Azerbaigian, riserva statale del Gobustan, fine estate 2024. L’aria sembra ondeggiare. Il chiarore abbagliante del deserto è interrotto qua e là da pozze scure, acqua mista a olio nero, segnali di un sottosuolo da cui affiora la ricchezza sepolta del Paese. Poche vecchie Lada si inoltrano per queste piste sterrate: scaricano turisti venuti a vedere i petroglifi della montagna di Boyukdash o a cimentarsi nella ricerca di un’epigrafe romana risalente agli anni tra l’84 e il 96 d. C. tra le numerose pitture rupestri.
Quell’epigrafe scolpita su una roccia nel deserto del Gobustan -la più orientale e lontana da Roma oggi conosciuta- è lì a ricordarci che già nell’antichità il Caucaso era un luogo di transito di cui i romani avrebbero desiderato il controllo.
Oggi le cose non sono cambiate e queste stesse rotte restano al centro degli affari geopolitici internazionali: interessano l’Europa e interessano il nostro Paese, ad esempio, che per le loro forniture di gas e petrolio sono quasi
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