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Crisi climatica / Inchiesta

L’impatto degli allevamenti intensivi di polli biologici. Il caso Fileni

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Le emissioni di ammoniaca e metano dei poli industriali, pur certificati, concorrono ad aggravare i cambiamenti climatici. Secondo Greenpeace non dovrebbero aprirne di nuovi, come invece accade in provincia di Rimini. Il nostro viaggio

Tratto da Altreconomia 256 — Febbraio 2023

La strada che collega il ponte di Maiolo a quello di Secchiano, lungo il fiume Marecchia, è un’ottima pista da jogging. Il traffico è inesistente e le abitazioni sono poche. Quest’area in provincia di Rimini -a cavallo tra i Comuni di Maiolo, Novafeltria, San Leo e Talamello- è quasi interamente ricompresa nel Sito d’interesse comunitario delle Rupi e dei gessi della Valmarecchia, una porzione del quale è candidata dalla Regione Emilia-Romagna per essere inserita nel Patrimonio mondiale dell’umanità Unesco. Da qualche mese, però, lungo questa strada, in località Cavallara, è stato aperto un cantiere: nell’aprile 2022 la società marchigiana Fileni ha ottenuto dalla Regione l’autorizzazione a demolire un vecchio allevamento per polli -costruito nei primi anni Settanta e inattivo almeno dal 2009- per realizzarne uno nuovo. 

Al posto dei 13 capannoni a tre piani, in parte crollati con la nevicata eccezionale del gennaio e febbraio 2012, sorgeranno 16 nuovi “grattacieli orizzontali” a un piano: definizione coniata nel 1981 dal poeta e sceneggiatore Tonino Guerra, nato nella vicina Santarcangelo di Romagna e vissuto in Alta Valmarecchia, per descrivere gli allevamenti che deturpavano le colline romagnole. Le strutture saranno lunghe tra i 107 e i 122 metri, con altezza variabile tra i 4,38 e i 4,63. Secondo i dati presentati da Fileni nell’ambito della procedura di Valutazione dell’impatto ambientale (Via), in un anno ospiteranno almeno mezzo milione di polli e arriveranno a produrre annualmente circa 2.022 tonnellate di carne avicola. 

Fileni -poco più di mezzo miliardo di euro di fatturato nel 2021- avrebbe scelto di far crescere nell’allevamento intensivo di Maiolo animali che saranno poi venduti con l’etichetta del prodotto biologico: cotolette, hamburger, macinato, salsiccia e polpette sono quelli autorizzati nel “repertorio” disponibile sul sito dell’ente di certificazione Ccpb, aggiornato nell’ottobre del 2022. Questa scelta di allevamento risponde a un’effettiva domanda di mercato: secondo il report Ismea “Il biologico nel 2021 e il futuro del settore” presentato a luglio 2022, tra il 2019 e il 2021 il numero di capi allevati in biologico è passato da 3,95 a 5,26 milioni, con un aumento del 20,6% solo tra il 2020 e il 2021. Il sito di Maiolo garantirebbe, da solo, un aumento del 10% circa della capacità produttiva nazionale di polli bio.

La certificazione dovrebbe garantire agli animali condizioni di vita apparentemente migliori: una minore densità all’interno dei capannoni nel breve ciclo di ingrasso che dura meno di tre mesi e la disponibilità di quattro metri quadrati di verde all’esterno della struttura, in cui razzolare per almeno un terzo della loro vita. Ma è altrettanto vero che si tratta di un modello produttivo industriale che punta a minimizzare i costi di produzione per garantire alla grande distribuzione organizzata un prodotto certificato low cost. “Un modello che sta spiazzando le piccole aziende agricole, che non riescono a competere sul prezzo né sulla logistica, anche a fronte di costi di produzione che aumentano”, sottolinea Riccardo Bocci, direttore di Rete Semi Rurali. Un’inchiesta di Report, in onda su Rai3 a gennaio 2023, ha sottolineato alcune apparenti incongruenze di un modello che Bocci definisce “biologico convenzionalizzato”. 

Il nuovo allevamento intensivo di polli che Fileni sta costruendo a Maiolo rilascerà in atmosfera tra i 12.936 e i 14.091 chilogrammi di ammoniaca all’anno

La scelta del bio, inoltre, non libera Fileni da uno dei principali problemi connessi a questo tipo di attività: le emissioni in atmosfera di gas climalteranti, in particolare quelle di ammoniaca (NH3) e di metano. Secondo quanto riporta il Provvedimento autorizzatorio unico, che comprende il provvedimento di Via, il nuovo allevamento di Maiolo rilascerà in atmosfera tra i 12.936 e i 14.091 chilogrammi all’anno di ammoniaca (un gas incolore, tossico e dall’odore pungente caratteristico) mentre per quanto riguarda il metano le stime oscillano tra i 2.816 e i 3.481 chilogrammi. 

Numeri che dovrebbero allarmare: come spiega l’Agenzia europea per l’ambiente nel presentare il “National emission reduction commitments directive reporting status 2022”, “le emissioni di NH3 contribuiscono alla formazione di PM2.5, il principale inquinante atmosferico che causa morti premature negli Stati membri dell’Unione europea. La riduzione delle emissioni di NH3 è fondamentale per raggiungere gli obiettivi di inquinamento zero, ovvero ridurre del 55% il numero di morti premature causate dall’inquinamento atmosferico e del 25% gli ecosistemi dell’Ue in cui l’inquinamento atmosferico minaccia la biodiversità”. Secondo le stime della stessa Agenzia, in Italia oltre 50mila morti premature sono collegate alla qualità dell’aria compromessa dalle polveri sottili aventi dimensioni minori o uguali a 2,5 micron (PM2.5) e il nostro Paese deve ridurre le emissioni del 2% entro il 2030. 

Le strutture del vecchio allevamento per polli (costruito negli anni Settanta e inattivo almeno dal 2009) che Fileni sta abbattendo per realizzarne uno nuovo e gigantesco, capace di accogliere fino a mezzo milione di capi © Luca Martinelli

Per quanto riguarda invece il metano, si tratta di un gas che ha un potenziale climalterante tra le 20 e le 30 volte superiore rispetto a quello dell’anidride carbonica. Per questo viene monitorato dal Servizio per il cambiamento climatico di Copernicus dell’Unione europea, che a gennaio 2023 ha presentato i dati aggiornati allo scorso anno: la concentrazione di metano in atmosfera, a fine 2022, è pari a 1.894 parti per miliardo, il livello più alto da oltre 800mila anni. 

Ecco perché l’avvio di ogni nuovo allevamento intensivo non dovrebbe essere considerato solo un problema del territorio che lo andrà ad accogliere. Come denuncia Greenpeace, che da quasi cinque anni porta avanti una campagna per dire stop agli allevamenti intensivi, iniziata nell’aprile del 2018 con la pubblicazione del dossierMeno è meglio”: se vogliamo evitare gli impatti più devastanti dei cambiamenti climatici e rispettare l’Accordo di Parigi dobbiamo dimezzare produzione e consumo globale di carne e prodotti lattiero caseari entro il 2050.

“Servirebbe un blocco sui nuovi progetti di allevamento intensivo e una progressiva riduzione del numero dei capi allevati” – Simona Savini

“Servirebbe un blocco sui nuovi progetti di allevamento intensivo e una progressiva riduzione del numero dei capi allevati: il problema principale per l’ammoniaca e le altre emissioni è la concentrazione di animali. Se è possibile prendere scelte radicali per la qualità dell’aria e contenere le polveri sottili, come il blocco delle auto o lo stop ai riscaldamenti a legna e pellet, non capiamo perché non sia possibile porre limitazioni agli allevamenti. Che significa non autorizzarne di nuovi, perché in questo caso non puoi prevedere limitazioni a intermittenza e l’unica cosa da fare è ridurre il numero di capi allevati”, spiega Simona Savini, responsabile della campagna agricoltura di Greenpeace Italia. 

Nell’aprile dello scorso anno la Commissione europea ha pubblicato una proposta di revisione della Direttiva relativa alle emissioni delle attività inquinanti. Tra le misure considerate necessarie vi è quella di aumentare il numero di allevamenti sottoposti agli obblighi di monitoraggio. “A oggi sono appena l’8%. In Italia la proposta è stata accolta con una levata di scudi trasversale, che ha coinvolto le forze politiche e le associazioni di categoria, con lo slogan ‘Gli allevamenti non hanno le ciminiere’ -ricorda Savini-. C’è una finta miopia: gli allevamenti intensivi sono già considerati attività insalubri di prima classe. Si ripete che le soluzioni tecnologiche possono abbattere le emissioni, ma queste sono legate ai cicli fisiologici degli animali. Quindi è necessario ridurne il numero”.

I polli allevati in regime biologico in Italia nel 2021 sono 5,6 milioni secondo le stime dell’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (Ismea). Con un aumento del 20,6% rispetto ai 3,95 milioni del 2019

Insieme all’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) l’organizzazione ambientalista ha realizzato a livello nazionale una ricerca che mostra quali settori abbiano maggiormente contribuito alla formazione del PM2.5 tra il 1990 e il 2018: il “peso” degli allevamenti è passato dal 7% nel 1990 al 17% nel 2018. Secondo la Commissione europea serve estendere “l’ambito di applicazione agli allevamenti di bovini e a un maggior numero di allevamenti di suini e pollame” perché “i benefici economici per la salute e l’ambiente derivanti dalla riduzione delle emissioni di metano e ammoniaca sono stimati a oltre 5,5 miliardi di euro all’anno”. E il rapporto costi-benefici è pari a 11.

Ecco perché appare quanto meno approssimativa la decisione della Regione Emilia-Romagna, che nell’autorizzare l’intervento di Maiolo non tiene conto né del problema globale legato alle emissioni aggiuntive né del contesto territoriale in cui l’allevamento intensivo si collocherà. I nuovi capannoni -che dovrebbero entrare in funzione dopo 36 mesi di lavori, investimento stimato pari a 8,5 milioni di euro- arrivano fuori tempo massimo, anche perché nei prossimi anni vivremo una “riduzione dell’efficienza produttiva causata dai cambiamenti climatici, sia nei sistemi intensivi sia in quelli estensivi, [che] determinerà una maggiore intensità di emissione dei gas climalteranti per unità di prodotto”, si legge nel Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, pubblicato a fine dicembre sul sito del ministero dell’Ambiente. 

Marcello Fattori, sindaco del piccolo Comune di Maiolo, meno di mille abitanti, difende però la scelta: “Avevo sul territorio capannoni pieni di pollina (deiezioni, ndr) dal 2012. Il sito va bonificato e così ho accolto la proposta dell’azienda anche se non ho difficoltà ad ammettere che rifare un allevamento di polli non è l’ambizione della vita -spiega ad Altreconomia-. Sto bonificando un sito in stato d’abbandono e non avrei mai trovato nessuno che potesse ri-naturalizzare quell’area”. Fattori è primo cittadino dal 2009 ed è stato anche presidente dell’Unione Comuni di Valmarecchia. 

Secondo le stime della Commissione europea, i benefici economici per la salute e l’ambiente derivanti dalla riduzione delle emissioni di metano e ammoniaca ammonterebbero a 5,5 miliardi di euro all’anno

Un geometra, socio del suo studio associato, ha partecipato in proprio all’attività di elaborazione del progetto Fileni, come si evince dagli atti pubblicati da Regione Emilia-Romagna. Per rendere possibile l’investimento, la sua amministrazione ha invece votato una modifica al piano regolatore comunale, che per gli allevamenti ammetteva “esclusivamente interventi di manutenzione ordinaria e di demolizione senza ricostruzione”, incompatibili con il progetto proposto. Una variante, si spiega, “funzionale all’autorizzazione del progetto in oggetto”, come ritorna più volte nella procedura di valutazione d’impatto ambientale. 

Gli atti mostrano che l’opzione zero non è stata nemmeno contemplata. Come non è stata in alcun modo prevista la partecipazione dei cittadini: è ciò che contesta, tra gli altri, Vincenzo Sebastiani, ex sindaco di Novafeltria che a fine dicembre con alcuni post sui social network ha aperto un dibattito sull’intervento, avviando la formazione di un comitato locale. Da gennaio 2020, data di presentazione del progetto Fileni, né il sindaco di Maiolo né i suoi colleghi degli altri Comuni interessati hanno infatti mai convocato i cittadini in un’assemblea. Surreale, pensando che negli stessi mesi Fattori -come presidente dell’Unione- firmava la Strategia d’area predisposta nell’ambito della Strategia nazionale aree interne. Il titolo è “Paesaggi da vivere”. Sacrificati, invece, per tre posti di lavoro appena. 

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