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L’insurrezione in Balochistan e le conseguenze sociali degli affari cinesi in Pakistan

A inizio novembre un attentato alla stazione ferroviaria di Quetta, capoluogo del Balochistan, ha ucciso oltre 30 persone © Xinhua/ABACA / ipa-agency.net / Fotogramma

Il China-Pak economic corridor è uno dei progetti di punta in Asia della “Nuova Via della Seta”: 62 miliardi di dollari di investimenti che dovrebbero risollevare le sorti della Repubblica islamica a un passo dal default. Il porto di Gwadar, nel Sud-Ovest del Paese, è lo snodo chiave. Ma gli effetti della militarizzazione della regione e della marginalizzazione della popolazione locale sono devastanti. Ecco perché

In Balochistan, nel Pakistan Sud-occidentale, c’è un’insurrezione in atto e a pagarne le conseguenze è la popolazione locale. “La regione è stata trasformata in una zona fortemente militarizzata, ci sono ben sette forze militari diverse e stanno creando un clima di paura, ansia e trauma. Ci sono violazioni dei diritti umani su larga scala, incluse sparizioni forzate, omicidi extragiudiziali e rapimenti”, denuncia Farhad Baloch, vicino al Baloch yakhjeeti commitee -Comitato di unità Baloch- un’organizzazione pacifica che da tempo cerca di portare all’attenzione nazionale e internazionale gli abusi nei confronti del popolo Baloch. 

Ma che cosa sta succedendo in Balochistan? Per capirlo dobbiamo fare un passo indietro. La regione da ormai dieci anni è teatro di un forte cambiamento non solo per il Pakistan ma anche per la Cina. Nel 2015 è stato infatti siglato il Corridoio economico Cina Pakistan (Cecp) che non solo suggella la lunga alleanza strategica tra i due Paesi ma mira a cambiare definitivamente le rotte commerciali cinesi tramite il porto della cittadina beluci di Gwadar.

Questo investimento da 62 miliardi di dollari inserito all’interno della “Nuova Via della Seta” mira a velocizzare le esportazioni cinesi sfruttando la posizione strategica di questa piccola cittadina affacciata sul Mar Arabico. Il porto di Gwadar si trova infatti a soli 600 chilometri dallo stretto di Hormuz, permettendo così alla Cina di approvvigionarsi di risorse dai Paesi del Golfo e commerciare con il continente africano senza dover passare dal discusso Stretto di Malacca (tra Indonesia e Malesia), riducendo i tempi e soprattutto i rischi per le navi cargo cinesi.  

Il Balochistan è la regione più estesa del Paese ma anche la meno popolosa, con appena 12 milioni di abitanti -pochi rispetto a una popolazione totale di ben 250 milioni- e una storia di marginalizzazione economica e sociale con una sistematica mancanza di progettualità nel garantire infrastrutture e servizi di base alla popolazione locale. Il Cpec promette di rivoluzionare l’economia pakistana da Nord, al confine con la regione cinese del Xinjiang fino alle rive del Mar Arabico con un fitto sistema di ferrovie, strade e ponti. 

In quest’ottica il Cpec si pone come una sorta di Piano Marshall non solo per la regione ma per tutto il Pakistan, una risposta cinese ai problemi strutturali del Paese, ormai vicinissimo al default.  

Una delle voci più autorevoli sulla tematica è quella di Syed Mushahid Hussain, senatore della Lega musulmana pakistana, ex ministro delle Telecomunicazioni, sinologo e fondatore del Pakistan-China institute, uno dei più importanti think tank del Paese.

“Il Pakistan è dalla parte giusta della storia e il corso della storia contemporanea è determinata dal Secolo asiatico, dove la Cina rappresenta un partner strategico sicuro”, ha affermato durante una conferenza tenutasi al Pak-China Institute per celebrare i 75 anni della Repubblica popolare cinese. In un’intervista rilasciata al canale cinese CGTN ha aggiunto poi che il progetto è fondamentale per risollevare il Pakistan dalla profonda crisi economica innescata dall’occupazione dell’esercito americano in Afghanistan e i dai conseguenti problemi di terrorismo interno. “Il Cpec è stato un passo qualitativo in avanti nel dare fiducia e speranza ai pakistani, rendendo il Paese un hub logistico importante nella regione Sud-asiatica, connettendo il Pakistan e l’Asia Meridionale alle repubbliche centro-asiatiche e attirando investimenti anche dai Paesi del Golfo. Ad oggi ha generato 255mila posti di lavoro, ottomila megawatt di energia elettrica, 600 chilometri di strade e autostrade e ha permesso a 28mila studenti pakistani di studiare in Cina, di cui ottomila sono dottorandi. Il Cpec è fondamentale per risollevare l’economia del Paese”. 

I benefici sulla carta sono molteplici: infrastrutture green, la creazione di posti di lavoro e il parziale abbandono del carbone con la promessa di una gestione dei fondi basata sulla massima trasparenza. Trasparenza che però non è stata rispettata, già dal 2015 sono stati denunciati diversi episodi di corruzione e pratiche commerciali scorrette e nel 2017 sono stati fortemente criticati tre progetti infrastrutturali, costringendo Pechino a sospendere momentaneamente gli investimenti.  

Per la Cina la scommessa pakistana non arriva a costo zero, infatti oltre ad avere a che fare con un sistema fortemente clientelare e corrotto, i veri costi da affrontare non sono solo in termini economici ma anche sociali. Secondo uno studio della Boston University del 2020, il 63% degli investimenti cinesi nel mondo si sovrappongono con aree protette o a rischio elevato per la conservazione della biodiversità o con aree appartenenti alle popolazioni indigene, e il Balochistan non è un caso a parte. 

Si tratta di una delle regioni più militarizzate del Pakistan a causa dei vari movimenti e partiti politici che supportano una ‘’liberazione del popolo baloch’’. Secondo diverse organizzazioni il Balochistan viene trattato come una colonia da cui estrarre risorse e non come parte integrante del Paese.  

Farhad Baloch, militante per la liberazione baloch attualmente in esilio, conferma ad Altreconomia che la popolazione indigena percepisce il Cpec come un progetto neo-coloniale imposto dall’alto, senza nessun tipo di consultazione e partecipazione.

“Dalla nostra prospettiva è uno sfruttamento della nostra terra e delle nostre risorse per garantire vantaggi a forze esterne quali lo Stato Pakistano e gli investitori cinesi”, dice. Sulla militarizzazione dichiara poi che “ha portato violazioni dei diritti umani su larga scala, incluse sparizioni forzate, omicidi extragiudiziali e rapimenti”. Secondo i dati dell’Human rights council of Balochistan, un osservatorio indipendente beluci, solo nella prima metà del 2024 sono state infatti uccise 205 persone e i casi accertati di sparizioni forzate sono oltre 300. 

“La marginalizzazione economica è un tema centrale nel Cpec -continua Farhad-. Nonostante la vasta ricchezza di risorse naturali, la popolazione continua a essere povera. I profitti creati da questi investimenti non arrivano a noi ma direttamente nel tesoro di Islamabad e nelle tasche degli investitori cinesi. La mancanza di trasparenza e di governance democratica indica chiaramente che il popolo baloch non può prendere le decisioni che lo riguardano in maniera autonoma. Questo rinforza un senso di sfruttamento e alienazione dalla propria terra”. 

In questa cornice sorgono seri dubbi sulla reale redistribuzione dei benefici economici e sociali. Il Cpec si inserisce prepotentemente in una dinamica già difficile, segnata da tensioni e violazioni dei diritti umani. Il rischio che questo maxi-progetto rivoluzionario per le sorti del Pakistan si riveli un enorme cattedrale nel deserto è sempre più reale. 

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