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Dante, “Piano Mattei”, autonomia differenziata. A che cosa serve la propaganda

© Mario Esposito - Unsplash

L’esecutivo di Giorgia Meloni fa un largo uso strumentale della storia, operando una costante decontestualizzazione delle citazioni, dei personaggi, dei fatti. Non è solo ignoranza ma un progetto preciso, che ha numerosi precedenti, e che apre le porte a un plebiscitarismo antiparlamentare. L’analisi di Alessandro Volpi

C’è un dato evidente nella narrazione dell’attuale governo che ricorda un altro periodo. Si tratta dell’uso strumentale in chiave propagandistica della storia, operando una costante decontestualizzazione delle citazioni. La dichiarazione del ministro della Cultura secondo cui Dante sarebbe il fondatore del pensiero della destra si configura come l’espressione di una volontà didascalica di costruire un’appartenenza e una legittimazione ideologica tipica dei regimi che si appropriano di simboli e pezzi del passato interpretandoli nei termini dei propri corroboranti. Si opera in tal senso una lettura dell’idea di nazione plasmata sull’esigenza del consenso che tende a declinare un monopolio della storia, sottraendola proprio alla comunità del paese. Sembra la costruzione di un canone; Cavour, il Garibaldi citato dalla presidente del Consiglio, persino Dante devono comporre il patrimonio di un governo che con l’autenticità della storia nazionale ha avuto ben pochi punti in comune. E dunque deve inventarseli per alimentare nell’immaginario collettivo un’appropriazione del tutto artificiale.

Una considerazione analoga vale per l’'”operazione Mattei” che la presidente del Consiglio ha avviato recandosi in Algeria. Ora, a parte l’improprio riferimento a Enrico Mattei che agiva in contesti diversi, l’idea di trasformare l’Italia in un hub europeo è davvero singolare e ben poco credibile in termini economici. In primo luogo, pesano i costi finanziari di una simile operazione. Prelevare maggiori quantità di gas, trasportare gas fossile liquefatto non solo dall’Algeria, ma dalla Libia, dal Mozambico, dall’Angola, dalla Nigeria, dalla Costa d’Avorio, dall’Azerbaigian significa costruire nuove pipeline, potenziare quelle esistenti, comprare o noleggiare navi gasiere, trovare finanziamenti da decine di miliardi di euro in pochissimi anni che dovrebbero sborsare Eni e lo Stato italiano: dove prendere simili risorse quando non tiene neppure la spesa sociale?

Non bastano certo due miliardi di euro in obbligazioni Eni. Servirebbero poi altre decine di miliardi per collegare i porti del Sud al Nord Italia, per i gasdotti che non esistono, per costruire rigassificatori, naturalmente tutto questo mettendo da parte le preoccupazioni ambientali. In sostanza, si ricava l’impressione che “l’operazione Mattei” sia la semplice prosecuzione di accordi con l’Algeria presi da Mario Draghi e pagati con i super-utili di Eni e tutto il resto appartenga al repertorio della retorica, della narrazione: Mattei, come Garibaldi, Dante, Cavour, il pantheon della “nuova” Italia.

A tal riguardo è utile un’ulteriore considerazione. Modificare la Costituzione è un’opera complessa. Lo dicono spesso i giuristi che cambiare anche solo un articolo crea difficoltà nella tenuta complessiva del testo. La modifica del Titolo V ha persino lasciato dei “vuoti” normativi importanti. Ora si discute di “autonomia differenziata” e di semipresidenzialismo con l’introduzione di un mutamento davvero radicale nell’organizzazione del nostro ordinamento. L’effetto, inevitabile, sarebbe quello di una necessaria opera di riscrittura di vaste parti con conseguenze sull’intero impianto della Carta che andrebbe “aggiustato” in modo coerente, e difficile. La sensazione, di nuovo, è che, in realtà, chi pensa all’attuale riforma costituzionale -come del resto avvenuto in passato- non intende modificarla quanto a renderla, di fatto, inservibile. In altre parole, si introducono norme che alterano il quadro complessivo rendendolo inutilizzabile. In tal modo viene rimossa la centralità della Costituzione, e del suo “spirito”, per approdare a un mondo nuovo, post costituzionale, dove il potere si esercita senza un vero cardine da cui non si può prescindere. È naturale che così un esecutivo autoritario costruito su un plebiscitarismo antiparlamentare avrebbe largo spazio. Anche questo processo ricorda altri momenti in cui la Carta fondamentale, allora uno Statuto monarchico, era stravolta con una pervasiva operazione di propaganda che nascondeva la realtà.

Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento

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