Economia / Attualità
L’impatto del Covid-19 sui birrifici artigianali e gli aiuti alle multinazionali
Gli oltre 900 produttori artigianali e agricoli del Paese sono in condizioni drammatiche, in particolare i microbirrifici, a causa della chiusura dei canali di vendita. Il Governo però non ha previsto specifiche misure di sostegno. I colossi del settore, intanto, tornano a chiedere sconti milionari sulle accise
La crisi pandemica rischia di far scomparire gli oltre 900 birrifici artigianali e agricoli presenti in Italia. A denunciarlo è la Confederazione italiana agricoltori (Cia) che stima un crollo del fatturato del 90% a causa delle chiusure dovute al Covid-19. Il comparto artigianale che in Italia produce, dati di Unionbirrai alla mano, circa 500mila ettolitri di birra l’anno per un fatturato pari a 250 milioni di euro, rischia così di chiudere i battenti ma il Governo, fino ad ora, non ha previsto specifiche misure per limitare gli effetti della crisi.
Nonostante una recente pubblicazione di Osservatorio Birra dimostri come, per il 71% degli italiani, la birra sia stata la bevanda più consumata durante il lockdown l’intero comparto è in crisi. Secondo il rapporto “La creazione di valore condiviso del settore della birra in Italia”, realizzato da Althesys, ammonterebbero a 1,6 miliardi di euro le perdite di valore condiviso entro la fine dell’anno, con una contrazione del 34,2% rispetto al dato del 2019. Una crisi che va a colpire maggiormente distribuzione e logistica con Ho.Re.Ca. (Hotellerie-Restaurant-Café) che da sola perde 1,4 miliardi. La timida ripresa in estate, con un aumento della produzione nei mesi di luglio (+8%) e agosto (+2%), non è bastata a compensare la battuta d’arresto dei mesi a cavallo del lockdown: da marzo a giugno 2020 la produzione della birra ha subito una netta battuta d’arresto (-22%) con picchi, tra marzo e maggio, del 30%.
Questi dati comprendono anche la produzione non artigianale. Se da una parte dimostrano che anche i grandi produttori non sono al riparo della crisi, suggeriscono la drammaticità della situazione in cui versano gli oltre 900 birrifici artigianali e agricoli del Paese che rappresentano “appena” il 4% dell’intero comparto di produzione della birra. “Per il mondo artigianale che non è presente nella grande distribuzione organizzata -spiega Vittorio Ferraris, presidente di Unionbirrai, l’Associazione di categoria dei produttori artigianali- i lockdown sono stati micidiali. Sono stati chiusi tutti i principali canali di vendita su cui si reggevano: basti pensare che il 30% delle nostre aziende forniscono il servizio di mescita diretta al pubblico nei cosiddetti BrewPub, ovvero produzione e somministrazione si realizzano sono nello stesso stabile. Se si aggiunge la chiusura dei pub, dei punti vendita e in assenza di sagre ed eventi locali, le vendite non possono che crollare”. Il birrificio Sant’Andrea, di cui Ferraris è titolare, produce 1.500 ettolitri l’anno ma per il 2020 stima una contrazione nella produzione di più del 50% dovuta ad una riduzione nelle vendite pari a circa il 90%. “Inoltre, siccome il lockdown del mese di marzo è avvenuto nel periodo in cui si prepara lo stock di magazzino per le grandi vendite dell’estate, bisogna considerare anche le perdite legate al deperimento dei nostri prodotti: le nostre birre non sono pastorizzate e la maggior parte del non venduto è andato a male”.
Per questo motivo alcuni microbirrifici hanno cercato di reinventarsi fin da subito. È il caso del Ritual Lab di Formello, provincia di Roma, nominato come miglior birrificio dell’anno 2020 nel prestigioso concorso promosso da Unionbirrai. “Da marzo -spiega il titolare Giovanni Faenza- siamo riusciti a ripiegare la nostra produzione in diverse birre da invecchiamento che richiedono più tempo per la produzione e ci sembrava il momento giusto per seguire questo progetto”. Il birrificio, che produce 2.400 ettolitri di birra l’anno, ha registrato un crollo delle vendite stimabile intorno al 70%. “Non sono d’accordo -spiega Faenza- quando leggo che per i piccoli birrifici il lockdown è stato meno impattante perché, già prima della pandemia, eravamo specializzati nella consegna ‘porta a porta’. Quella voce rappresenta il 10% delle vendite totali, al massimo ti permette di non chiudere ma di certo non basta per non sentire gli effetti della crisi”.
Effetti che si sono fatti sentire maggiormente sui microbirrifici di piccole dimensioni. Il birrificio BrewFist è riuscito a limitare i danni nonostante abbia sede a Codogno, uno dei primi comuni del basso Lodigiano, in Lombardia, ad essere dichiarato zona rossa il 22 febbraio 2020. “Stimo una riduzione delle vendite del 40-50% -spiega il titolare Pietro di Pilato, consigliere di Unionbirrai-. Sono fortunato rispetto a tanti miei colleghi perché ho le spalle un po’ più grosse. Inoltre, essere a Codogno paradossalmente mi ha permesso di muovermi prima: a marzo, siccome eravamo già stati dichiarati zona rossa il 23 febbraio, appena è stato dichiarato il lockdown ho subito richiesto un prestito con la garanzia statale in banca. Ero uno dei primi a richiederlo e questo mi ha salvato”. BrewFist produce solitamente 7mila ettolitri l’anno ma nel 2020 chiuderà a quota 4mila. “Coloro che vivono di commercio locale si trovano completamente fermi -continua Di Pilato-. I più piccoli subiscono di più gli effetti di questa crisi. Nonostante questo, non abbiamo avuto aiuti specifici. Al di là della cassa integrazione e di un fondo perduto pari a un decimo del fatturato mensile, nessuna misura specifica è stata prevista dal Governo”.
AssoBirra, associazione di birrai che vede tra gli associati grandi colossi come Peroni, Carlsberg e Heineken, ha chiesto al Governo specifiche misure per aiutare il settore della produzione di birra chiedendo un sostegno al canale Ho.Re.Ca. e la diminuzione dell’accisa sulla birra. Una diatriba che di per sé non aiuterebbe la produzione artigianale. Di Pilato la definisce come un “regalo milionario alle multinazionali”. Concorda con questa visione anche Vittorio Ferraris: “La richiesta -spiega- consiste in uno sconto di pochi centesimi, da 2,99 a 2,95 euro, che per noi significa qualche centinaio di euro l’anno. Nel 2018 abbiamo ottenuto un grande risultato con una riduzione del 40% sull’aliquota base per i microbirrifici e io ritengo che sia giusto modulare l’accisa rispetto alla tipologia di produttore. È chiaro che le grandi aziende, che producono 17 milioni di ettolitri l’anno, trarrebbero grandi benefici da questa manovra. Per noi, purtroppo, servirebbe a poco o niente”.
In entrambi i cosiddetti “Decreti ristori”, contenenti misure urgenti per il sostegno ai settori produttivi del Paese, i microbirrifici non compaiono. “Nei decreti -specifica Ferraris- non compare il codice Ateco dei produttori di birra, che include, paradossalmente, sia il mondo artigianale sia le grandi multinazionali del beverage, che non risentono allo stesso modo della crisi. Questo nonostante i microbirrifici, dal 2018, sono riconosciuti come persona giuridica e soggetti ad una specifica normativa. Penso sia un peccato, considerando che è un comparto che vale appena 250 milioni di euro e che è drammaticamente esposto agli effetti della crisi”. Un settore, tra l’altro, in continua crescita: secondo i dati di Coldiretti, negli ultimi dieci anni, le iniziative imprenditoriali nei birrifici artigianali e agricoli sono aumentate del 330%. L’intera filiera, oggi, garantisce un impiego a circa 7mila addetti. “La birra artigianale -conclude Ferraris- nonostante sia in forte crescita negli ultimi anni e venga sempre di più riconosciuta come un prodotto d’eccellenza all’estero, non viene vista dal Governo come un prodotto da valorizzare”.
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