Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Esteri / Intervista

Il discorso genocida del governo israeliano e la manipolazione del diritto contro chi abita Gaza

14 ottobre 2023, gli edifici distrutti nella Striscia di Gaza dopo i bombardamenti dell'esercito israeliano © WAFA/ROPI / Fotogramma

I vertici politici e militari d’Israele rivendicano il diritto a una vendetta su larga scala a scapito della popolazione. Che viene disumanizzata e proposta come responsabile della propria polverizzazione sotto le bombe. Intervista a Nicola Perugini, docente di Relazioni Internazionali all’Università di Edimburgo e studioso della Palestina

“Siamo di fronte a un linguaggio apertamente genocida da parte del governo israeliano, con il blocco dei Paesi occidentali che ha dato ‘semaforo verde’ all’intervento su Gaza. La popolazione civile palestinese è ancora una volta disumanizzata e il diritto internazionale manipolato per giustificare il bombardamento su vasta scala a danno di chi viene etichettato come ‘scudo umano’. È il baratro”. Nicola Perugini, antropologo e docente di Relazioni Internazionali all’Università di Edimburgo, è uno studioso attento delle dinamiche in Palestina e della relazione storica, politica e legale tra colonialismo da insediamento e apartheid nei Territori occupati.

Professor Perugini, che cosa sta succedendo?
NP C’è stato un attacco violento e brutale dei combattenti delle forze di Hamas, forse anche di altre forze. Per la prima volta sono usciti fisicamente dalla Striscia di Gaza via terra e c’è stata la brutalità che abbiamo visto. E che va però sicuramente inserita all’interno di un contesto di brutalizzazione di un regime di colonialismo di insediamento che da molti decenni produce cose non meno brutali. È molto importante contestualizzare. Per quanto orribile sia stato e sia tuttora il livello di violenza, e di quel che poi si è scatenato, è necessario contestualizzarlo dentro un sistema. Non è una questione riducibile al giustificare o non giustificare, è una questione di comprendere. La risposta che è stata data, e penso alle parole del ministro della Difesa Yoav Galant o di quelle del presidente israeliano Isaac Herzog, ha assunto le forme non solo di una vendetta ma di un linguaggio apertamente genocida. Lo hanno sottolineato anche alcuni esperti e studiosi di Olocausto e di genocidio, in particolare il professor Raz Segal della Stockton University in un recente articolo sul Jewish Currents.

In che senso si è sviluppato questo “discorso genocida”?
NP Quando uno definisce l’altro “animali umani” e dice apertamente che è legittimo trasformare l’assedio già esistente in un assedio totale, con tanto di azzeramento di acqua, elettricità, viveri e aiuti umanitari e medicine, significa che la logica in testa è di eliminazione, con l’attacco mediante forza letale contro la popolazione in quanto tale nella sua interezza. È stato ripetuto da numerosi esponenti politici israeliani che hanno negato l’esistenza totale di civili a Gaza (come il presidente Herzog). L’attacco di Hamas è stata una violazione del diritto internazionale. La risposta di Israele è stata una violazione del diritto internazionale. Attenzione però, non ci sono solo violazioni del diritto internazionale ma anche manipolazioni del diritto internazionale volte a giustificare la violenza in corso. Faccio riferimento in particolare al fatto che Israele sin dall’inizio -e poi l’amministrazione americana di Joe Biden- ha ripetuto un mantra che abbiamo già sentito in precedenti attacchi devastanti contro Gaza e contro la Striscia di Gaza. E cioè che l’intera popolazione sia una popolazione di scudi umani.

Che cosa intende?
NP Si prende una proibizione del diritto umanitario, quella cioè di usare la popolazione civile come scudo umano, e la si applica a un’intera popolazione per distogliere la responsabilità su chi bombarda. Israele ha diramato un ordine di evacuazione e di espulsione per 1,1 milioni di persone. Sono molti i palestinesi che sono andati via. Alcuni di loro sono stati anche bombardati e uccisi come rifugiati mentre stavano andando a Sud. Tanti però stanno rimanendo e hanno deciso apertamente di farlo perché non vogliono lasciare la loro terra per diventare rifugiati per la seconda volta nella storia dopo il 1948. Alcuni restano anche perché non hanno i mezzi e il modo per farlo: ci sono famiglie, persone con disabilità. La Croce Rossa palestinese ha detto “Non ce ne andiamo, non ce ne possiamo andare, non possiamo chiudere gli ospedali”. Se si chiudono gli ospedali si moltiplicano le morti su larga scala. Tutte queste persone che stanno cercando di rimanere e rimangono vengono quindi etichettate come scudi umani, suggerendo così che se vengono bombardate dal cielo la responsabilità sarà comunque dei palestinesi stessi. Siamo di fronte a un baratro.

Come viene raccontato questo baratro dal suo punto di vista? Tramite il suo profilo X (Twitter) cerca infatti di condividere analisi, fatti, contenuti, provando a decostruire questo discorso.
NP La comunicazione è una comunicazione di guerra, con le note distorsioni che avvengono in questi casi. Ma oggi accade una cosa enorme. Per me uccidere qualcuno con le mani o uccidere qualcuno con una bomba dal cielo, polverizzandolo, sono due cose che producono lo stesso risultato di violenza. Utilizzando tecniche diverse ma arrivano allo stesso esito. E invece come viene rappresentata la situazione attuale? Viene presentata agli occhi dell’opinione pubblica una parte barbara, quella che conduce e adotta forme di violenza che sono ritenute più inqualificabili della violenza che polverizza dal cielo. Arriviamo da due decenni di “guerra al terrore” in cui il discorso è stato lo stesso: c’è una violenza pulita, coloniale e imperiale. La stessa che ha attaccato l’Iraq e l’Afghanistan. L’unica cosa che vediamo sono dei video militari di bombe sganciate dall’alto, senza troppo rumore o immagini crude. Dall’altra parte invece c’è una violenza bruta e brutale. Che è indicibile, che non è più umana. Quindi quello che sta secondo me emergendo è ancora una volta un discorso di disumanizzazione di chi da decenni è sottoposto a occupazione militare. I palestinesi in quanto popolazione, in quanto gruppo, sono rappresentati come coloro che non conoscono il diritto internazionale e non conoscono quali sono le forme tollerabili e intollerabili di violenza. È un vecchio schema, lo conosciamo anche da altri contesti coloniali. Quando l’Italia fascista bombardava l’Etiopia utilizzava argomentazioni molto simili: dall’altra parte c’era una violenza barbara, indicibile, a cui il fascismo, colonizzando, rispondeva. Con una violenza presentata come umana e in linea con il diritto internazionale.

Come valuta il posizionamento delle Nazioni Unite e della comunità internazionale?
NP Il blocco occidentale si è completamente appiattito e ha dato semaforo verde alla risposta israeliana, senza prendere in considerazione alcuna i tratti apertamente genocidari del linguaggio del governo israeliano. L’Unione europea, gli Stati Uniti e molte altre potenze non hanno in sostanza detto nulla in questa direzione. Anzi, gli americani hanno intimato ai partner internazionali di non pronunciare nemmeno per sogno la parola “ceasfire”, cessate il fuoco. È un semaforo verde all’uccisione di civili su larga scala come forma di vendetta ritenuta accettabile. Siamo in una zona molto pericolosa di cui non ricordo precedenti negli ultimi anni. Le Nazioni Unite stanno cercando di esprimere un senso di minima condanna delle cose più brutali che abbiamo visto, di ottenere l’apertura di corridoi umanitari e così alleviare le sofferenze dei civili. Però l’umanitarismo, che è necessario specialmente in questa fase acuta, non basta. L’umanitarismo senza politica è pericoloso perché una “soluzione umanitaria” se la tengono in tasca anche quelli che stanno bombardando adesso. Non sarebbe poi così male -hanno non a caso affermato diversi esponenti politici israeliani in queste ore- se la comunità internazionale intervenisse e andasse ad assistere centinaia di migliaia, se non di più, di palestinesi espulsi da Gaza: “Mandiamoli nel Sinai”. I corridoi umanitari, l’assistenza sanitaria e il tenere in vita le persone di fronte a una violenza genocida è senza dubbio fondamentale. Però le Nazioni Unite hanno bisogno di esprimere qualcos’altro che non sia solo il senso di protezione umanitaria della vita. Perché, ripeto, questo non ci porta a una soluzione ma anzi potrebbe aiutare a completare un piano che non è poi neanche più così nascosto.

Ovvero?
NP C’è una parte messianica del governo di Israele che vuole “ritornare a casa” con le colonie e riprendersi interamente Gaza. O quanto meno quella parte Nord da cui vogliono far evacuare un milione di palestinesi.

Chiarita la drammaticità della situazione e la difficoltà nel tracciare possibili scenari, quali “sviluppi” intravede?
NP Non riesco a dettagliare come un architetto quello che sarà. È difficile davvero pensare a un dopo. Dico solo che il giorno stesso in cui è tornato al potere Benjamin Netanyahu nel suo discorso di insediamento ha detto che la Palestina non esiste e che il suo esecutivo avrebbe fatto di tutto per espandere il controllo territoriale e la colonizzazione nell’interezza della terra di Israele, che per lui è l’intero territorio, Gaza inclusa. Il piano è quello. Questo è un governo -inteso quello in carica appena prima dell’esecutivo di unità nazionale dopo gli attacchi di Hamas- che vede al proprio interno delle componenti che hanno visto il “ritiro” da Gaza di Ariel Sharon come un errore. A parte che non si è trattato di un ritiro -poiché Gaza è rimasta sotto occupazione a tutti i livelli (cielo, acqua, confini, etc), salvo le colonie-, quelle componenti vogliono tornare per ribaltare il quadro creatosi a Gaza nel 2005, secondo una logica di espansione e di annessione. Non ne sarei affatto meravigliato.

© riproduzione riservata 

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.


© 2024 Altra Economia soc. coop. impresa sociale Tutti i diritti riservati