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L’insostenibilità di Intesa Sanpaolo: dall’industria fossile russa al gas statunitense
A tre mesi dall’invasione russa dell’Ucraina, ReCommon continua a tenere la luce accesa sugli affari di Intesa Sanpaolo. Resta infatti il gruppo finanziario italiano con le relazioni più strette -e compromettenti- con Mosca e si è già ben posizionata nel business del “gas made in Usa”. Il report “La finanza va alla guerra”
A tre mesi dall’invasione russa dell’Ucraina, ReCommon continua a tenere la luce accesa sugli affari di Intesa Sanpaolo pubblicando il rapporto “La finanza va alla guerra: Intesa Sanpaolo tra industria fossile russa e gas statunitense”.
“Intesa Sanpaolo è il gruppo finanziario italiano con le relazioni più strette con Mosca, curando tutti i principali investimenti italiani in Russia e viceversa -ricorda l’Ong-. Tra il 2016 e il 2021, i finanziamenti concessi all’industria fossile russa ammontano a 4,9 miliardi di dollari. Di questi, 2,9 miliardi alla sola Gazprom, principale società energetica controllata dallo Stato, che può fare il bello e il cattivo tempo quando si tratta di export di gas russo verso l’Europa, di cui quest’ultima è dipendente, Italia in primis. I profitti derivanti dal business di queste società rappresentano il forziere che alimenta l’offensiva militare in corso in Ucraina”.
Il report non si preoccupa “solo” di numeri. “Quando si parla di ‘esposizione al business russo’ ci sono anche altri dati da tenere in considerazione -si legge nel documento curato da Simone Ogno e Daniela Finamore-: ‘uomini forti’ nelle posizioni chiave e curiose coincidenze. Tra queste, la mancata inclusione di Gazprombank tra le banche russe soggette a sanzioni economiche da parte dell’Unione europea, attraverso l’esclusione dal sistema SWIFT. Intesa Sanpaolo e Gazprombank detengono il MIR, primo fondo di investimenti italo-russo. Inoltre, l’unico italiano nel board del sistema SWIFT è proprio di Intesa Sanpaolo: Banca Intesa Russia, per la precisione”.
Il colosso ha puntato tutto sull’idea di “banca sostenibile”, al servizio dei territori. ReCommon da tempo smonta questa narrazione -“Niente di più distante dalla realtà”- facendo parlare i dati. “Tra il 2020 e il 2021, Intesa Sanpaolo ha finanziato i settori del carbone, del petrolio e del gas con 9 miliardi di dollari. Di questi, 6,4 miliardi nel solo 2021: un incremento del 146% rispetto all’anno precedente”. Per quanto riguarda gli investimenti, al primo gennaio 2022 ammontano a “4 miliardi di dollari: +50% rispetto all’anno precedente”. Osservando questo “mix di operazioni creditizie e di investimenti nel business fossile” ReCommon definisce Intesa Sanpaolo come la “banca nemica del clima” numero uno in Italia.
Russia a parte, l’istituto di Corso Inghilterra è esposto anche negli Stati Uniti. Una meta fossile a cui l’Italia ha scelto di legarsi “a doppia mandata per buona parte della sua ‘nuova dipendenza’ dal gas”. Nel report infatti si ricorda come sia stata “la finanza privata a guidarci nell’economia del petrolio, e ci sta trainando in quella del gas”.
Il gas che arriva in Europa dagli Stati Uniti è prodotto prevalentemente nel Permian Basin, attraverso l’utilizzo di pratiche ultra-invasive come il fracking o la trivellazione orizzontale. “Si stima che, fra il 2020 e il 2050, la combustione di tutte le riserve di petrolio e gas del Permian Basin possa produrre l’emissione di 46 miliardi di tonnellate di CO2: una vera e propria ‘bomba climatica’”, denuncia di nuovo ReCommon.
Nel business del “gas made in Usa” Intesa è ben posizionata. “In primis sul fronte dei terminal per l’export, pronta a saltare sul carro dei ‘vincitori fossili’ di questa guerra: tra il 2016 e il 2021 ha concesso infatti prestiti per 1,9 miliardi di dollari alle multinazionali maggiormente coinvolte nella produzione e trasporto di petrolio e gas del Permian Basin. Di questi, 830 milioni di dollari per progetti di gas naturale liquefatto che arriva in Europa”.
Significativo il contributo nel report di Naomi Yoder dell’Healthy Gulf: “Intesa Sanpaolo dovrebbe venire a visitare le comunità dell’area, che sono malate a causa dell’inquinamento e che si stanno ancora riprendendo dagli uragani. Dovrebbe provare empatia e comprensione per le persone, e poi cambiare approccio: dal finanzia- mento ai progetti fossili alle sole energie rinnovabili. La costa del Golfo non è una ‘zona di sacrificio’ per le istituzioni finanziarie o per chiunque altro. Comunità ed ecosistemi sono preziosi: che si aiutino, invece di far loro del male”.
Ecco perché ReCommon chiude il report con un sintetico elenco di richieste. Tra queste, che “Intesa Sanpaolo implementi un piano di fuoriuscita da tutto il settore carbonifero, che smetta di finanziare progetti fossili nella Regione artica e che inizi a disinvestire da tutte quelle società che ora, mentre parliamo, stanno espandendo il proprio business fossile. Inoltre, chiediamo al gruppo di chiudere immediatamente ogni relazione con l’industria fossile russa”. Ogno e Finamore ricordano come “investitori, organizzazioni della società civile, movimenti per la giustizia ambientale e climatica” siano in prima fila nel “denunciare gli sporchi affari del gruppo”. “Ormai davvero in pochi credono al greenwashing di Intesa Sanpaolo, che continua a tingere di verde un business nero”.
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