Il nostro Paese continua a esportare armi e munizioni a uso “civile” in Israele che vengono poi rivendute negli insediamenti illegali. In un contesto di scarso controllo e crescente violenza contro i palestinesi. I casi di Beretta e Fiocchi
L’aumento delle violenze in Cisgiordania dopo gli eventi del 7 ottobre 2023 non riguarda solamente la radicalizzazione dei gruppi di coloni più estremisti e le politiche del governo israeliano, ma coinvolge direttamente anche le aziende produttrici di armi e munizioni in Italia. Il flusso ininterrotto verso Israele continua ad alimentare un mercato che, nell’ultimo anno, ha conosciuto un’espansione mai vista prima, andando ad arricchire inevitabilmente un settore che non sempre ha il pieno controllo sulla distribuzione finale della merce esportata.
“Il fatto più grave è che non solo l’Italia non ha sospeso l’invio di armi dopo il 7 ottobre ma ha continuato a mandarle per i mesi successivi del 2024 -osserva Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa (Opal)-. La maggior parte dell’export riguarda soprattutto armi e munizioni di tipo comune, cioè non predisposte per lo specifico impiego militare, ma non significa che sia meno grave considerato che possono essere acquisite da privati cittadini, tra cui gli stessi coloni che occupano illegalmente i territori palestinesi”.
Secondo l’Armed conflict location & event data (Acled), che riporta i dati del ministero della Sicurezza nazionale guidato dal leader dell’estrema destra religiosa sionista Itamar Ben-Gvir, prima del 7 ottobre circa 150mila israeliani erano già titolari di regolare licenza per il possesso di armi private, con una concentrazione particolare nelle colonie, i territori palestinesi che Israele ha annesso illegalmente secondo il diritto internazionale dopo l’occupazione militare del 1967.
Un fenomeno cresciuto in maniera dirompente negli ultimi anni e favorito dalle politiche governative di ogni schieramento che hanno aperto corsie preferenziali per le richieste provenienti dagli abitanti degli insediamenti, giustificando la loro presenza in aree definite “pericolose”: 86 delle 100 città con la più alta percentuale di licenze per il possesso di armi si trovano infatti in Cisgiordania.
“Il fatto più grave è che non solo l’Italia non ha sospeso l’invio di armi dopo il 7 ottobre ma ha continuato a mandarle nei mesi successivi del 2024” – Giorgio Beretta
Il 18 ottobre 2023, Ben-Gvir ha modificato in modo significativo le norme per l’ottenimento del porto d’armi, introducendo, tra le altre cose, colloqui telefonici in sostituzione alle valutazioni in presenza e la possibilità di richiedere una licenza semplicemente dimostrando di aver seguito tre corsi di tiro negli ultimi vent’anni. A seguito della riforma, in soli due mesi e mezzo, sono state presentate circa 300mila domande, un numero altissimo che ha superato il totale di quelle inoltrate negli ultimi vent’anni. Secondo quanto riportato a settembre dal portale israeliano HaMakom HaChi Cham, in meno di un anno sarebbero stati approvati 172.550 nuovi permessi.
Il marchio Beretta e le sue aziende controllate, come Benelli, compaiono da diversi anni nei negozi presenti in Israele e negli insediamenti illegali in Cisgiordania
Lo scorso novembre, la polizia israeliana ha reso noto che almeno 1.146 licenze delle 23mila concesse tra l’8 ottobre e il 2 dicembre 2023 sono state rilasciate illegalmente da alcuni membri dell’ufficio di Ben-Gvir, oggi formalmente indagati. Il sospetto degli inquirenti è che siano migliaia quelle concesse dal ministero dietro il pagamento di tangenti. Per tutta risposta il Governo Netanyahu ha avviato un’ulteriore semplificazione del processo di ottenimento della licenza, riducendo l’età minima per la richiesta da 27 a 21 anni e ampliando la platea degli aventi diritto anche ai cittadini israeliani che non hanno svolto il servizio militare.
Una foto pubblicata dal centro di addestramento “Caliber 3”, un istruttore insegna a un bambino a utilizzare una pistola Beretta calibro 22
Nonostante la solidità dell’industria israeliana, come ha osservato Ronen Solomon, al vertice dell’Associazione dell’artigianato e dell’industria in Israele, la domanda interna di armi da fuoco rimane fortemente dipendente dal mercato estero per via della tendenza, consolidata da decenni, di importare armi e munizioni.
Sulle pagine del quotidiano economico israeliano Calcalist, il presidente della divisione armi da fuoco dell’Associazione delle camere di commercio, Amos Golan, un mese dopo l’inizio della guerra a Gaza, ha spiegato che il 98% del mercato delle armi private israeliano è costituito da marchi importati come Glock, Sig Sauer, CZ, Smith e l’italiana Beretta, che già riforniva importanti apparati militari e della sicurezza civile israeliani. L’interesse sempre crescente per l’acquisto di armi da fuoco ha aumentato la diffusione di poligoni di tiro, negozi e centri di addestramento. Sono più di sessanta quelli riconosciuti dal governo israeliano, di cui oltre una dozzina attivi proprio negli insediamenti illegali in Cisgiordania, Gerusalemme Est e nel Golan siriano occupato.
Tra i principali importatori di armi in Israele c’è la North arms for defense and security, che gestisce nella città di Afula, secondo il suo stesso sito, il più grande punto vendita di armi del Paese segnalato da Beretta come propria filiale ufficiale e frequentato dall’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, su cui pende un mandato di arresto spiccato dalla Corte penale internazionale (Cpi) per crimini di guerra. Protagonista del settore è anche la Meir Roith Ltd, storica azienda con sede a Rishon Lezion, specializzata nell’importazione e distribuzione di armi e munizioni, anche di diversi marchi italiani. Gli importatori israeliani riforniscono sia acquirenti privati sia negozi locali, compresi quelli situati nei Territori occupati, utilizzando società di spedizioni come Hrd per recapitare armi e munizioni nelle colonie.
In particolare, il marchio Beretta e le sue controllate come Benelli compaiono da diversi anni nei negozi presenti in Israele e negli insediamenti illegali in Cisgiordania: l’azienda, però, non ha voluto rispondere alle domande di Altreconomia.
È possibile entrare in possesso di un’arma Beretta frequentando, per esempio, il noto Caliber 3, catena fondata nel 2007 da un colonnello in pensione dell’esercito nell’area di Gush Etzion, vicino alla colonia di Efrat, a pochi chilometri da Betlemme, che fornisce addestramento a soldati, compagnie di sicurezza, civili e persino turisti provenienti dall’estero, italiani inclusi. Tra le numerose fotografie pubblicate sui loro canali e sulle piattaforme di recensioni, si può osservare un istruttore mentre insegna a un adolescente, poco più che un bambino, a impugnare una Beretta calibro 22.
Il Made in Italy risulta presente nei negozi di armi israeliani e in quelli dei Territori occupati anche attraverso le munizioni, come quelle prodotte dall’azienda Fiocchi
Armi italiane si trovano anche nel negozio e poligono di tiro Shaï Levi, nell’insediamento illegale di Karnei Shomron, che negli anni ha incluso diversi prodotti Beretta all’interno del proprio catalogo, con tanto di video-recensioni pubblicate dal proprietario per orientare i clienti all’acquisto. Il negozio ha confermato di rifornirsi dalle aziende di Meir Roth e Reta a Be’er Sheva, entrambi importatori israeliani di armi e munizioni italiane.
Una fattura del 9 maggio 2024, che mostra l’acquisto di alcune confezioni di munizioni Fiocchi da parte di un cliente della Meir Roth Ltd
Il marchio Beretta è esposto anche all’ingresso nel negozio Beit Arye Guns, nell’omonima colonia, dov’è capitato che le sagome dei poligoni di tiro venissero sostituite da fotografie di uomini con indosso una keffiyeh, la tradizionale sciarpa tipicamente indossata dai palestinesi. Le pistole Beretta vengono poi vendute e pubblicizzate nel poligono dell’insediamento di Ariel, dove la moglie del ministro Ben-Gvir si esercita abitualmente. Oltre a fucili e pistole, il Made in Italy risulta presente nei negozi di armi israeliani e in quelli dei Territori occupati anche attraverso le munizioni, come quelle prodotte dall’azienda lecchese Fiocchi. Altreconomia ha visionato una fattura risalente al 9 maggio 2024 che mostra l’acquisto di alcune confezioni di munizioni Fiocchi da parte di un cliente della Meir Roth Ltd.
Inoltre, la presenza di munizioni italiane è confermata all’interno di alcuni insediamenti illegali, tra cui quelli di Ariel e Beit Arye, dove vengono vendute e utilizzate nei poligoni di tiro. L’azienda ha dichiarato ad Altreconomia di aver esportato munizioni in Israele fino al gennaio 2024 per poi decidere di sospendere le vendite verso Tel Aviv per una non meglio specificata “scelta aziendale”, fatta eccezione, ha sottolineato il presidente Stefano Fiocchi, “per un’ultima spedizione a marzo che andava a sostituire merce precedentemente consegnata”. L’azienda sostiene inoltre “di aver venduto munizioni ad esclusivo uso civile al suo unico distributore storico in Israele con regolare licenza export rilasciata dal preposto ente ministeriale”, riconoscendo tuttavia di non disporre di strumenti per il controllo della distribuzione del mercato interno israeliano e non escludendo perciò la possibilità che le proprie munizioni possano essere vendute all’interno delle colonie illegali. Nel periodo compreso tra gennaio e settembre 2024, secondo i dati dell’Istat, l’export di armi e munizioni verso Israele è stato pari a 5.181.527 euro. Dalla provincia di Lecco, dove Fiocchi come detto ha sede, nei primi nove mesi del 2024 sono state registrate esportazioni per oltre 1,4 milioni di euro. Da Brescia, sede della Beretta, le esportazioni effettuate nello stesso periodo ammontano a oltre 550mila euro.
Il principale esportatore di armi civili verso Israele restano comunque gli Stati Uniti, dove le aziende italiane hanno delocalizzato una parte della propria produzione. Il gruppo Beretta possiede infatti tre stabilimenti in Maryland, Louisiana e Tennessee, mentre Fiocchi vanta impianti di produzione in Missouri e un centro di distribuzione in Arkansas. Secondo l’American friends service committee, che monitora le esportazioni di armi dagli Stati Uniti, tra gennaio e settembre 2023 Israele aveva importato una media di 1.700 armi da fuoco al mese solamente da Washington. A ottobre 2023 il numero è salito a 5.500 fino ad arrivare a 22mila a novembre dello stesso anno, con un incremento del 1.500% rispetto allo stesso mese del 2022.
Accanto ai negozi ufficiali, i cittadini israeliani e i coloni dei Territori occupati possono procurarsi pistole e fucili attraverso il mercato tra privati, privo di adeguati controlli. Sono tantissimi gli annunci di compravendita nei gruppi Facebook di appassionati di armi, che raccolgono decine di migliaia di iscritti. Fin dai primi giorni dell’operazione “Spada di Ferro” -la devastante offensiva militare israeliana in corso contro la Striscia di Gaza che, secondo la Corte penale internazionale, presenta elementi compatibili con il genocidio- l’esercito israeliano ha inoltre continuato ad addestrare e armare centinaia di coloni affiliati ai battaglioni di “Difesa regionale” in Cisgiordania, che hanno l’obiettivo formale di affiancare le forze armate nella difesa degli insediamenti ma che, in realtà, vengono spesso coinvolti in operazioni di espulsione sistematica dei palestinesi.
Diverse Ong e l’Ufficio per il coordinamento degli Affari umanitari delle Nazioni Unite (Ocha), al 16 settembre 2024 riportano almeno 1.630 episodi violenti commessi da coloni israeliani, con almeno dieci vittime tra i civili palestinesi e 277 famiglie sfollate da 19 comunità. Dopo il 7 ottobre Itamar Ben-Gvir ha fornito alle squadre di difesa degli insediamenti migliaia di pistole, fucili semiautomatici M-16 e mitragliatrici, mentre altre centinaia di armi sono state acquistate dai Consigli regionali delle colonie grazie a donatori in tutto il mondo. La difficoltà del monitoraggio del traffico di armi all’interno dei Territori occupati è un tema anche per le organizzazioni dei diritti umani, spiega Yesh Din, un gruppo pacifista israeliano impegnato a documentare le violazioni dei diritti dei palestinesi e al monitoraggio delle attività delle colonie.
“L’aumento delle violenze e degli incidenti mortali conferma che la diffusione delle armi da fuoco tra i civili abbia raggiunto livelli senza precedenti” – Uri Cirlin
“Un israeliano che vive negli insediamenti illegali ha tanti modi diversi per procurarsi un’arma e al giorno d’oggi è ancora più semplice -aggiunge Uri Cirlin, portavoce del gruppo-. Molti coloni sono militari che servono regolarmente nell’Idf, altri fanno parte delle Kitot Konenut (le squadre di emergenza degli insediamenti, ndr), e ora, con le nuove riforme di Ben-Gvir, praticamente ogni residente può acquistare un’arma privata”. La società israeliana è talmente militarizzata che è difficile avere delle statistiche puntuali. “Tuttavia l’aumento delle violenze e degli incidenti mortali -conclude l’attivista- conferma che la diffusione delle armi da fuoco tra i civili abbia raggiunto livelli senza precedenti”.