Diritti / Intervista
La Libia “sicura” non esiste. Il Tribunale di Roma riconosce il diritto di ingresso in Italia per motivi umanitari
La storia di un ragazzo minorenne fuggito dalla Nigeria, giunto in Libia nel 2016 e più volte intercettato dalle milizie costiere equipaggiate (anche) dall’Italia. Tentava di raggiungere le nostre coste per ritrovare sua madre. Ce l’ha fatta grazie a un visto per “invito” rilasciato dalla Farnesina a seguito di una pronuncia dall’importanza capitale. Intervista all’avvocato Maurizio Veglio (socio Asgi) che ha seguito il caso: “Una speranza per le persone intrappolate in Libia”
C’è un abisso tra la Libia “sicura” propagandata ancora oggi dalla politica italiana e quella “reale”, fotografata da ultimo da un’ordinanza del Tribunale ordinario di Roma (Sezione diritti della persona e immigrazione, giudice Colla). Un provvedimento dall’importanza capitale che non riguarda un richiedente asilo giunto nel nostro Paese ma un ragazzo minorenne fuggito dalla Nigeria, giunto in Libia nel 2016, più volte intercettato dalle milizie costiere equipaggiate (anche) dall’Italia nel tentativo di raggiungere le nostre coste, in condizioni fisiche peraltro problematiche dopo un grave incidente, al quale è stato riconosciuto il diritto di ingresso in Italia per raggiungere sua madre.
Maurizio Veglio, avvocato specializzato in diritto dell’immigrazione, socio dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (ASGI, asgi.it) e lecturer presso l’International University College di Torino, oltreché curatore di “L’attualità del male. La Libia dei Lager è verità processuale” (ed. Seb27), ha seguito il “caso pilota” e patrocinato il ricorso presentato nel gennaio 2019 dalla madre del minore.
Avvocato Veglio, riavvolgiamo il nastro.
MV La ricorrente è una signora nigeriana la quale, in Italia da molti anni, ha un permesso di soggiorno ed è seguita dai servizi sociali. Grazie all’interessamento della dottoressa Claudia Pretto, giurista e socia ASGI, emerge che la signora ha un figlio minore da oltre due anni in Libia in condizioni di grave pericolo.
Dalla Nigeria alla Libia. Perché?
MV Il figlio minore è partito dalla Nigeria a 14 anni. È cresciuto senza madre, che si era trasferita in Italia in un contesto di immigrazione forzata e sfruttamento. Cresce con la nonna e quando arriva al liceo diventa bersaglio di episodi di minacce e violenza da parte di alcune delle gang che controllano impunemente parte del sistema scolastico nigeriano. Ma lui vuole vedere la madre, della quale -essendo partita quando il ragazzo aveva 2 anni- non ha memoria, e che sente frequentemente al telefono. Così prende la decisione di partire, senza avvisare nessuno in casa.
Che cosa succede?
MV La madre per tre mesi non lo sente e quando lo “riaggancia” lui è in Libia. Allora lei si attiva, informa gli operatori sociali, i quali a loro volta contattano la Dr.ssa Pretto che sollecita l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM), insieme all’UNHCR la principale agenzia internazionale operativa in Libia. Viene attivato così un “ponte” e l’OIM riesce a localizzare il ragazzo. Attraverso una serie di contatti via Skype viene ristabilito il “contatto” tra i due.
In quali condizioni si trova in quella fase?
MV Il ragazzo è privo di documenti. Quindi tanto la sua identità quanto il rapporto con la madre sono sostanzialmente “ricostruiti” proprio dall’OIM attraverso una serie di videochiamate tra i due che consentono agli operatori di accertare la situazione. Il ragazzo, probabilmente rapito già almeno un paio di volte, è da quel momento concretamente protetto dall’OIM.
In Libia aveva subito due operazioni a causa di un incidente.
MV Esatto. Alla fine del 2017 il minore riporta un infortunio piuttosto importante a una gamba che dà il via a una vicenda sanitaria complicata, da un lato perché in Libia non c’è grande possibilità di accesso alle strutture sanitarie e dall’altro perché quei pochi luoghi che accolgono i migranti e li curano hanno scarse dotazioni oppure chiedono rimborsi tendenzialmente più alti di quelli richiesti ai libici. Fortunatamente, sempre grazie all’OIM, che di fatto è il responsabile della sua tutela e protezione in Libia, il ragazzo viene operato in un centro privato.
Nel frattempo la “vicenda burocratica” prende il via.
MV L’OIM tenta di fargli ottenere un documento di identità dall’ambasciata nigeriana e un visto per entrare in Italia e ricongiungersi alla madre dall’ambasciata italiana. Ma nessuno di questi due tentativi va a buon fine. Quindi in virtù del rapporto tra madre e figlio, della condizione di grave pericolo in cui versa il minore e delle ulteriori esigenze di tipo sanitario, l’OIM redige due “Best interests determination report”, ovvero due documenti che identificano gli interessi del minore.
Quali sono questi “interessi”?
MV Il minore non ha nessun motivo per rimanere in Libia, dove oltretutto rischia la vita, e non ha interesse a tornare in Nigeria, dove la situazione familiare, sanitaria e scolastica è quella che ha descritto, per cui l’OIM afferma che la soluzione migliore per il ragazzo è raggiungere la madre in Italia.
Che cosa decidete di fare a quel punto?
MV Nel gennaio 2019 insieme alla collega Carla Lucia Landri abbiamo proposto un ricorso d’urgenza ex art. 700 cpc al Tribunale di Roma chiedendo il rilascio di un visto per motivi umanitari (ai sensi dell’art. 25 Regolamento CE 810/09, “Codice dei visti”) o per motivi di salute (ex art. 36 d.lgsl n. 286/98, il Testo unico sull’immigrazione). In particolare abbiamo evidenziato la necessità di protezione del minore, anche alla luce dei documenti rilasciati dall’OIM, e di un provvedimento immediato per le condizioni di pericolo per la vita e per la salute a cui il ragazzo era esposto in Libia.
La parola passa al giudice. Come si muovono le “controparti”?
MV Il ministero degli Esteri non si è costituito in giudizio. Il giudice ha riconosciuto la fondatezza della domanda e l’urgenza della decisione e ha ordinato a fine febbraio di quest’anno alla Farnesina di rilasciare un visto di ingresso per motivi umanitari, territorialmente limitato e valido solo per l’Italia.
Italia che peraltro non ha nel proprio quadro giuridico un visto chiamato “per motivi umanitari”.
MV Proprio così: il decreto ministeriale che elenca le tipologie di visto che le ambasciate possono rilasciare non prevede quello per motivi umanitari e nel caso del ragazzo nigeriano è stato emesso un visto per invito.
Come è stato possibile allora ordinarne il rilascio?
MV L’articolo 25 del citato “Codice dei visti” lo stabilisce chiaramente: in deroga ai vari criteri per l’ingresso, ciascuno Stato membro dell’Unione europea può rilasciare visti per motivi umanitari. Proprio questo è uno dei significati di maggiore rilievo della pronuncia.
Come nel caso dei corridoi umanitari?
MV Nell’esperienza dei corridoi umanitari un’organizzazione non governativa che opera in loco (Tavola Valdese, Comunità di Sant’Egidio, Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia) individua, in collaborazione con l’UNHCR, alcune persone in stato di bisogno, richiedendo quindi al Ministero il rilascio di un visto di ingresso. Il limite è che si tratta di procedure del tutto discrezionali e non disciplinate dalla normativa, il cui impatto è peraltro numericamente limitato.
Dopo la pronuncia del giudice di Roma che cosa è successo?
MV Il ministero degli Esteri ha proceduto in modo solerte e, sempre grazie al coordinamento dell’OIM, l’ambasciata italiana a Tripoli ha rilasciato un lasciapassare per sopperire alla mancanza di un documento di identità. Sul lasciapassare è stato apposto il visto per “invito”, con il quale il ragazzo è potuto partire. E stata ancora l’OIM a gestire la fase del trasferimento, fino all’incontro con la madre.
Perché è così importante questa ordinanza?
MV Perché offre una speranza alle persone intrappolate in Libia che hanno un familiare in Europa. Il principale ostacolo per offrire supporto giuridico ai migranti è la raccolta delle procure in Libia. Quando invece il mandato può essere rilasciato da un rappresentante legale o un familiare in Italia, come nel caso dei minori, la possibilità di ottenere un visto di ingresso è concreta.
Il Tribunale di Roma dà conto del fatto che l’interessato sia stato intercettato dalla “guardia costiera” libica in mare, soggetto supportato anche dal nostro Paese. È un paradosso, visto il pieno riconoscimento della sua necessità di tutela.
MV Nel provvedimento il giudice riporta l’episodio del 6 novembre 2017, quando su un mezzo della “cosiddetta” guardia costiera libica impegnato in un’operazione in mare alcuni migranti sono stati frustati e minacciati di morte con armi da fuoco. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha accusato la medesima guardia costiera di crimini gravissimi (sequestri, violenze sessuali e riduzione in schiavitù) e ciononostante le autorità italiane continuano nella politica di “rifornimento”, assicurando alla marina libica decine di motovedette in comodato gratuito, il supporto logistico di una nave italiana ormeggiata nel porto di Tripoli, formazioni e strumenti. L’Italia è la principale azionista di un corpo che vanta tra le proprie fila personaggi e gruppi direttamente coinvolti nel traffico e nello sfruttamento dei migranti. È il vergognoso prezzo che si è deciso di pagare, finora impunemente, per esclusivi fini propagandistici.
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