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Esteri / Reportage

L’esperimento del Costa Rica, tra tutela dell’ambiente e prosperità

Un pontile per l’osservazione degli uccelli acquatici in una palude del Parque Nacional Palo Verde, una riserva nel Nord-Ovest del Costa Rica © Lorenzo Pedretti

Grazie a una legislazione attenta e a una rete di 186 aree protette -pubbliche e private- il piccolo Paese centroamericano promuove la conservazione della natura, l’educazione ambientale e l’ecoturismo. Coinvolgendo le comunità locali

Tratto da Altreconomia 250 — Luglio/Agosto 2022

“Negli anni Sessanta il governo pagava per creare terreni agricoli disboscando, e ancora quarant’anni fa si registrava uno dei tassi di deforestazione più alti dell’America Latina. Da allora abbiamo completamente invertito la rotta e ricostruito moltissime foreste. Niente male, vero?”. Manrique Javier Montes Obando lavora nelle aree naturali protette del Costa Rica da ventidue anni, e da due è amministratore del Parque Nacional Palo Verde, una riserva di boschi secchi e terreni paludosi nell’arido e ventoso Nord-Ovest del Paese.

Il Costa Rica è poco più grande di Lombardia e Piemonte messi insieme, e non rappresenta che lo 0,03% delle terre emerse. Eppure ospita da solo il 5% della biodiversità mondiale e oltre il 27% del suo territorio è destinato alla salvaguardia della natura, grazie a una rete di 186 aree protette pubbliche e private. Così, questo piccolo Paese centroamericano si è guadagnato la fama di luogo dove è possibile conseguire la prosperità socio-economica senza stravolgere l’ambiente, ma proteggendolo e valorizzandolo. Manrique, uscito di pattuglia prima dell’alba e tornato al centro visite solo dopo il tramonto, cena raccontando come tutto questo abbia avuto inizio. Durante l’intervista tiene ancora la divisa addosso. Non è tenuto a farlo: è solo l’ennesima dimostrazione di cura e rispetto per il suo lavoro.

“La nuova Costituzione, approvata dopo la breve guerra civile del 1948, abolì l’esercito. In seguito, molte delle risorse ricavate dall’esportazione di caffè e banane furono investite non nelle forze armate, come in alcuni Paesi vicini, bensì in istruzione, sanità, sicurezza urbana e conservazione della natura -spiega-. Siamo uno dei primi Paesi latinoamericani per numero di medici per abitante, abbiamo un’istruzione primaria molto sviluppata, e corsi universitari sulla gestione dell’ambiente che attraggono anche stranieri. Con la diminuzione del prezzo di alcuni prodotti agricoli, è aumentato il peso di servizi e turismo, che non esisterebbe senza la natura. Per preservarla ci sono leggi che vietano di disboscare le montagne e di costruire troppo vicino a paludi e corsi d’acqua, disciplinano i consumi idrici delle industrie e limitano l’impatto di coltivazioni potenzialmente molto dannose, come quella della canna da zucchero”.

Il 27% del territorio del Costa Rica è destinato alla salvaguardia della natura. Sebbene il Paese sia poco più grande di Lombardia e Piemonte messi insieme ospita da solo il 5% della biodiversità mondiale

Ma le sole leggi non bastano. Serve che la popolazione sappia che si può vivere bene senza sovrasfruttare le risorse naturali. “Tramite l’educazione ambientale nelle scuole -prosegue Manrique- s’impara che la natura offre servizi quali l’accesso a fonti d’acqua pulita, la diffusione degli insetti impollinatori e una maggiore varietà genetica delle colture, anche vicino alle grandi città. I parchi sono accessibili alla cittadinanza, non sono solo attrazioni turistiche. Intorno ad essi si sviluppano strutture ricettive, e per capire l’importanza del turismo basta pensare che in alcune zone del Paese l’80% di reddito e lavoro dipende da questo settore. I proprietari terrieri ricevono risorse da un fondo nazionale per preservare le aree boschive e le imprese che tutelano l’ambiente ottengono un certificati di sostenibilità -come nel caso di un produttore di riso che, su mille ettari di proprietà, ne coltiva 700 e lascia il bosco nei restanti 300- e di neutralità carbonica quando le emissioni di CO2 di un’impresa sono compensate dagli alberi che ha intorno”.

Nella ricchissima fauna del Costa Rica, hanno particolare importanza le tartarughe marine, presenti con sei specie sulle sette esistenti al mondo. Tutte in pericolo di estinzione, soprattutto a causa della pesca. Rischiano di finire intrappolate nelle reti usate da flotte di pescherecci provenienti da tutto il mondo e attive, anche illegalmente, nelle acque nazionali. “Sono fondamentali per l’ecosistema”, racconta in pausa pranzo Daniel Muñoz, giovanissimo responsabile del volontariato nel Refugio Nacional de Vida Silvestre Camaronal. Situata lungo un tratto di costa del versante pacifico settentrionale, questa riserva è uno dei più importanti siti di nidificazione delle tartarughe nel Paese. “Si nutrono di coralli, meduse e ricci di mare, specie ricche di proteine, vitamine, minerali e fosforo -riprende-. Passano la vita nuotando nell’oceano. Si fermano sulle spiagge solo per deporre le uova. Alcune vengono mangiate da animali come i procioni, che assumono queste sostanze nutritive e le disperdono sulla terraferma, dove altrimenti non arriverebbero. Questo contribuisce alla sopravvivenza di molte specie vegetali”.

In passato, nell’istituire i parchi, le autorità costringevano gli abitanti dei territori designati a lasciarli, abbandonando o spostando abitazioni e attività economiche. Oggi, all’imposizione si sta sostituendo la concertazione. La Reserva Natural Absoluta Cabo Blanco, creata nel 1963 e dunque la più antica del Costa Rica, custodisce la lussureggiante foresta sempreverde che si estende sulla punta della penisola di Nicoya. Qui c’è un’area marina protetta gestita da un consiglio che coinvolge parco e amministrazioni locali. “Tutte le decisioni relative tanto all’ambiente quanto all’economia, in particolare per quanto riguarda la pesca, vengono prese insieme -spiega il guardiaparco Juan Zuñiga Salas dopo aver accolto due coppie di turisti francesi-. È un modello nuovo, quindi è presto per tirare le somme, però si sta diffondendo a livello nazionale. L’obiettivo è che ogni area naturale protetta abbia un consiglio dove le comunità vicine possano portare i loro contributi”.

Daniel, studente della Universidad de Costa Rica e volontario nel Parque Nacional Palo Verde, verifica la corretta installazione di alcune fototrappole nel bosco © Lorenzo Pedretti

Fino ad alcuni anni fa le persone facevano resistenza alle regole di questa riserva, ma ora le cose vanno meglio. “Capiscono che la pesca dev’essere regolamentata, aiutano a pulire le spiagge dai rifiuti e si sono rese conto che proteggere la natura è più conveniente che distruggerla, anche dal punto di vista economico -continua Juan-. Uno squalo, una scimmia o un pappagallo hanno molto più valore vivi che morti, attraggono visitatori che vengono qui apposta per vederli. Per evitare danni alla natura e ridurre il disturbo agli animali, all’uso turistico è destinato solo il 5% della riserva, che è chiusa al pubblico il lunedì e il martedì. Non si possono aprire nuovi sentieri. E il nostro programma di educazione ambientale con le scuole è uno dei più avanzati al mondo. So di bambini che l’hanno seguito vent’anni fa e che poi sono andati a lavorare per le municipalità, occupandosi proprio di ambiente”.Molto è stato fatto, ma sono ancora tante le minacce a questo tentativo di trovare un equilibrio tra popolazione e ambiente.

“Il problema maggiore è l’urbanizzazione”, osserva Ghisell Alvarado Quesada, biologa e ornitologa del Museo nacional di San José, mentre soggiorna a Palo Verde per un censimento degli uccelli acquatici. “Si costruisce molto, spesso senza controllo e vicino alle aree naturali protette. Questo mette a rischio i corridoi biologici, zone situate fuori dai parchi ma che consentono agli animali di spostarsi tra di essi. C’è una certa pressione volta a ridurre l’estensione dei parchi e la severità delle loro norme. Si pratica ancora la caccia, anche se è illegale per tutti tranne che per i popoli indigeni, nel loro caso si tratta di sussistenza. A causa della crisi climatica cambia la distribuzione di alcune specie animali e cresce il rischio d’incendi, il che fa aumentare la pressione sul personale dei parchi. La loro sorveglianza richiede risorse umane e materiali sempre maggiori. Fortunatamente i nostri sforzi sono sostenuti da numerosi volontari, nazionali e internazionali, che pagano una quota per soggiornare nei parchi e contribuiscono alla loro manutenzione”.

Viene da chiedersi se questo sia un modello per altri Paesi, compreso il nostro. “In Italia dobbiamo fare i conti con un’elevatissima antropizzazione del territorio, e grazie alla nostra storia siamo meta di un turismo principalmente culturale. Quello ambientale è ancora di nicchia”, riflette Valerio Minarelli, presidente della Federazione delle guardie ecologiche volontarie dell’Emilia-Romagna, che da trent’anni organizza viaggi di volontariato nel Paese centroamericano. “Però possiamo comunque imparare dal Costa Rica. Qui tutti conoscono il valore della natura, dell’educazione ambientale e dell’ecoturismo. Italia e Costa Rica sono fra i Paesi con maggiore biodiversità nelle rispettive regioni del mondo, ma non molti italiani sanno quanto questo sia importante. L’organico dei nostri guardiaparco è insufficiente. Non accogliamo contributi da altri Paesi, mentre alcune aree protette del Costa Rica sono state istituite proprio su iniziativa di ambientalisti stranieri. La maggior parte dei nostri parchi non sono in grado di ospitare volontari e coinvolgerli nelle proprie attività. Infine ricordo come il Costa Rica abbia adottato norme simili a quelle europee su raccolta differenziata, riduzione della plastica e riutilizzo del vetro. Sarebbe stato più facile cercare di avvicinarsi alla ricchezza dell’Occidente senza farsi scrupoli. Invece, si sono voluti prevenire molti dei problemi legati all’inquinamento prima che fosse troppo tardi”.

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