Economia / Opinioni
Le scelte “eretiche” per dar consistenza e futuro allo Stato sociale
Il welfare non può reggere senza un aumento reale delle retribuzioni, “mangiate” dall’inflazione. A ciò si affianca l’urgenza di riportare in mani pubbliche l’energia e rivedere la “politica” dei tassi bancari, oggi sorda alle richieste dell’economia reale. Per non parlare della rendita immobiliare. Gli appunti di Alessandro Volpi
I conti dell’Inps sono sempre più a rischio per un dato che sta diventando strutturale. L’inflazione ha prodotto, dopo tanti anni, la necessità di una indicizzazione delle pensioni con un maggiore esborso nel 2023 di oltre 22 miliardi di euro. Si tratta peraltro di un adeguamento al costo della vita solo parziale e destinato a pensioni povere, quindi necessario.
A fronte di questa indicizzazione, tuttavia, non aumentano le entrate Inps perché non esiste, invece, una vera indicizzazione delle retribuzioni dei lavoratori che rimangono in larga parte sganciate dall’inflazione. Così basse retribuzioni comportano, oltre a un impoverimento crescente, l’insostenibilità dei conti dell’Inps che rischia di non essere più in grado di pagare le pensioni. Questi dati dovrebbero suggerire una chiara riflessione in merito al fatto che senza un aumento reale delle retribuzioni il welfare non può reggere.
Per dare consistenza allo Stato sociale, poi, sarebbero possibili anche altre strade che continuano a essere considerate eretiche. È evidente che esistono vincoli europei, che esistono tanti, troppi, cantori del cosiddetto mercato e che, al punto in cui siamo è complesso, ma riportare in mani pubbliche l’energia sarebbe un enorme beneficio per la comunità. Bastano pochi dati a riguardo.
Eni ha fatto utili netti nel 2021 per oltre 11 miliardi di euro e nel 2022 per quasi 5,5 miliardi, riducendo sensibilmente l’indebitamento. Enel ha fatto utili netti nel 2021 per 5,6 miliardi e nel 2022 per 5,4 miliardi. In sintesi, una trentina di miliardi di euro in due anni che, tradotti in dividendi, finiscono in parte tutt’altro che banale ai grandi fondi hedge. Peraltro, la tassazione sugli extra-profitti ha prodotto introiti miseri. Perché, allora, non riportare questi “monopoli naturali” in mano pubblica?
Un’ulteriore considerazione riguarda le banche. L’aumento dei tassi della Banca centrale europea (Bce) sta costando carissimo ai titolari di mutui, alle imprese e al debito italiano, dunque al Paese. Ma gli effetti negativi non sono per tutti. Le prime 15 banche italiane hanno realizzato utili nel 2022 per 15 miliardi di euro e oltre cinque miliardi nei primi tre mesi del 2023. Si tratta di risultati tassati con aliquota al 26% che dunque non generano entrate significative mentre garantiscono importanti dividendi per gli azionisti e formidabili stock options per i manager.
Il sistema creditizio si è polarizzato, ha ben poco a che fare con il mercato e gode di un monopolio capace di mettere a frutto le strategie della Bce, ormai scarsamente efficace in termini di politica monetaria. Il rischio, in realtà, è che troppi crediti a queste condizioni, diventino delle sofferenze e allora necessitino di un tardivo e costoso intervento dello Stato. Sarebbe decisamente più opportuna una “politica” dei tassi bancari meno attenta ai margini -coltivata dagli istituti di credito per remunerare gli azionisti- e più sensibile alle richieste dell’economia reale, a cui andrebbe aggiunta una revisione delle condizioni fiscali.
Sempre sul piano della leva fiscale appare sempre più necessario agire anche sul versante della rendita immobiliare. In gran parte dei centri universitari esistono migliaia di appartamenti trasformati in Airbnb che sono affittati a folle di turisti spesso quasi giornalieri. Tali appartamenti mantengono la destinazione d’uso residenziale, non hanno bisogno di rispettare quasi nessuna regola igienica, non hanno bisogno di personale e pagano il 21% di aliquota. Si tratta di una rendita formidabile, quasi sempre goduta da proprietari assai benestanti; una rendita che sottrae enormi spazi per gli studenti non produce gettito e distrugge la filiera turistica. Sarebbe necessaria una legge che stabilisse regole urbanistiche per determinare il cambio d’uso di simili appartamenti e per aumentare l’aliquota. Per tenere in vita l’indispensabile Stato sociale servono dunque retribuzioni più alte per il lavoro povero, occorrono misure di “politica industriale” e strumenti contro la rendita. Non basterà certo sperare che la quota di debito pubblico nelle mani delle famiglie italiane lieviti improvvisamente dall’attuale 9% a dimensioni tali da supplire al ruolo fino ad oggi salvifico della Bce.
Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento
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