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Economia / Opinioni

Le “scommesse” sul debito sono ancora una minaccia

La sede della Borsa di Milano, Palazzo Mezzanotte © Jacqueline Poggi via flickr

Il Regolamento europeo in materia non è abbastanza efficace. È la dimostrazione che non abbiamo imparato la lezione del 2008 e del 2011. La rubrica di Alessandro Volpi

Tratto da Altreconomia 256 — Febbraio 2023

Una singola storia può sintetizzare molti dei pericoli politici della finanziarizzazione. Il debito pubblico di un Paese è, storicamente, parte cruciale della vita di uno Stato che lo utilizza per far fronte a una porzione spesso molto importante della sua spesa. Nel caso italiano anche di quella essenziale. Per finanziarsi, dunque, lo Stato vende il proprio debito. Dalla metà degli anni Novanta sono stati creati degli strumenti finanziari particolari, i cosiddetti Credit default swap (Cds), ovvero delle assicurazioni contro i rischi d’insolvenza di un titolo finanziario.

In pratica, chi compra un’obbligazione può sottoscrivere una “polizza” contro il rischio che quell’obbligazione registri delle perdite. Ed è possibile farlo anche nei confronti dei titoli del debito pubblico. Il problema nasce però nel momento in cui tali assicurazioni possono essere comprate anche da chi non possiede dei titoli, compresi quelli del debito pubblico. 

In base al Regolamento Ue 236/2012 “relativo alle vendite allo scoperto e a taluni aspetti dei contratti derivati aventi ad oggetto la copertura del rischio di inadempimento dell’emittente” è stato posto in essere il tentativo di limitare gli effetti più pericolosi dei Cds. È stato stabilito infatti che non fosse più possibile effettuare vendite allo scoperto in assenza della disponibilità dei titoli di Stato. In altre parole, si sono tolti i Cds da quel vero e proprio casinò finanziario popolato dai “ribassisti” di professione, che operano senza una vera copertura. Con il medesimo strumento normativo è stato introdotto anche un generico principio per cui non sono possibili posizioni speculative su Credit default swap di emittenti sovrani.

In realtà l’applicazione di entrambi questi aspetti è stata assai indebolita dallo stesso Regolamento che, all’articolo 24, recita: “Le misure relative al debito sovrano e ai Credit default swap su emittenti sovrani, tra cui le misure per una maggiore trasparenza e le restrizioni sulle vendite allo scoperto in assenza della disponibilità dei titoli dovrebbero stabilire obblighi proporzionati e al tempo stesso evitare un impatto negativo sulla liquidità dei mercati delle obbligazioni sovrane nonché dei mercati dei pronti contro termine di obbligazioni sovrane”. Nella sostanza non si è eliminata la possibilità di creare e vendere i Cds senza disporre del titolo pubblico sottostante qualora la vendita non avvenga allo scoperto. Bisogna aggiungere, peraltro, che tali prodotti finanziari non vengono scambiati in mercati regolamentati ma in quelli “over the counter” decisamente più instabili e speculativi. In questo senso, il dettato del Regolamento risulta ancora più fragile. 

236/2012 è il Regolamento europeo che regola le vendite allo scoperto e l’utilizzo dei cosiddetti Credit default swap.

In estrema sintesi: continua a essere possibile comprare assicurazioni nei confronti di titoli del debito pubblico italiano senza possederli. Questo significa che simili assicurazioni diventano vere e proprie scommesse sull’andamento del titolo. Se prevedo che il debito pubblico italiano avrà difficoltà comprerò assicurazioni che scommettono sul suo pessimo andamento che potrò vendere a chi non le ha già, facendo pagare prezzi più alti. Naturalmente se tutti comprano assicurazioni che scommettono sulle difficoltà del debito pubblico italiano, questo certamente vedrà peggiorata la sua condizione con conseguenze pesanti per le finanze pubbliche e per gli italiani. Può essere utile ricordare che i Cds sul debito italiano, ormai denominati in dollari, sono di gran lunga quelli più emessi. È evidente che in questo modo sono minacciate la sovranità e la democrazia di uno Stato in nome di una pretesa liquidità dei mercati di cui si sono fatte le spese già nel 2008 e nel 2011. Sembra davvero impossibile.

Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento

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