Diritti / Approfondimento
La violenza ostetrica nei confronti delle madri “Covid-19” in Campania
Nonostante l’emergenza pandemica sia conclusa, al Policlinico Federico II di Napoli sono ancora in vigore i protocolli che prevedono la separazione dei neonati dalle mamme positive. In contrasto con le linee guida dell’Oms
A luglio 2022 Linda ha scoperto, proprio al termine della gravidanza, di avere il Covid-19. Ha deciso di partorire a Roma, lontano dalla sua famiglia, che è a Napoli. Una sua amica aveva appena partorito al Policlinico Federico II -il maggiore hub di ostetricia Covid-19 in Campania- e l’aveva messa in guardia su quello a cui sarebbe andata incontro.
Le aveva detto che il protocollo prevedeva la separazione dal neonato nell’immediato post-partum, in contrasto con quanto praticato in altre Regioni che si attengono alle linee guida stilate dall’Istituto superiore di sanità e dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) che invece raccomandano di non separare la diade mamma-bambino in caso di positività della madre. “Avevo saputo che al Policlinico Gemelli fanno tenere il bebè in stanza anche alle mamme positive al Covid-19, così ho deciso di andare a Roma -racconta ad Altreconomia-. È una vergogna dover cambiare Regione per avere un parto umano”.
Anche la sua amica aveva contratto il Covid-19 alla fine della gravidanza. Era andata in farmacia a sottoporsi a un tampone con le contrazioni che già preparavano il corpo al parto: il risultato l’aveva gettata nello sconforto. A Napoli e in tutta la Campania gli ospedali trasferiscono le partorienti positive al Policlinico Federico II che, poco dopo l’inizio della pandemia, era stato indicato come hub regionale.
Dopo un lungo travaglio e un cesareo d’urgenza, non ha avuto neanche la possibilità di sfiorare la sua bambina che è stata portata immediatamente via. La neonata è rimasta al nido per tre giorni per effettuare tutti gli accertamenti che prevedono, oltre ai normali screening, anche tre tamponi naso-faringei per i neonati da madri positive. Aveva detto a Linda di essere rimasta traumatizzata dalla separazione, che ha vissuto come una violenza. “Ero allettata, da sola, senza più la pancia ma senza mia figlia, è stato molto difficile anche perché non necessario”, racconta. Inoltre, dopo i tre giorni in cui la bambina era stata nutrita con il latte in formula, una volta a casa, ha rischiato di non riuscire ad avviare l’allattamento al seno. “Sono arrabbiata, non doveva andare così: si nasce una volta sola e speravo in una nascita dolce”.
Diversi studi evidenziano i benefici relazionali e fisiologici del contatto tra madre e neonato dopo la nascita, tuttavia, almeno all’inizio della pandemia, i neonati sono stati spesso separati dalle madri. Una ricerca pubblicata già nel luglio del 2020 confermava l’improbabilità di trasmissione perinatale e che, con le dovute precauzioni igieniche, anche il contatto “pelle a pelle” e l’allattamento al seno non erano veicolo di trasmissione. Durante la prima ondata pandemica, secondo i dati del sistema di sorveglianza ostetrica, solo il 26,6% delle donne ha potuto praticare il “pelle a pelle”.
“Oggi discutiamo a bocce ferme di una situazione che ha avuto delle fasi molto drammatiche. La politica di separazione madre-figlio, almeno inizialmente, ha fatto sì che non si verificasse trasmissione verticale. Il prezzo che si è pagato è stata la separazione”, spiega Francesco Raimondi, direttore del reparto di Neonatologia del Policlinico Federico II. Nel registro nazionale sui contagi perinatali, la struttura partenopea ha contribuito per oltre 1.200 nati, tutti figli di madri positive al Covid-19. Tra tutti “non ricordo di aver avuto un solo neonato positivo”, afferma Raimondi.
“All’inizio nessuno sapeva come gestire la situazione -continua-. Abbiamo fatto e facciamo il possibile, adattiamo la situazione alle risorse disponibili, specialmente all’inizio non era possibile garantire l’unione della diade, anche perché mancava il personale. È stato creato un reparto dal nulla, con percorsi dedicati”. Un semi-piano dell’edificio che ospita l’unità materno-infantile è stato convertito in pronto soccorso ostetrico per Covid-19 e un altro in degenze. “Questo è stato il collo di bottiglia: senza un aumento di personale e di mezzi bisogna fare di necessità virtù”.
Sono 1.200 i bambini nati nel Policlinico Federico II da madri positive al Covid-19
In questi tre anni, i percorsi assistenziali sono stati rapidamente riorganizzati per contenere la diffusione del virus mentre sono stati finanziati dei “punti nascita” dedicati al Covid-19 a livello regionale. Già nel marzo 2020 però, l’Oms raccomandava che le madri e i bambini rimanessero insieme e praticassero il “pelle a pelle” e il rooming in (la condivisione della stanza) giorno e notte, subito dopo il parto e durante l’avvio dell’allattamento, anche nei casi confermati di Covid-19. Si era capito che i benefici del contatto e dell’allattamento superano il potenziale rischio di trasmissione.
“Questa separazione routinaria è assurda, un conto è un parto avvenuto a maggio 2020, ma essere tornati a certe pratiche dopo tutto questo tempo è inammissibile”, commenta Serena Brigidi, antropologa medica, attivista e presidente dell’Osservatorio spagnolo sulla violenza ostetrica, che la scorsa estate ha condotto una ricerca sul territorio campano. Il suo progetto era inizialmente incentrato sul razzismo ostetrico nei confronti di donne straniere con una prospettiva intersezionale. “Dalle prime interviste però mi sono resa conto che bisognava raccogliere le voci delle donne napoletane perché presentavano delle esperienze di violenza molto elevata”, spiega Brigidi. Il progetto si è così modificato e ha intervistato molte donne che avevano partorito in epoca Covid-19. “La separazione dal bebè è una pratica terribile: una violenza gratuita che ha un impatto gravissimo sulla coppia madre-figlio. A Barcellona in pieno Covid-19 si moriva da soli ma si partoriva accompagnati ed era inaccettabile separare la diade”. Secondo Teresa De Pascale, ostetrica e fondatrice dell’associazione Terra Prena, che si occupa di gravidanza e parto rispettato, la pandemia ha significato un netto restringimento dei diritti conquistati negli ultimi anni.
“Penso al diritto di non essere sola al parto, che sembra una banalità ma non lo è. Si è tornati indietro a determinate pratiche che sono funzionali all’organizzazione dei reparti e permettono agli operatori maggiore libertà, senza preoccuparsi della sensibilità delle neo-mamme”. Nel caso di donne positive al Covid-19, la logica sanitaria ha scavalcato i diritti delle partorienti e dei neonati. Eleonora ha partorito a ottobre del 2021 al Policlinico Federico II di Napoli. Dopo il cesareo, non ha potuto nemmeno vedere suo figlio. “Pensavo fossero più sensibili nei confronti di una partoriente da sola, al suo primo figlio. Ero in lacrime, telefonavo al nido e mi dicevano che ero troppo assillante”, racconta ad Altreconomia. “Immagina una donna che è lì da sola, non le fanno vedere il bimbo, non le danno notizie. Neanche le vacche vengono trattate in questo modo -racconta con la voce rotta dal pianto-. È passato oltre un anno e ancora non riesco a parlarne”. Pur non avendo mai sofferto d’ansia, dopo il parto è andata in terapia: sognava tutte le notti che le portavano via il bambino. “Per un lungo periodo ho cercato solo di rimuovere il pensiero, non c’era giorno che non piangessi”, conclude Eleonora.
“La violenza ostetrica fa parte di quello che definiamo violenza istituzionale. Il parto non è solo un evento meccanico, è un’esperienza fondamentale, esistenziale, che ti porti dietro tutta la vita -spiega ancora Brigidi-. È importante parlarne non perché tutte partoriamo ma perché tutti nasciamo. Se vogliamo cambiare il mondo, dobbiamo cambiare il modo in cui veniamo al mondo”.
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