Crisi climatica / Attualità
L’inaspettato ritiro di Enel dalla partita dell’idrogeno “verde” in Cile
A inizio ottobre Enel Green Power Chile, insieme alla multinazionale Hif, ha fatto un momentaneo passo indietro rispetto al maxi progetto “Faro del Sur” da realizzare in Patagonia, lamentandosi per le osservazioni sull’impatto ecologico formulate nell’iter di valutazione ambientale. Il punto della situazione
Nelle ultime settimane Enel è stata al centro di un intenso dibattito a proposito di un mega progetto di produzione di idrogeno “verde” da realizzare in Patagonia, nell’estremo Sud dell’emisfero australe. Non è la prima volta che la multinazionale italiana fa parlare di sé in Cile, dove è leader nella produzione e distribuzione elettrica e fornisce il 26% della potenza installata nel Sistema elettrico nazionale.
Sebbene Enel sia proprietaria di otto centrali termoelettriche a gas e petrolio nel Paese e abbia chiuso solo il mese scorso l’ultima discussa centrale a carbone, in questa occasione il polverone politico e mediatico si è alzato attorno a un progetto rinnovabile chiamato Faro del Sur, e presentato a inizio agosto al Servizio di valutazione ambientale (Sea, la sigla in spagnolo). Si tratta un parco eolico di 65 aerogeneratori da cinque MegaWatt ciascuno, da distribuire su un territorio di quasi 3.800 ettari, con un investimento di 500 milioni di dollari. L’energia eolica prodotta sarà poi destinata ad alimentare il primo mega impianto di produzione di idrogeno “verde” in Cile, a carico di un consorzio di imprese guidate da Highly innovative fuels (Hif) e tra cui figura la stessa Enel, che punta alla raffinazione di gasoline sintetiche, meno inquinanti della benzina, da vendere in Europa.
Enel Green Power Chile, insieme all’impresa multinazionale Hif, lo scorso 6 ottobre ha annunciato però il ritiro del progetto eolico dal Sea. Questa decisione unilaterale è stata influenzata da due documenti di osservazioni critiche che lo stesso ente di valutazione ambientale avrebbe ricevuto pochi giorni prima. Uno era arrivato il 29 settembre da “un gruppo di oltre 10 specialisti di diverse discipline come geografi, biologi, ornitologi e avvocati” e segnalava come al progetto mancassero informazioni e linee guida fondamentali per una corretta misurazione dell’impatto ecologico. Il giorno seguente anche la segreteria regionale del ministero dell’Ambiente, rappresentata da Daniela Droguett, evidenziava un numero consistente di omissioni e inesattezze nel progetto, consigliandone il ritiro.
Tutto questo “è parte del processo che affrontano normalmente le imprese della regione” ha assicurato Daniela Droguett ai media locali nei giorni seguenti, “i progetti passano dal Sistema di valutazione d’impatto ambientale, che raccoglie i pareri di diversi organismi pubblici con competenza ambientale. Quando un progetto riceve molte osservazioni, di solito si ritira per essere aggiornato e presentato nuovamente”. Eppure in questo caso di fronte al ritiro del progetto sono intervenuti sulla stampa deputati, autorità regionali, ministri ed ex ministri e perfino il padre del presidente Gabriel Boric. Ad accendere la miccia è stato il comunicato emesso da Enel e Hif dove si legge che le osservazioni “oltrepassano lo standard abituale” per concludere che “alla luce di queste esigenze eccezionali è necessario capire quali richieste si possono incorporare e quali definitivamente rendono irrealizzabili progetti di questo tipo nella regione”.
La direttrice del Sea, Valentina Durán, è rimasta sorpresa dalla totale mancanza di autocritica dell’impresa: “Mi sarei aspettata che affermasse di voler procedere a migliorare e completare il progetto per presentarlo nuovamente” ha detto pubblicamente.
Secondo Diego Luna Quevedo, uno degli esperti che ha firmato la prima richiesta di ritiro del progetto, “Enel e Hif stanno cercando di misurare la loro forza nei confronti dell’autorità pubblica, stanno verificando se l’investimento da 500 milioni pesa più delle regole ambientali”. Lo specialista della Ong Manomet evidenzia inoltre che il parco eolico Faro del Sur si era già aggiudicato, nel dicembre 2021, un finanziamento pubblico di quasi 17 milioni di dollari, stanziato dalla Corporación de Fomento de la Producción (Corfo). “Lo Stato cileno sta finanziando un progetto di grandi dimensioni, il minimo è che esiga uno studio di impatto ambientale rigoroso”, insiste. La gravità della situazione è accentuata dal fatto che si tratta del primo progetto collegato all’idrogeno “verde” ad affrontare la valutazione ambientale in Cile. Dietro a Faro del Sur, attente a quel che succede in Patagonia, ci sono decine di altre imprese interessate a investire capitali nel nuovo business.
Sono due i fronti contrapposti: da una parte c’è chi ritiene inopportuno o addirittura pericoloso frenare l’iniziativa imprenditoriale, dall’altra le istituzioni che insistono sul rispetto delle norme ambientali vigenti in Cile. Ma nella regione di Magallanes sta prendendo forma anche un terzo fronte: composto da organizzazioni, settori accademici e professionisti, si tratta di un gruppo competente tecnicamente e radicato sul territorio, che sta monitorando attivamente il processo di installazione dell’industria dell’idrogeno e che non esisteva ancora quando Enel ha deciso di scommettere su questo tipo di produzione. Da mesi evidenzia anche le carenze delle istituzioni pubbliche: a luglio una lettera al presidente Boric firmata da oltre 80 entità ed esperti segnalava il rischio di sacrificare un intero territorio in termini sociali ed ecologici per rispondere alle esigenze della transizione energetica europea. L’attuale governo infatti, seguendo la linea avviata dal precedente, di segno politico opposto, promuove il Cile al resto del mondo come un’ottima opzione per lo sviluppo dell’idrogeno “verde” ma non si è ancora attivato per aggiornare e modificare le regole della valutazione d’impatto ambientale, attualmente inadeguate ad affrontare la complessità di progetti di questa entità e tipologia.
Se il dibattito scatenatosi sui media cileni a proposito del Faro del Sur ha mostrato quali e quanto rilevanti siano gli interessi in gioco, brillano per la loro assenza i processi partecipativi che dovrebbero permettere alle persone direttamente interessate, cioè gli abitanti della regione di Magallanes, di informarsi, esprimersi e decidere sul futuro del territorio in cui vivono. Si tratta di un aspetto centrale in direzione di una transizione giusta, a maggior ragione considerando che quella dell’idrogeno verde è una scommessa piena di incognite. Non solo dal punto di vista commerciale e tecnologico ma soprattutto perché non prende in considerazione una premessa fondamentale: per affrontare la crisi climatica non è sufficiente sostituire le fonti fossili, bisogna ripensare i nostri modelli di consumo energetico.
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