Diritti
L’iscrizione al club degli esportatori di armi costa pochi euro
L’export di prodotti militari tricolori si mantiene alto e per partecipare a questo affare non ci vuole poi molto. Intanto i nostri blindati finiscono in Russia.
Senza andare nella retorica del "business che non conosce crisi" è innegabile come gli ultimi dati dimostrino lo stato di buona salute di cui gode il commercio di armi, anche italiano. I dati ufficiali recentemente rilasciati in base alle prescrizioni della 185 lo dimostrano sia per quanto riguarda le prospettive future (autorizzazioni per oltre 3 miliardi di euro) sia soprattutto per gli incassi avvenuti nel corso del 2011. E si tratta solo di flusso di cassa, non di fatturato.
Ma quanto ci vuole per partecipare al tavolo di questa torta ricca ed invitante? Un decreto di fine marzo del Ministero della Difesa, come ogni anno, ha stabilito la quota di contributo del 2012 per potersi iscrivere al Registro nazionale delle imprese e dei consorzi di imprese operanti nel settore degli armamenti. Una lista importante, perché chi ne è fuori non può nemmeno iniziare l’iter di richiesta di autorizzazione all’export secondo i criteri fissati dalla legge. Ebbene tale quota è di miseri 260 euro, cioè lo 0,0001 per mille del totale degli incassi avuti l’anno scorso. Si obietterà che il paragone è forzato e fuorviante, perché ovviamente l’iscrizione ad un registro non può essere troppo grande rispetto alle ipotesi di affari, pena l’anti-economicità del comparto. Il problema però è un altro (anche se incidentalmente ci sia consentito notare come il contributo all’associazione cooperativa di categoria sia stato per Altreconomia di 686 euro nel 2011. Quasi tre volte tanto). Il problema riguarda il controllo del percorso di autorizzazione e vendita, che le Amministrazioni pubbliche dovrebbero garantire anche a partire dalle risorse raccolte con l’iscrizione al Registro delle imprese. E che con le poche decine di migliaia di euro che si potranno incassare non è molto facile fare, tanto è vero che da anni si aspetta (invano) il sistema informatico di raccolta e integrazione dei dati di tutti i Ministeri coinvolti nel percorso di vendita degli armamenti. Uno strumento che permetterebbe di "leggere" molto più facilmente i numeri del settore e collegare immediatamente l’industria che esporta al paese di destinazione e all’istituto di credito che garantisce l’incasso. Cosa attualmente possibile solo con grande fatica e perdita di tempo, incrociando diverse tabelle chilometriche.
Certo le aziende sono ben contente di avere una soglia di ingresso così bassa a questo tipo di affari, svariati e ben remunerati. Un esempio recente? La Russia sta testando il "nostro" autoblindato Centauro, addirittura prendendo in considerazione la costruzione su licenza. Secondo OtoMelara (azienda della galassia Finmeccanica che lo produce): "I primi due esemplari con cannoni da 105 mm e 125 mm sono operativi in una struttura di addestramento della regione di Mosca". Altri due esemplari (con artiglieria di diverso calibro) si uniranno alle prove di guida e tiro previste nelle prossime settimane.
Se tutto dovesse andare per il meglio, la Russia prenderà in considerazione la creazione di una joint-venture per la produzione del blindato, probabilmente scegliendo un’azienda ad hoc all’interno del complesso militare-industriale Rosoboronexport, controllato direttamente dallo Stato. Una mossa furba da parte di Mosca (e quindi anche industrialmente poco remunerativa per l’Italia) che intende sempre di più comprare modelli d’arma stranieri "una tantum" per studiarne la tecnologia e quindi impostare la propria produzione.