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L’asilo che resiste: atterrate in Italia cinque persone respinte in Libia 11 anni fa
Il 30 agosto sono arrivati legalmente a Fiumicino cinque cittadini eritrei riconsegnati illegalmente dall’Italia a Tripoli nell’estate 2009. Ora possono presentare domanda di protezione grazie ad Asgi e Amnesty International. È il frutto di una sentenza storica del Tribunale di Roma che apre nuovi scenari sulla rotta mediterranea e sulle politiche di esternalizzazione
Hanno fatto ingresso in Italia, domenica 30 agosto, i cinque cittadini eritrei respinti in modo illegittimo in Libia nell’estate 2009 dalla Marina militare italiana e poi rimasti bloccati dal 2010 in Israele, in condizioni di estrema precarietà umana e lavorativa, senza possibilità di chiedere asilo. Le persone arrivate all’aeroporto di Fiumicino fanno parte di un gruppo di 14 migranti -tutti vittime del respingimento illegale- che hanno ottenuto un visto di ingresso dopo avere vinto la causa contro le autorità italiane, seguita dagli avvocati dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi) e da Amnesty International. Con la sentenza del 28 novembre 2019, il Tribunale di Roma ha infatti riconosciuto ai cittadini eritrei il diritto a entrare legalmente nel territorio italiano per accedere alla procedura di asilo, negata al momento del soccorso in mare avvenuto nel luglio 2009, applicando per la prima volta in modo diretto l’articolo 10 della Costituzione italiana.
I fatti si riferiscono al giugno 2009. I cittadini eritrei si trovavano su un gommone partito dalle coste della Libia: entrato in avaria, venne intercettato dalla nave Orione della Marina militare italiana a 26 miglia nautiche a Sud di Lampedusa, in acque internazionali. I migranti furono trasportati su un’imbarcazione italiana con la promessa, secondo quanto dichiarato dagli interessati, di essere portati in Italia. Ma il primo luglio 2009 furono riconsegnati alle autorità libiche, nonostante le richieste di presentare domanda di asilo, picchiati e ammanettati con fascette di plastica. Riportati a Tripoli, i migranti vennero detenuti per lunghi mesi in prigione in condizioni disumane. Alcuni di loro, dopo avere attraversato l’Egitto e il deserto del Sinai, raggiunsero Israele, dove rimasero bloccati dieci anni con il terrore di essere costretti a lasciare il Paese.
“È incredibile arrivare con un visto rilasciato dall’ambasciata italiana a Tel Aviv. Quando mi hanno messo in mano il documento per partire e mi hanno augurato buona fortuna, ho pensato che avrebbe dovuto essere così fin dall’inizio”, ha affermato uno dei cittadini eritrei. “Spero di potere avere ciò che ho aspettato fino a questo momento: un futuro sicuro e la possibilità di costruirmi una vita per sostenere la mia famiglia”. Rimangono bloccati sul territorio israeliano ancora tre di loro, che negli anni hanno costruito una famiglia: supportati da Amnesty International e dall’organizzazione non governativa Aid Organization for Refugees and Asylum Seekers (ASSAF), hanno presentato richieste per potere entrare con la moglie e i figli minori e sono in attesa dell’autorità consolare. Due dei cittadini eritrei del gruppo sono ancora dispersi, dopo essere state espulsi da Israele verso non noti Paesi africani con cui il governo ha firmato accordi bilaterali. “Si continuerà a cercarli per potere garantire anche a loro finalmente l’accoglienza che meritano”, spiega Asgi in una nota.
Il respingimento in Libia.
Partita dalle coste della Libia il 29 giugno 2009, l’imbarcazione con a bordo 89 persone è stata soccorsa nel pomeriggio del primo luglio dalla Marina militare italiana. “Quando abbiamo visto la nave che ci ha soccorsi e abbiamo capito che erano italiani eravamo felici. Eravamo esausti, affamati, spaventati ma abbiamo pensato che finalmente tutto sarebbe andato per il verso giusto. Ci hanno detto che eravamo al sicuro che finalmente potevamo stare tranquilli, che ci avrebbero portato in Italia. Ci hanno dato da bere e da mangiare, hanno fatto le foto con i nostri bambini. Ci hanno mentito”, è la testimonianza di H. raccolta da Asgi.
Tutti i migranti sono stati riconsegnati alle autorità libiche, nonostante la loro richiesta di presentare asilo politico, e costretti a salire sulla motovedetta libica dove era presente personale della Guardia di finanza italiana. “Quando sono arrivati i libici, abbiamo supplicato gli italiani di non restituirci ai libici, di non costringerci. Le donne piangevano. Abbiamo protestato e alcuni di noi sono stati picchiati dagli italiani. Uno dei miei compagni è stato ferito gravemente e quando lo hanno messo a bordo della motovedetta libica era svenuto a causa dei colpi. Ci hanno ammanettati e tolto tutto. Anche a bordo della nave libica c’erano militari italiani”, ha continuato a raccontare H.
In Libia le 89 persone sono state smistate nei centri di detenzione, dove sono rimaste per mesi. Nella procedura di identificazione, come testimoniato dai migranti respinti, era presente anche personale dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR). “Al nostro arrivo a Tripoli siamo stati identificati, era presente anche UNHCR, abbiamo raccontato quanto ci era accaduto anche quando sono venuti a cercarci in carcere, molti di noi erano malati. Io ho contratto una malattia alla pelle gravissima che sono riuscito a curare solo quando sono stato rilasciato dal carcere giunto in Israele. Ma anche questa volta non è accaduto nulla, nessuno ci ha aiutati, nonostante fossimo già riconosciuti rifugiati da UNHCR”, ha raccontato T. Nei mesi successivi al respingimento, molti hanno provato di nuovo ad attraversare il Mediterraneo. Alcuni di loro hanno perso la vita, tra cui il fratello di uno dei cittadini eritrei arrivati in Italia.
L’azione legale contro l’Italia.
Asgi e Amnesty International sono riusciti a rintracciare i cittadini eritrei arrivati in Israele e hanno promosso un’azione legale presso il Tribunale civile di Roma nei confronti della presidenza del Consiglio e dei ministeri degli Esteri, della Difesa e dell’Interno. Nella causa intentata il 25 giugno 2014, i ricorrenti hanno chiesto l’affermazione del loro diritto a fare ingresso in Italia per accedere alla protezione internazionale e il risarcimento dei danni subiti a seguito del respingimento illegale.
Con la sentenza del tribunale di Roma, che ha dato ragione ai ricorrenti e ha stabilito un risarcimento di 15mila euro a persona, per la prima volta è stato rilasciato un visto di ingresso per permettere di accedere alla procedura di protezione in ragione dell’affermazione di un diritto della persona e non di una concessione umanitaria da parte dello Stato. Si tratta di una sentenza di portata storica, secondo Asgi, perché riconosce la necessità di espandere il campo di applicazione della protezione internazionale tutelando la posizione di chi, a causa di un fatto illecito commesso dall’autorità italiana, non può presentare una domanda di protezione internazionale perché non è presente nel territorio dello Stato. Questo perché le autorità dello stesso Stato hanno impedito l’ingresso dopo “un respingimento collettivo, in violazione dei principi costituzionali e della Carta dei diritti dell’Unione europea”.
La decisione, commenta Asgi, è “più che mai attuale nel contesto presente che implementa forme di respingimento sempre più celeri e numericamente rilevanti sia alle frontiere terrestri sia marittime, svuotando il diritto di asilo con prassi illegittime”. E apre “uno scenario estremamente interessante in relazione alle politiche di esternalizzazione della frontiera e di gestione della rotta mediterranea attuata attraverso la collaborazione con le autorità libiche”.
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