propri passi, compreso il divieto di visto contro gli estremisti che attaccano i civili in Cisgiordania”.

Secondo la testata Axios, gli Usa hanno concesso a Israele di acquistare da loro migliaia di fucili M16, a patto che non sarebbero finiti negli insediamenti in Cisgiordania. Agli americani, infatti, non era piaciuta una delle mosse del ministro della Sicurezza nazionale, il colono Itamar Ben-Gvir, che ha distribuito fucili e mitragliatrici alle squadre locali di protezione delle comunità.

La Cisgiordania è diventata un far-west, dove la legge è davvero quella del più forte: “È un’area dove esiste l’anarchia e lo Stato chiude un occhio”, scrive Haaretz, citando una fonte di alto livello del governo israeliano.

Ma i coloni non agiscono soli, spesso a spalleggiarli ci sono i soldati, che li accompagnano e invece di proteggere i palestinesi, come dovrebbero fare, aiutano gli estremisti nei loro attacchi: l’esercito è obbligato a consentire ai palestinesi l’accesso agli uliveti, per esempio, molti dei quali si trovano negli insediamenti. Recentemente, invece, i soldati hanno contribuito a sradicare un migliaio di alberi secolari. E, come se non bastasse, membri della coalizione guidata dal ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, hanno chiesto che ai palestinesi non fosse concesso, nella stagione della raccolta, di prendere le loro olive, “per evitare scontri con i coloni”.

“È stato rivelato dai media che un battaglione e mezzo, che avrebbe dovuto funzionare da riserva del comando meridionale, sul confine con Gaza, non era lì il 7 ottobre, perché era stato spedito in Cisgiordania, per accompagnare e proteggere alcuni estremisti”. A raccontarlo, nella puntata extra del podcast prodotto da Altreconomia, “Oslo 30. L’illusione della pace”, è stato Yehuda Shaul, uno dei fondatori di Breaking the silence (Ong che riunisce veterani israeliani che hanno prestato servizio nell’esercito e che si battono contro l’occupazione).

“Spero che ci sia una chiara comprensione delle priorità di questo governo e spero che questo possa portare molti israeliani a rendersi conto che dobbiamo cambiare quelle priorità. Difendiamo Israele o difendiamo gli avamposti illegali in Cisgiordania?”.

Ma “se non si affrontano le cause profonde -ha aggiunto Shaul- 56 anni di occupazione, l’assedio di Gaza, i rifugiati, etc., la ragione della violenza resta. E non importa quanto sei forte, se basi la tua sicurezza nazionale sulla forza e devi vincere 24 ore su 24, 7 giorni su 7, per sempre. E una mattina, quando l’altro lato ha le stelle favorevoli, guarda l’orrore che abbiamo appena vissuto: l’attacco mortale più letale contro il popolo ebraico dai tempi dell’Olocausto. L’unico modo per farla finita è che entrambe le parti escano dalla stanza con diritti e dignità. E penso, ora più che mai, che dobbiamo far risuonare la nostra voce, porre domande, cercare di esigere coerenza, adesione alla moralità, al diritto internazionale. Provare a spingere la nostra società verso un futuro migliore. Per noi e per i palestinesi”.

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