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Economia / Opinioni

Le sconcertanti “Considerazioni” di Banca d’Italia su salari e inflazione

Il Governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco duante Italian Central Bank Governor Ignazio durante il meeting 2021 del Fondo monetario internazionale @ IMF Photo/Cory Hancock

Per il governatore Visco per evitare che la recessione peggiori occorre evitare un aumento “strutturale” dei salari che trascinerebbe in alto l’inflazione. Come dire: i poveri diventeranno più poveri e moltissimi lo diventeranno ma almeno l’Italia potrà scongiurare il disordine di bilancio. Una teoria da smontare, spiega Alessandro Volpi

Le “Considerazioni finali” alla relazione annuale del governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, sono davvero sconcertanti. E in realtà fin troppo schematiche, tanto da poter essere sintetizzate in breve. A giudizio di Visco, l’Italia rischia una seria recessione a causa dell’inflazione, che dipende quasi totalmente dall’energia, dai beni agricoli e da alcune materie prime. Le sanzioni sul gas russo renderebbero ancora più dura la recessione in arrivo. Per evitare che questa recessione peggiori, aggiunge Visco, occorre evitare un aumento “strutturale” dei salari che trascinerebbe ancora più in alto l’inflazione (come negli anni Settanta) e non bisogna fare ricorso al debito perché è già troppo elevato. Secondo il governatore sono ammissibili solo interventi mirati di sostegno alla capacità di consumo degli italiani, senza però fare scostamenti di bilancio. In sintesi, con una certa crudezza si potrebbe dire che i poveri diventeranno più poveri e moltissimi diventeranno poveri per effetto dell’inflazione; ma l’Italia eviterà il disordine di bilancio. Si tratta di un quadro, come accennato, sconcertante ed è possibile spiegare perché in pochi punti.

Partiamo dall’inflazione degli anni Settanta, che dipendeva da una reale carenza di offerta di greggio, causata nel 1973 e nel 1979 da veri e propri blocchi delle esportazioni e da un sistema globale di produzione dell’energia era decisamente più polarizzato e con minori disponibilità complessive in termini reali. Oggi l’inflazione energetica è per due terzi speculativa, quindi dal governatore di Banca d’Italia ci si sarebbe aspettati quantomeno un accenno a questa differenza sostanziale.

Inoltre, come ormai ampiamente dimostrato, i salari italiani sono fermi da trent’anni: un arco di tempo in cui il tasso di disuguaglianza nei redditi e nei patrimoni è aumentato in maniera esponenziale. Il carico fiscale sui patrimoni e sulle rendite si è sensibilmente alleggerito (a causa delle tante cedolari piatte) mentre la struttura dei contratti di lavoro si è spostata in direzione della precarietà. E la più volte gridata bassa produttività delle imprese italiane dipende da una loro dimensione “micro” che non è stata mai affrontata in maniera strutturale. In simili condizioni -con un aumento dell’inflazione speculativa in un Paese segnato dalle disuguaglianze e dai redditi fermi- l’inflazione significa la peggiore delle imposte perché colpisce indiscriminatamente tutti i cittadini. E non intervenire vuol dire accendere la miccia dello scontro sociale.

Questa “nuova” inflazione indica che neppure l’ombrello dell’euro è in grado di fermare l’aumento dei prezzi: nell’Eurozona, infatti, l’inflazione viaggia intorno all’8% e minaccia di salire ulteriormente, manifestando un fenomeno che non si era mai verificato dalla nascita della moneta unica. Di nuovo: se non si ferma la speculazione sui prezzi, non basta certo lo scudo dell’euro. Neppure se, come vorrebbe Visco, si varasse una politica di dura austerità. I prezzi dell’energia sono in dollari e dunque il dollaro si rafforzerà per effetto della domanda mondiale di questa valuta mentre l’euro, pur blindato dal rigore dei conti pubblici, non avrà capacità di tenuta. Pertanto si imporrano ulteriori sacrifici ai cittadini europei destinati a rivelarsi inutili.

In questa situazione certo non aiutano le sanzioni “a scadenza futura” come nel caso del petrolio russo. Le misure in tal senso, peraltro non chiare e certamente a favore della Germania che non ha limiti di fatto nell’utilizzo del petrolio attraverso i gasdotti, dovrebbero scattare fra otto mesi. Sul piano concreto non hanno efficacia immediata, ma fanno schizzare subito alle stelle i prezzi del barile di petrolio per effetto delle gigantesche scommesse al rialzo dettate proprio dalle futuribili sanzioni. In pratica benzina sulla benzina dell’inflazione.

Un’ultima nota. L’Italia vanta il merito di aver “aperto” la discussione su un tetto al prezzo del gas immaginando di fissarlo a 100 euro/Megawattora: sarebbe utile tenere presente che le riserve in merito a tale tetto sono motivate dal fatto che si tratterebbe di una “distorsione” del mercato. Ma un “mercato” in cui i prezzi aumentano di sette volte a parità di condizioni di offerta e di domanda non è un mercato stravolto? È sempre più evidente che se non si modificano in profondità alcune “regole” di funzionamento del mercato, cancellando il turbocapitalismo, questa volta l’inflazione farà molto, molto male.

Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento

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