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Economia / Reportage

L’impatto del megaporto di Chancay, segno dell’espansione cinese in Perù

Miriam Arce abitante di Chancay e presidente del fronte di difesa cittadino © Letizia Molinari

Gli investimenti di Pechino hanno trasformato la cittadina a Nord di Lima nel più grande scalo portuale della costa pacifica. Uno snodo logistico decisivo nella battaglia commerciale con gli Stati Uniti. Con devastanti ricadute sulle comunità

Tratto da Altreconomia 277 — Gennaio 2025

Nel giro di soli cinque anni Chancay, un piccolo villaggio di pescatori a Nord di Lima, è diventato il più grande porto della costa del Pacifico, e potenzialmente un futuro snodo cruciale del commercio marittimo globale.

L’enorme progetto è già costato al colosso cinese Cosco shipping ports ben 1,3 miliardi di dollari, per un totale previsto di 3,6 miliardi. Dopo la crisi idrica nel canale di Panama e quella geopolitica nel Mar Rosso, Chancay ridisegna le rotte commerciali, assicurando alla Cina un ingresso diretto e privilegiato nei mercati del Sud America, ora raggiungibile in soli 23 giorni di navigazione.

Con il megaporto, entrato in attività questo gennaio dopo la visita di Xi Jinping in persona, si inaugurano nuovi corridoi per l’agribusiness e l’estrazione mineraria con impatti sociali e ambientali elevati su tutta la filiera, ma anche sulla stessa Chancay, dove nonostante la dura repressione, pescatori e cittadini si sono organizzati contro la costruzione del porto.

Fino a pochi anni fa, il villaggio era un angolo tranquillo, poco più grande di Olbia, conosciuto soprattutto per la sua fabbrica di farina di pesce. Oggi al suo posto si erge un imponente complesso portuale tra i più avanzati al mondo, dotato di una centrale automatizzata, 15 gru meccaniche, quattro moli e due chilometri di tunnel sotterranei, a cui si aggiungeranno in futuro un’area logistica e una zona industriale.

Si stima che una volta pienamente operativo il megaporto gestirà più di 1,5 milioni di container all’anno. Per raggiungere un simile volume, il fondale marino di Chancay è stato scavato fino a 17 metri di profondità per facilitare il passaggio delle navi portacontainer capaci di trasportare fino a 24mila unità. Per Antony Apeño, biologo marino della Ong peruviana CooperAcción, gli effetti sulla fauna locale sono stati gravemente sottostimati nella valutazione di impatto ambientale.

Il costo complessivo previsto del megaporto è di 3,6 miliardi di dollari. A oggi sono stati investiti 1,3 miliardi

“Il dragaggio dei fondali marini è forse una delle attività più dannose perché aumenta il rischio di liberare i gas serra immagazzinati nelle profondità, ma anche di generare sedimenti che, disperdendosi, potrebbero ostruire gli organi respiratori e digestivi di pesci, crostacei e molluschi. La loro sparizione potrebbe comportare l’alterazione della catena trofica marina, con conseguenze gravissime per gli ecosistemi e la pesca artigianale”. Tra le principali criticità del megaporto, il biologo sottolinea il rischio per le rotte migratorie delle megattere e delle balenottere azzurre, nonché la distruzione delle zone umide e delle lomas, ecosistemi costieri unici, alimentati dalla nebbia che ospitano una ricca biodiversità di piante e animali endemici.

La scarsità di pesci è una realtà allarmante anche per i pescatori locali, che si sono organizzati in comitati per far sentire la loro voce. Vivere di pesca artigianale è ormai quasi impossibile: molti sono costretti a trasferirsi o a cambiare mestiere. “Sono nato su questa spiaggia -racconta Carlos Asencios, vicepresidente della Federazione dei pescatori del Norte Chico, in mare sin dall’età di otto anni-. Qui vive la mia famiglia e, da generazioni, sopravviviamo grazie alla pesca. Oggi non ho altra scelta che lavorare come autista per sbarcare il lunario”. La sua storia non è un caso isolato. Un altro pescatore, oggi guida turistica al porto, si lamenta della situazione: “non posso più pescare. I granchi che catturavo sono sepolti sotto le macerie della montagna. Dovrò andarmene o trovare un’altra occupazione”.

Il distretto di Chancay

Ma le ripercussioni del megaporto non si limitano alla pesca. Per fare spazio al progetto, un’intera montagna è stata rasa al suolo, con esplosioni quotidiane che, intensificandosi nel tempo, hanno fortemente danneggiato le abitazioni, nonché la qualità della vita degli abitanti. Miriam Arce, pittrice e residente di lunga data, si è unita al fronte di difesa cittadino, di cui oggi è presidente, quando cominciarono i lavori per la costruzione del tunnel sotterraneo a sei corsie dietro casa sua.

Nel suo atelier i dipinti a olio della baia scomparsa contrastano con l’enorme cantiere che domina la vista dalla finestra. “Qui nel porto viviamo per difenderci -spiega-. Un giorno è il rumore assordante, quello dopo la polvere sottile, poi le crepe in casa e il tetto che rischia di crollarti sopra la testa. Questa non è vita”. Il comitato denuncia che i lavori del tunnel furono avviati senza adeguati studi geologici, come testimonia un grave crollo avvenuto nel 2023, peggiorando ulteriormente i rischi per la sicurezza dei residenti.

Se della vecchia Chancay rimane ormai poco, le trasformazioni sono appena cominciate. La costruzione del megaporto è solo l’inizio di un processo che avrà gravi ripercussioni su ambiente, società ed economie locali. Tra le preoccupazioni maggiori vi sono l’accaparramento incontrollato delle terre circostanti, l’aumento della violenza e dei traffici illegali, ma anche della pressione demografica e della speculazione immobiliare.

Il megaporto di Chancay conta 15 gru, quattro moli e due chilometri di tunnel © Letizia Molinari

È quanto è accaduto a Las Bambas, altra enclave cinese nelle Ande peruviane che ha conosciuto in pochi anni una crescita esponenziale della popolazione su impulso dell’attività miniera, senza però sviluppare servizi e infrastrutture sufficienti a supportare tale dinamica. Come in quel caso anche per Chancay, a fronte di tanti rischi, i benefici potrebbero essere limitati. “Il Perù non possiede le azioni del megaporto, chi va a beneficiarne saranno i giganti privati come Volcan e Cosco (China ocean shipping group). Abbiamo sacrificato turismo, pesca e agricoltura per costruire un megaporto automatizzato che non porterà né industrializzazione né lavoro”, racconta Miriam.

Se infatti l’obiettivo dichiarato è fare di Chancay un hub portuale e commerciale strategico per la regione, non vi sono certezze che ciò spingerà il Perù verso un’economia più diversificata. Al contrario il megaporto non farà che rafforzare il ruolo del Paese come fornitore di materie prime a basso costo. Chancay è la porta di un corridoio produttivo che intreccia le coste del Pacifico con le regioni agricole dell’entroterra, la foresta amazzonica e le aree minerarie.

La partecipazione azionaria di Volcan nel megaporto è pari al 40%. Si tratta di una delle maggiori aziende minerarie peruviane

L’espansione dei sistemi irrigui e la creazione di nuove infrastrutture logistiche puntano a potenziare l’agroindustria, in particolare la produzione intensiva di frutta, asparagi, mais, canna da zucchero, cacao, caffè e avocado, di cui il Perù è già il secondo esportatore mondiale. Anche in questo settore, gli interessi di Pechino sono molto forti: solo nell’area del porto, una compagnia cinese sta finanziando un progetto irriguo su più di 80mila ettari di terreno. Queste dinamiche espansive allertano la popolazione, in particolare nell’area amazzonica dove le comunità indigene temono un aumento della deforestazione selvaggia.

Ma l’agribusiness non è l’unico settore che potrebbe beneficiare del megaporto. Sebbene i promotori neghino che il trasporto di minerali sia una priorità, i conflitti di interesse sembrano suggerire altro. Il 40% delle azioni del porto appartiene a Volcan, compagnia del Paese proprietaria della più grande miniera a cielo aperto del Perù, a Cerro de Pasco.

Il settore estrattivo è in piena espansione, con la Cina che rappresenta il principale acquirente, assorbendo metà delle esportazioni di rame, zinco e oro, risorse cruciali per la transizione energetica. Chancay potrebbe diventare un crocevia strategico per l’intero Sud America, catalizzando il commercio dal triangolo del litio di Argentina, Cile e Bolivia e ampliando le rotte per prodotti come la soia brasiliana e il legno cileno.

Sullo sfondo delle tensioni commerciali crescenti tra Cina e Stati Uniti, il porto potrebbe assumere anche un valore militare, mentre nel Sud del Perù si pianifica già un nuovo megaporto americano per contrastare l’espansione cinese. Chancay si conferma così l’ennesima zona di sacrificio del Perù estrattivista, emblema di un modello economico predatorio, che sfrutta risorse naturali per soddisfare gli appetiti dei mercati globali, producendo ricadute minime sull’economia locale.

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