Altre Economie
L’etica nell’etichetta
Per favorire scelte consapevoli da parte dei consumatori serve trasparenza. Questa la logica con cui Cia e Vas sperimentano, a partire da alcune aziende agricole, un’informazione a tutto tondo sui prodotti e la loro filiera. In Europa, intanto, la lobby degli agro-trasformatori è riuscita a bloccare una riforma dell’etichettatura che la assicurasse, e che avrebbe probabilmente danneggiato alcuni big del mercato (come Barilla o Nestlé). L’articolo integrale on line solo per gli utenti registati
Il pomodoro rosso per conserve viene venduto a 0,28 euro al chilo alla grande distribuzione organizzata (Gdo), mentre si sale a 0,60 euro/kg in caso di vendita diretta. Mezzo ettaro di terreno, pari a circa il 9% delle superfici destinate alle coltivazioni, sono riservate a questo rosso frutto, per una produzione totale di 32,5 tonnellate. I metri cubi di acqua utilizzata sono 120, mentre si calcola che per aratura, trapianto, zappatura e per tutte le altre fasi necessarie alla raccolta finale siano necessarie circa 2 ore di lavoro per ogni quintale di prodotto “pronto al consumo”. Che significano 14 oppure 30 euro l’ora, al lordo di tasse e spese di gestione, a seconda della destinazione finale dei pomodori.
Queste sono alcune delle informazioni che in futuro potremmo trovare sulle etichette dei prodotti ortofrutticoli. E senza dubbio sono quelle che dallo scorso agosto compaiono sulle etichette dei pomodori venduti dall’azienda agricola Castellonchio di San Miniato, in provincia di Pisa. “La sperimentazione sta funzionando a meraviglia -spiega la titolare Francesca Cupelli-. In questo modo si riesce a giustificate bene un prodotto locale, prodotto in piccole quantità, con metodi molto naturali e impiegando manodopera regolarmente assunta”. Sulla stessa etichetta troviamo anche i recapiti dell’azienda, compreso un numero di cellulare e la partita Iva, oltre alla tabella nutrizionale, con le informazioni relative a proteine, grassi, carboidrati, fibre, sodio e calorie. “L’idea è stata lanciata su scala nazionale lo scorso maggio -continua Cupelli, che è anche presidente della sezione provinciale della Confederazione italiana agricoltori, Cia– grazie a un progetto messo a punto dalla Cia in collaborazione con Vas onlus (associazione Verdi Ambiente Società, ndr)”.
La proposta è quella di un’etichetta etica, creata per rispondere ad un’indagine di Eurobarometro secondo cui “il 91 per cento dei consumatori chiede per il cibo un’etichetta semplice e di facile comprensione, ma con più informazioni rispetto ad oggi”. “Il progetto è nato in seguito a varie iniziative ed esperienze -spiega Simona Capogna, responsabile della campagna Mangiasano di Vas- e grazie all’incontro con Giuseppe Oglio, titolare dell’azienda Cascina Casalina in provincia di Pavia”. È infatti in seguito a un’intervista con l’agricoltore e agronomo pavese che vengono fissate le basi della proposta di etichetta etica. “Noi siamo un’azienda ecosostenibile che pratica la coltivazione biologica in permacultura -ci dice Oglio-. Per noi scrivere sull’etichetta qual è l’impatto ambientale o quali sono i semi utilizzati, cioè il vero cuore dell’agricoltura, è un fatto doveroso e imprescindibile”. Sull’etichetta del riso Carnaroli di Oglio, ad esempio, compaiono la tipologia di semi (autoriprodotti in azienda) e di semina (a spaglio in acqua), il tipo di irrigazione (acqua Cavo Bogino sorgiva) o la densità di piante per ettaro (200).
Tra le varie diciture che la Cia propone di inserire in etichetta, oltre naturalmente a quelle previste per legge, troviamo: l’azienda di origine e quella del trasformatore (se diversa dal produttore); l’origine dei semi per i prodotti dell’orto e quella dei mangimi per gli animali; il numero di addetti e quello degli ettari impiegati per quella particolare produzione rispetto alla superficie totale; la quantità di acqua, carburanti ed energie utilizzate per ogni ettaro di terreno; il prezzo al produttore; le informazioni nutrizionali; il metodo di coltivazione impiegato (industriale, biologico, biodinamico, naturale). Innovazioni enormi dunque, se confrontate con quelle obbligatorie che solitamente compaiono sui prodotti tradizionali, ovvero provenienza (basta la nazione), varietà (ad esempio pere Williams o mele Golden) e categoria (Extra, I o II). Probabilmente saranno necessarie alcune specifiche e magari il metodo di coltivazione andrà declinato in naturale (ovvero biologico e biodinamico), convenzionale (utilizzo di alcuni prodotti chimici) e industriale (riferito ai prodotti trasformati e a quelli di IV gamma, ovvero verdura e frutta lavate, asciugate, tagliate e confezionate in vaschette o buste di plastica). Attualmente, infatti, non esiste un regolamento da sottoporre alle varie aziende così come non esiste un comitato tecnico che effettui i controlli necessari a garantire la veridicità di quanto scritto sull’etichetta. “Non c’è un disciplinare -spiega Manuel Orazi della Cia-. Ragionevolmente, non credo sia realizzabile, visto l’atteggiamento in tema di etichettatura palesato sempre dall’Unione Europea. La formula percorribile dovrebbe ricalcare la filosofia che è propria dell’autocertificazione”. Un’indicazione volontaria quindi, che presenta molte idee innovative che sarebbero senza dubbio benvenute e addirittura celebrate dai consumatori più esigenti, ma che per il momento affida la sua veridicità ad una simbolica stretta di mano produttore-consumatore.
La lobby di Barilla & co.
Tutto ciò che si trova su un’etichetta è un compromesso tra quanto desidera il produttore e quanto impone il legislatore. Se non fosse che il produttore fa spesso pressione sul legislatore affinché il proprio pensiero diventi quello predominante. È il caso della Confederazione europea di industrie agroalimentari (Ciaa), tra cui compaiono, in ordine alfabetico, Barilla, Cadbury, Campbell, Cargill, Coca-Cola, Danone, Ferrero, General Mills, Heineken, Heinz, Kellogs, Kraft Foods, Mars, Nestlè, Pepsico, Procter & Gamble, Südzucker, Tate & Lyle, Ülker, Unilever. Pur essendo accusata di svolgere attività di lobby anche tramite importanti agenzie di consulenza specializzate come la Fleishman Hillard di Bruxelles, in passato la Ciaa aveva sempre negato questo suo aspetto poco conosciuto, fino a che nel dicembre 2010 si è iscritta nel Registro volontario delle lobby attive a Bruxelles. Tra gli esempi più eclatanti che dimostrano la potenza e l’efficacia delle azioni di lobby compiute dalla Ciaa, che lo scorso giugno ha cambiato nome in FoodDrinkEurope, certamente il boicottaggio della cosiddetta etichetta “a semaforo”. Questo tipo di etichetta nutrizionale, già in uso su base volontaria in vari Paesi europei, sembrerebbe di facile e immediata comprensione, perché indica con un colore oltre che con un numero il livello di calorie, grassi, zuccheri, ecc. (verde = bassa percentuale, va bene; arancione = media percentuale, attenzione; rosso = alta percentuale, molta attenzione). Secondo il Corporate Europe Observatory (Ceo, un’organizzazione che si occupa dell’influenza che le grandi lobby industriali hanno sulla legislazione e sulle politiche europee), la Ciaa ha speso 1 miliardo di euro per opporsi all’etichetta a semaforo. Il sito www.corporateeurope.org lo scorso 16 agosto è stato soggetto ad atti di pirateria che hanno seriamente danneggiato l’archivio. Fino ad allora era possibile leggere come la Ciaa, ma anche importanti consorzi come Ibc o Eda (industrie della carne e dei prodotti caseari) o aziende quali la Nestlé, avessero inviato una lunghissima serie di e-mail ai vari parlamentari con “raccomandazioni di voto” su quali emendamenti sostenere e quali bocciare. Lo scorso luglio è passata la proposta relativa alle nuove regole di etichettatura (vedi la prossima apertura) e l’etichetta a semaforo è stata bocciata a favore di quella contenente le GDAs, Guideline Daily Amounts, le quantità giornaliere indicative. Le GDA sono state ufficializzate nel 2009 dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) che ha sede a Parma, ma solo sulla base di quelle elaborate dalla Ciaa nel 2006. Sono, cioè, indicazioni create dall’industria per dare un aiuto al consumatore.
Secondo una ricerca condotta su consumatori inglesi, francesi e tedeschi, oltre l’80% riesce a valutare la salubrità di un prodotto grazie alle GDA. Peccato che questa ricerca sia stata condotta da Eufic, un ente senza scopo di lucro di cui attualmente fanno parte Barilla, Cargill, Cereal Partners, Coca-Cola HBC, Coca-Cola, Danone, DSM Nutritional Products Europe Ltd., Ferrero, Kraft Foods, Louis Bonduelle Foundation, McCormick Foods, Mars, McDonald’s, Nestlé, Novozymes, PepsiCo, Pfizer Animal Health, Südzucker, e Unilever. Troppe coincidenze se questo elenco si confronta con quello delle aziende che fanno parte della Ciaa. Eppure l’eurodeputata tedesca del Ppe Renate Sommer, firmataria del rapporto grazie a cui vengono approvate le nuove regole dell’etichettatura, spiega che l’azione di lobby da parte delle associazioni di consumatori è stata maggiore rispetto a quella dell’industria. A suo parere la soluzione del semaforo ingannerebbe il consumatore, mentre quella della GDA non sarebbe adeguata per vari motivi. Secondo il socialista ungherese Csaba Tabajdi, etichetta a semaforo e GDA non sono modelli che si contraddicono, ma dovrebbero anzi integrarsi per offrire il massimo dell’informazione al consumatore. Fatto sta che i due terzi del Parlamento europeo hanno bocciato l’etichetta a semaforo a favore di quella con le sole GDA.
Tra 5 anni, con l’entrata in vigore della legge, sarà obbligatorio dichiarare in etichetta che i valori della GDA “si riferiscono a un adulto medio (2.000 kcal)”, senza dunque considerare sesso, peso, altezza, livello di attività fisica e altri fattori ancora. Sempre meglio di niente. Ma sulle merendine per bambini i valori continueranno ad essere quelli di un adulto moderatamente attivo.
L’a, b, c delle nuove etichette alimentari
Le etichette alimentari di tutti i Paesi europei cambieranno, in meglio, nel corso dei prossimi anni. Dopo quasi 4 anni di lavoro e circa 3.000 emendamenti presentati, lo scorso 6 luglio il Parlamento Europeo ha infatti approvato le nuove regole di etichettatura relative «alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori». Regole che si applicheranno a tutti gli alimenti destinati al consumatore finale, e che dovranno essere rispettate non solo da piccoli negozi e grandi supermercati, ma anche da ristoranti, mense, ecc. Ecco le principali novità. Finalmente i caratteri con cui vengono scritte le etichette dovranno avere un’altezza minima per risultare leggibili a tutti: le minuscole dovranno essere di almeno 1,2 mm per tutte le confezioni, oppure di 0,9 mm se la superficie totale è inferiore a 80 cm2. Se invece la confezione ha una superficie inferiore ai 10 cm2 allora sarà sufficiente riportare la denominazione di vendita, gli eventuali allergeni, il peso netto, il termine minimo di conservazione o la data di scadenza. Gli allergeni, nello specifico, dovranno essere evidenziati con un carattere diverso per tipo, per colore, per spessore o con altra modalità grafica. Seconda importante novità è quella relativa agli oli e ai grassi vegetali, che dovranno essere sempre esplicitati. Non basterà più un semplice “olio vegetale”, ma sarà necessario indicare se tale olio è di colza, di cocco, di arachidi, ecc. e si potrà così decidere più liberamente se comprare un prodotto con grassi saturi dannosi che fanno innalzare il colesterolo e che per essere prodotto contribuisce alla distruzione delle foreste pluviali dell’Indonesia (olio di palma), o un più sano e rispettoso olio di girasole. Dovrà anche essere precisato se tali oli e grassi vegetali sono idrogenati (parzialmente o totalmente), a differenza di quanto succede attualmente, con i produttori che scrivono solo quando i grassi non sono idrogenati, a dimostrazione del fatto che l’idrogenazione è pericolosa (i grassi idrogenati aumentano il rischio di patologie cardiovascolari). Novità anche per l’indicazione di origine di molti prodotti, a cominciare dall’obbligo di informare su nascita, allevamento e macellazione degli animali che viene esteso dalla carne bovina a suini, ovini, caprini e polli, sia freschi che congelati. Se poi un filetto, una fetta o una porzione di carne o pesce potrebbero indurre il consumatore a pensare trattarsi di un unico pezzo di animale, in questo caso sull’etichetta dovrà comparire la dicitura “carne ricomposta” o “pesce ricomposto”. Altre novità anche per quanto riguarda gli insaccati, la cui etichetta dovrà avvertire il consumatore della commestibilità o meno del budello di cui sono ricoperti, e per la data di scadenza, che dovrà essere riportata non solo sulla confezione esterna, ma anche sui singoli prodotti dentro la scatola principale, così da permetterne la lettura senza bisogno di conservare l’intero imballaggio. Una serie di nuove regole insomma che offrono qualche criterio in più per una scelta consapevole, dalle eloquenti diciture “Non raccomandato per bambini e donne in gravidanza o nel periodo di allattamento” per le bibite con più di 150 mg/l di caffeina, ai meno evidenti elenchi di ingredienti preceduti dalla parola “nano”, che sta ad indicare un elemento contenente nanomateriali e che per il momento non è obbligatorio citare. Entro ottobre il testo di questo regolamento torna al Consiglio europeo e forse già alla fine del mese potrebbe essere pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. A quel punto i Paesi membri avranno 3 anni di tempo per adeguarsi alle nuove regole (5 per la sola etichetta nutrizionale) e i prodotti già confezionati potranno essere venduti fino ad esaurimento delle scorte. Sperando che non succeda come per le buste di plastica, le cui scorte dovevano esaurirsi il 30 aprile e che invece si trovano ancora in moltissimi negozi di generi alimentari.
“Quello che le etichette non dicono”, il libro
Si dice che le etichette rappresentino la carta di identità di un prodotto. Ma se si è analfabeti, a cosa servono? Quello che le etichette non dicono (Emi, 2011), di Pierpaolo Corradini (autore di questo servizio) è una guida pratica che aiuta il consumatore a districarsi nella giungla delle etichette per una scelta più consapevole. Protagonista il Signor No, che con sua figlia Nina deve fare la spesa prima di partire per il campeggio estivo. Il libro passa in rassegna le diverse etichette alimentari, con un’importante digressione sugli additivi e una breve analisi degli altri prodotti, dai cosmetici ai saponi, dall’abbigliamento ai giocattoli.