Diritti / Opinioni
Le richieste di Zelensky e lo straniamento respirato alla manifestazione di Firenze
Collegato all’evento “Cities stand for Ukraine” di sabato 12 marzo il presidente ucraino è tornato a chiedere l’intervento militare della Nato per fermare gli attacchi aerei russi. Un’ipotesi ritenuta finora irricevibile ma che meritava, anche a Firenze, una risposta. Il racconto di Lorenzo Guadagnucci
Tutti noi proviamo un senso di rispetto e di ammirazione per il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, per il suo coraggio, per la sua determinazione. Vive sotto minaccia costante, in un Paese -il suo- invaso da forze militari soverchianti. Attorno a lui, un paesaggio di morte e devastazione. Tuttavia non ci sono solo i sentimenti. Anzi. Zelensky oggi è uno dei protagonisti della scena geopolitica mondiale e la sua voce arriva in ogni dove: nelle piazze, nelle cancellerie, nelle nostre case. Le sue parole contano, sono quelle di un leader politico di rilievo internazionale, pronunciate in giornate delicate e cruciali, e come tali vanno trattate.
Sabato 12 marzo, in collegamento con piazza Santa Croce a Firenze, durante la manifestazione “Cities stand for Ukraine”, si è rivolto ai partecipanti -qualche migliaio di persone, oltre ai sindaci di numerose città europee e vari leader politici- chiedendo loro di fare pressione sui governi dell’Unione perché decidano di chiudere i cieli dell’Ucraina; Zelensky vuole un intervento militare della Nato che fermi gli attacchi aerei russi.
La piazza ha applaudito ma non sappiamo che cosa in realtà i partecipanti abbiano pensato. La manifestazione è stata definita da molti media una manifestazione “per la pace”, diversa però da quella romana di sette giorni prima: lì la piazza, attraverso le voci di molti oratori, aveva espresso una posizione precisa: no all’escalation militare, no all’invio di armi in Ucraina, nella convinzione che un’intensificazione del conflitto, oltre ad aggiungere morte e distruzione a morte e distruzione, allontani la possibilità di un cessate il fuoco duraturo e di una soluzione della crisi.
A Firenze le parole di Zelensky sono cadute nel vuoto, generando un effetto di straniamento: qual è stato il senso della manifestazione? Che pace è stata invocata, se di pace davvero si parlava? E che peso dare all’appello di Zelensky? Vari leader politici occidentali, nei giorni e settimane scorse, hanno chiarito le ragioni del rifiuto finora opposto alla richiesta di stabilire in Ucraina una “no fly zone”: significherebbe andare allo scontro militare diretto con la Russia e quindi aprire una terza guerra mondiale, con tutto ciò che ne consegue, in termini di allargamento geografico del conflitto, di moltiplicazione di morti e distruzioni, fino al possibile se non probabile utilizzo da una parte e dall’altra dell’arma nucleare. Lo hanno detto a chiare lettere -fra tanti altri- il nostro ministro degli Esteri e il presidente degli Stati Uniti.
La richiesta di Zelensky è stata ritenuta finora irricevibile, ma meritava, anche a Firenze, una risposta: da parte dei sindaci, da parte dei partecipanti alla manifestazione, in larga misura di sentimenti pacifisti. Le parole del presidente ucraino vanno prese sul serio e affrontate per quello che sono. Se la sua posizione è corretta, è ora di discutere le forme dell’intervento militare occidentale, provando a definirne i confini e gli obiettivi (spaventare Putin e obbligarlo a desistere) mettendo in conto i rischi che si corrono: attacchi nel territorio dell’Unione, prospettiva atomica e così via. Se la richiesta di Zelensky non è ricevibile, sarebbe bene fare chiarezza, magari evitando di invitarlo a manifestazioni che finiscono per non tenere conto delle sue parole, oppure replicando alle sue osservazioni e mettendo in campo alternative credibili.
Si potrebbe discutere con lui di un cessate il fuoco unilaterale, che certo lascerebbe il campo aperto ai russi, ma salverebbe innumerevoli vite e porterebbe a una Conferenza internazionale nella quale l’Ucraina sarebbe debole sul terreno ma fortissima in diplomazia, grazie al supporto di tutto l’Occidente; si potrebbe ragionare sull’espansione in Ucraina della resistenza civile anziché di quella armata, in modo da lasciare più aperte le vie di un compromesso, che si restringono via via che morte e distruzioni accrescono l’odio e i rancori; si potrebbe cominciare a ragionare seriamente -con azioni ed esplorazioni in tutte le direzioni, anche verso la Cina e altri attori internazionali- sui possibili scenari di un accordo anche minimo fra Russia e Ucraina: tale punto di contatto, lo sanno tutti, a un certo punto andrà comunque cercato e ora si combatte per arrivare al tavolo con la posizione migliore possibile (ma a che prezzo, dopo quante morti e quante distruzioni?) e quindi può valere la pena provare a definirne i contorni in via preventiva, in modo da limitare i danni; si potrebbero individuare luoghi e persone per costruire -da subito- una mediazione internazionale di altissimo livello, riportando in campo le Nazioni Unite, finora escluse dai superiori interessi strategici e militari di Nato, Ue e singoli Stati.
Appunto, parliamone, sapendo che non ci sono soluzioni a portata di mano né tanto meno certezze, come dimostrano le ambiguità e i silenzi degli stessi sostenitori della resistenza armata ucraina e della necessità di “fermare Putin” sui punti essenziali -l’escalation militare incombente, le richieste reiterate di Zelensky, l’avvicinarsi della terza guerra mondiale-. Non fingiamo di credere che agire per la pace coincida con il fare e invocare la guerra; non liquidiamo le proposte alternative all’escalation militare come fantasie scollegate dalla realtà o come militanza in favore dell’aggressore. Chi sta cercando “uno straccio di pace”, chi sta operando -spesso da decenni- per una via di uscita che permetta di fare una conta dei salvati più che un bilancio dei perduti, è meno ingenuo, meno sprovveduto, più onesto intellettualmente di come viene descritto da un sistema mediatico che sta peccando, spiace dirlo, sia in equilibrio sia in lucidità.
Lorenzo Guadagnucci, giornalista del “Quotidiano Nazionale”, cura la rubrica “Distratti dalla libertà” su Altreconomia. Per la casa editrice ha scritto, tra gli altri, i libri “Noi della Diaz” e “Parole sporche”.
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