Crisi climatica / Approfondimento
Le caldaie a gas sono incompatibili con la transizione. Ma c’è chi resiste
Decarbonizzare i consumi domestici è fondamentale per raggiungere gli obiettivi net zero al 2050 fissati dall’Unione europea. Il governo italiano insiste però sulla “neutralità tecnologica” e punta a lasciare aperto uno spiraglio all’idrogeno
Riscaldare gli ambienti e produrre acqua calda sanitaria pesa per il 28% sul consumo energetico complessivo dell’Unione europea. Energia che per il 75% viene prodotta bruciando gas, petrolio e carbone. In termini di emissioni di CO2 questo pesa per il 12% sul totale, pari a quelle di tutte le automobili in circolazione nell’Ue. Decarbonizzare il settore del riscaldamento domestico è dunque una priorità dell’Unione se vuole raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Una sfida particolarmente impegnativa se si pensa che in Europa viene installata una caldaia ogni otto secondi.
Da poco più di un anno questo elettrodomestico è al centro dell’attenzione delle istituzioni europee. A maggio 2022, con la presentazione del piano RepowerEu, il cui obiettivo è azzerare le importazioni di gas dalla Russia, la Commissione europea aveva indicato il 2029 come “data ultima per l’immissione sul mercato di caldaie a combustibili fossili”. Se ne è discusso anche nell’ambito della Direttiva sulla performance energetica degli edifici (Epbd, nota in Italia come Direttiva “Case green”): il testo approvato dal Parlamento Ue il 14 marzo 2023 prevede di vietare l’installazione di sistemi a combustibili fossili in tutti gli edifici nuovi o ristrutturati, lasciando però una porta aperta alle caldaie alimentate a idrogeno e biocombustibili.
Questa direttiva è collegata al regolamento Ecodesign (813/2013/Ue) sulla progettazione eco-compatibile dei prodotti con cui la Commissione punta a fissare al 115% l’efficienza energetica degli impianti di riscaldamento e vietando, a partire dal 2029, la vendita e l’installazione di quelli che non raggiungono questa soglia: “Vengono di fatto esclusi dal mercato nuovi boiler elettrici, caldaie a gas e a gasolio che non sono in grado di raggiungere quella soglia di efficienza -spiega ad Altreconomia Marco Grippa, responsabile del programma Decarbonizzazione del riscaldamento per Environmental coalition on standards (Ecos), Ong con sede a Bruxelles che lavora sulla definizione di standard tecnici, politiche e leggi rispettose dell’ambiente-. Evitare l’installazione di nuove caldaie a combustibili fossili non ibride entro la fine del decennio è il minimo indispensabile per raggiungere la neutralità climatica al 2050”.
Anche l’Agenzia internazionale per l’energia (Iea) evidenzia come vietare la vendita di caldaie a gas sia fondamentale per raggiungere il net zero nel continente. E spinge sull’uso di forme di riscaldamento più sostenibili, come le pompe di calore, per “ridurre l’esposizione delle famiglie ai picchi di prezzo dei combustibili fossili” ed eliminare la dipendenza europea dal gas russo.
“Eppure assistiamo ancora a una solida resistenza da parte di diversi stakeholder e Stati membri contro l’eliminazione graduale del gas dalle nostre case, sia nelle riunioni di alto livello sia in quelle tecniche, come quelle sulla progettazione ecocompatibile”, commenta ad Altreconomia Davide Sabbadin, vice-responsabile delle politiche per il clima dell’European environmental bureau (Eeb), rete di circa 180 organizzazioni ambientaliste.
“Evitare l’installazione di nuove caldaie a combustibili fossili non ibride entro la fine del decennio è il minimo per raggiungere la neutralità climatica al 2050” – Marco Grippa
Tra chi si oppone all’elettrificazione del comparto del riscaldamento domestico ci sono anche importanti attori industriali italiani. È il caso di Assotermica, l’associazione dei produttori di apparecchi e componenti per impianti termici federata ad Anima Confindustria, che già a maggio 2022 si era espressa in maniera critica sul piano RepowerEu rigettando, per bocca del presidente Alberto Montanini, “un approccio ideologico che vieti indiscriminatamente l’immissione sul mercato degli apparecchi a gas, senza considerare che vi sono interi comparti che hanno lavorato e stanno tuttora lavorando intensamente per lo sviluppo di tecnologie green gas ready, ovvero pronte a funzionare con miscele crescenti di biocombustibili e idrogeno”.
Una posizione ribadita ad aprile 2023, durante il dibattito sul regolamento Ecodesign: in quell’occasione Assotermica si è schierata a fianco di Proxigas, associazione che riunisce le imprese della filiera del gas fossile, tra cui Eni, Snam, Enel e Shell; Assoliquidi, associazione di Federchimica che rappresenta le imprese del comparto dei gas liquefatti e l’Associazione nazionale costruttori edili (Ance). Sottolineando come l’approccio della Commissione “non tenga conto delle prospettive di sviluppo delle tecnologie e dei vettori energetici e, soprattutto, non considerano le specificità dei singoli Stati membri” e chiedendo “un’attenzione specifica delle nostre istituzioni per modificare sostanzialmente l’approccio della nuova regolamentazione”.
La soglia di efficienza energetica degli impianti di riscaldamento è stata fissata al 115% dalla Commissione europea nell’ambito del “regolamento Ecodesign”. Bruxelles punta a vietare la vendita e l’installazione di quegli impianti che non raggiungono questo livello di efficienza
La posizione dell’Italia nel dibattito europeo è emersa il 27 aprile durante il consultation forum sul regolamento Ecodesign organizzato dalla Commissione Ue. “Alcuni Paesi come Belgio, Danimarca e Svezia si sono espressi a favore, molti altri hanno chiesto più tempo per inviare le proprie osservazioni. L’Italia, invece, si è opposta per motivi di ‘neutralità tecnologica’”, racconta Grippa, che ha partecipato a quell’incontro. Gli Stati membri e gli stakeholders torneranno a confrontarsi sul tema il 12 giugno, durante un nuovo incontro organizzato dalla Commissione europea.
Analogamente a quanto avvenuto durante il dibattito sulle politiche di decarbonizzazione della filiera dell’auto, l’Italia insiste sul fatto che debba essere lasciata ai consumatori la possibilità di scegliere quale tecnologia utilizzare. Per quanto riguarda il riscaldamento domestico, il nostro Paese vorrebbe lasciare aperta la possibilità di continuare a installare caldaie anche dopo il 2029 a condizione che siano certificate per funzionare con combustibili presentati come “rinnovabili”, come i biocarburanti o l’idrogeno, sfruttando così la scappatoia all’interno della direttiva “Case green” senza nessuna garanzia che questi siano realmente a disposizione dei consumatori.
“Assistiamo ancora a una solida resistenza da parte di diversi stakeholder e Stati membri contro l’eliminazione graduale del gas dalle nostre case” – Davide Sabbadin
Lasciare aperto uno spiraglio all’idrogeno permetterebbe però di mantenere in vita il mercato del gas domestico, vincolando per decenni milioni di consumatori europei a un vettore che, invece, in una prospettiva di lungo periodo, dovrebbe ridursi fino a scomparire. “In Italia c’è un forte legame tra le aziende produttrici di caldaie e società come Eni e Snam, che invece sono interessate a mantenerlo in vita. Per questi motivi Roma sta scegliendo posizioni di retroguardia assieme a Paesi come Bulgaria e Polonia”, riprende Sabbadin.
“A oggi però non esistono caldaie che funzionano con una miscela al 100% di idrogeno -ricorda Francesca Andreolli, policy advisor per il programma energia del think tank indipendente Ecco (eccoclimate.org)-. Oltre a tutto il tema ambientale legato alla sostenibilità dell’idrogeno ‘verde’, queste non sono soluzioni percorribili dal punto di vista tecnologico anche per quanto riguarda i costi: per il consumatore finale l’energia prodotta bruciando idrogeno avrà un costo superiore e la caldaia sarà meno efficiente. L’Italia deve prendere una posizione chiara verso l’elettrificazione dei consumi e capire che si tratta di una preziosa opportunità anche per lo sviluppo industriale”.Inoltre, con il report “Burning questions” l’Environmental coalition on standards analizza alcune criticità tecniche relative alla possibilità di utilizzare l’idrogeno nelle caldaie a oggi sul mercato, a partire dal fatto che questi possono gestire un mix composto al massimo al 20% da idrogeno: “Percentuali più elevate richiederanno verosimilmente pesanti aggiornamenti e modifiche a vari componenti interni della caldaia”.
Alternative più sostenibili al vecchio boiler già esistono ed è la stessa Commissione a indicare la strada: il piano RepowerEu fissa obiettivi ambiziosi per l’installazione di pompe di calore che, secondo le stime dell’European heat pump association (Ehpa), si tradurranno in 20 milioni di nuove installazioni entro il 2026 e quasi 60 entro il 2030. “Questo permetterebbe di ridurre la domanda di gas per il riscaldamento degli edifici del 40% rispetto al 2022, riducendo così le importazioni di gas per un valore pari a 60 miliardi di euro da qui al 2030”, si legge nel report “Europe’s leap to heat pumps” curato dal centro di ricerca Cambridge econometrics per conto di Ehpa. Una riduzione dei consumi di combustibili fossili che si traduce in un taglio delle emissioni di CO2 per il settore residenziale del 46%.
Passare da un boiler di classe energetica B a una pompa di calore in classe A permette di risparmiare 358 euro all’anno in termini di consumi energetici. Il maggior costo d’acquisto può essere recuperato entro dieci anni (esclusi gli eventuali incentivi)
Il principale beneficio delle pompe di calore è la loro maggiore efficienza: se per riscaldare una stanza con una caldaia a gas servono tre kilowatt, per ottenere lo stesso risultato con una pompa di calore ne basta uno. “Oggi la principale difficoltà per l’acquisto di una pompa di calore è legata al suo costo iniziale, che è più elevato rispetto a quello di una caldaia a gas -spiega ad Altreconomia Sébastien Pant, responsabile delle politiche di Ecodesign per l’associazione europea dei consumatori (Beuc)-. Ma anche tenendo in considerazione questo elemento, chi passa da un boiler in classe energetica B a una pompa di calore in classe A può risparmiare circa 385 euro all’anno in termini di consumi energetici. Il maggior costo di acquisto può essere recuperato entro dieci anni. Senza considerare eventuali incentivi”.
Questa transizione avrà anche importanti ricadute occupazionali: secondo il servizio scientifico della Commissione europea (Jrc) i circa 1,5 milioni di installatori oggi attivi nel settore non sono sufficienti a soddisfare la domanda “dovranno almeno raddoppiare per raggiungere gli obiettivi fissati dal piano RepowerEu”. Inoltre, almeno la metà avrà bisogno di aggiornamento professionale.
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