Diritti / Opinioni
Per le leggi necessarie “non c’è fretta”
La migliore politica è quella che anticipa, comprende e accompagna i cambiamenti sociali. Ma il Parlamento italiano non lo capisce, e così affronta a posteriori questioni epocali, rinviando a data da destinarsi provvedimenti come la cittadinanza per i figli degli immigrati, la tortura, il “testamento biologico” o il reddito di base contro la povertà. L’editoriale di Altreconomia 191
Tre anni di attesa, e ancora nessuna riforma della legge sulla cittadinanza, richiesta a gran voce a partire dal 2014 dalla campagna “L’Italia sono anch’io”. Eppure il tema è semplice: perché oggi i figli nati in Italia da cittadini stranieri non sono considerati cittadini italiani sin da subito? Nell’ottobre del 2015 la Camera aveva approvato una proposta di riforma che è ferma nei cassetti del Senato da 18 mesi, sepolta da migliaia di emendamenti. L’impianto normativo oggi in vigore è dunque quello del 1992, 25 anni fa. Il mondo è cambiato, l’Italia è cambiata, tutti noi lo siamo. Solo il Parlamento pare non accorgersene.
La migliore politica è quella che anticipa i cambiamenti sociali, li comprende quando sono in corso, li accompagna e pone le basi affinché l’apparato pubblico sia in grado di interpretare al meglio i bisogni -e i sogni- dei cittadini, sostenendoli.
Ma siamo solo all’inizio dell’elenco. Non c’è fretta.
Dal 2013 sono presenti alle Camere sei proposte di legge per l’abolizione del reato di clandestinità, strumento che punisce col carcere lo straniero privo di adeguati documenti.
La Corte di giustizia europea ha stabilito che gli ingressi irregolari di migranti non possono essere sanzionati con la detenzione; nel gennaio 2016 il primo presidente della Corte di Cassazione ha sottolineato che si tratta di un “reato inutile e dannoso”, suggerendo che venga sostituito con una sanzione amministrativa; identiche parole le ha usate l’Associazione nazionale magistrati; lo stesso ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ha in più di un’occasione promesso di “mettere mano” alla questione. L’allora premier Matteo Renzi, però, liquidò così il tema, sempre a gennaio 2016: “C’è una percezione di insicurezza, per cui questo percorso di cambiamento delle regole lo faremo tutti insieme senza fretta”.
È passato più di un anno, senza fretta.
Ne sono passati otto, di anni, dalla morte di Eluana Englaro e dall’epilogo della straordinaria prova di umanità e senso civico di suo padre, Beppino, e della sua famiglia. La legge sul cosiddetto “testamento biologico”, promessa sin da allora, doveva giungere in Aula lo scorso 30 gennaio, poi il 20 febbraio, poi ancora a data da stabilirsi. E dopo la Camera, ci sarà il Senato. Anche in questo caso, il tema è semplice: il paziente deve avere l’ultima parola su di sé, e per porre fine alla vita del paziente deve essere sospesa la nutrizione. Nulla a che fare con l’eutanasia dunque. Eppure è ancora tutto fermo.
Il 25 luglio 2016, per la prima volta, il Parlamento italiano ha discusso una proposta di legalizzazione della cannabis, del possesso di marjiuana per uso personale e ricreativo, dell’autocoltivazione. Sembrava la volta buona, l’occasione di combattere le mafie sottraendo loro introiti colossali, come ormai è sperimentato da anni in molti Paesi del mondo.
Più che il buon senso, le cifre, l’opinione pubblica e i fatti, la questione dipende dal peso di oltre 1.700 emendamenti che bloccano la proposta di legge in Senato.
Nello stesso mese, e sempre al Senato, sarebbe dovuta approdare la proposta di legge sulla tortura, approvata un anno prima dalla Camera. La discussione è stata rimandata a “data da destinarsi” per consentire ai parlamentari “un ulteriore approfondimento del testo”. Non c’è fretta, pare, nonostante dal gennaio 1989 il nostro Paese stia violando un obbligo giuridico internazionale, avendo ratificato -e disatteso- la Convenzione contro la tortura adottata dall’Onu.
Ci sono 118 milioni di poveri in Europa: è il “Paese” col maggior numero di persone.
In Italia si stimano 4,6 milioni di persone in condizione di povertà “assoluta”. Ma visto che negli ultimi 10 anni la povertà in Italia è aumentata del 140%, andando a colpire sempre più giovani e addirittura minori, non si capisce quale fretta ci sia nel varare una misura di reddito di base. Il reddito -perlomeno dal Parlamento italiano- non è considerato un diritto da tutelare.
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