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Altre Economie / Opinioni

L’innovazione non viene dalla tecnologia, ma dalle generazioni nuove

Gli studenti del Liceo classico Parini di Milano protestano contro la didattica a distanza a gennaio 2020

Oggi tutte le categorie dei sacrificati dal sistema del capitalismo globale stanno pagando il prezzo maggiore degli effetti dell’epidemia. Tra loro ci sono proprio i più giovani. I loro diritti sono rimossi, le loro esigenze dimenticate. Le “idee eretiche” di Roberto Mancini

Tratto da Altreconomia 234 — Febbraio 2021

Da dove viene l’innovazione? Per capirlo bisogna anzitutto portare l’attenzione sulle nuove generazioni, prima ancora che perdersi in un dibattito sulla tecnologia. Oggi tutte le categorie dei sacrificati dal sistema del capitalismo globale stanno pagando il prezzo maggiore degli effetti dell’epidemia. Tra loro ci sono proprio i più giovani. I loro diritti sono rimossi, le loro esigenze dimenticate. Tale convergenza di rimozione, dimenticanza e sacrificio indica che siamo in presenza di una tendenza dominativa divenuta automatica. E se è automatica vuol dire che è inscritta nella logica di funzionamento dei grandi sistemi del potere globale, a partire dal mercato a guida finanziaria. Su tre questioni soprattutto si vede la perpetuazione del meccanismo sacrificale. La prima è la diffusa mancanza di ascolto, di empatia, di rispetto, di prossimità e di disponibilità a tenere aperta la strada del cammino di chi è nell’infanzia, nell’adolescenza, nella giovinezza. Da decenni non viene più svolta quella funzione di accompagnamento che chi è adulto deve svolgere verso chi è più piccolo. Le risse di gruppi di adolescenti in strada sono solo uno dei molti sintomi di un malessere che, oltre che esistenziale, è politicamente ed economicamente prodotto.

La seconda questione è quella della rigenerazione della scuola. La scelta di mantenere in larga misura chiusi gli istituti scolastici, oltre che dalla giusta necessità di fermare il contagio, è stata aggravata sia dall’imprevidenza che ha determinato la mancata riorganizzazione del sistema dei trasporti, sia dalla superficialità di ritenere la cosiddetta “didattica a distanza” un’alternativa adeguata rispetto alla normale vita scolastica, senza considerare che si tratta di una “didattica” inconsistente, priva di relazione educativa. Se non si rigenera la scuola in senso educativo, critico, etico e umanizzante, è tutta la società a pagare il prezzo di questa incuria deliberata.

La terza questione, più complessiva, sta nella mancanza di pensiero, di immaginazione e di coraggio dei governi (in Europa e nel mondo), rispetto all’opportunità di avviare una diversa organizzazione del lavoro, dell’economia e del diritto al reddito minimo universale a fronte dell’impatto delle misure di contenimento necessarie per la sicurezza sanitaria. Finché resta il modello di economia vigente, il presente e il futuro sono compromessi per tutti e anzitutto per quelli che invece potrebbero trasformare la società. Nella situazione attuale è urgente una svolta ispirata al senso di responsabilità solidale, di giustizia anche intergenerazionale, di salvaguardia ecologica e di democrazia integrale. Una svolta simile non si attua senza l’alleanza tra le generazioni. Un’alleanza che, se deve assicurare la cura educativa e la novità di chi è più giovane, deve nel contempo riconoscere alla generazione nuova lo spazio e la capacità di rinnovare il volto della storia.

È illusorio credere che sarà la tecnologia a risolvere ogni problema. Quella che viene detta “innovazione” ha luogo sempre a condizione che i giovani, o almeno i più consapevoli tra loro, possano portare alla luce una forma inedita nel modo umano di abitare il mondo. Alla società della fragilità globale non serve la competitività, ma la generatività, non la flessibilità, ma la creatività, non la crescita, ma l’armonizzazione delle relazioni vitali. Chi guarderà al futuro con lo sguardo dei sacrificati saprà vedere le priorità della trasformazione della società e i modi per attuarle. Solo per questa via l’epoca dell’epidemia potrà invece rivelarsi l’epoca della guarigione della società. Coloro che si impegnano per trasformare l’economia devono sapere che non possono eludere un compito di accompagnamento intergenerazionale. Devono riaprire o creare strade culturali, economiche e politiche affinché i più giovani possano procedere creativamente nella loro vita e, così, rigenerare la vita di tutti. L’innovazione non viene dalla tecnologia, ma dalle generazioni nuove.

Roberto Mancini insegna Filosofia teoretica all’Università di Macerata; il suo libro più recente è “Filosofia della salvezza. Percorsi di liberazione dal sistema di autodistruzione” (EUM, 2019)

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