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Indagine sui congedi: tra riforme necessarie e mancata condivisione della cura

© Nienke Burgers - Unsplash

La quota di donne che ha lasciato il lavoro dopo la nascita dei figli in Italia è cinque volte superiore rispetto agli uomini. E la conoscenza che i genitori italiani hanno dei congedi di maternità, di paternità e parentali è scarsa. Il report e la campagna “Papà, non mammo” di WeWorld

La quota di donne che ha lasciato il lavoro dopo la nascita dei figli in Italia è cinque volte superiore rispetto agli uomini (25% contro 5%). Il 12% delle donne contro il 7% degli uomini ha deciso di passare al part-time. E la percentuale di donne che non ha mai ripreso a lavorare è tre volte superiore a quella degli uomini (15% contro 5%). Sono alcuni dei dati contenuti nell’indagine “Papà, non mammo. Riformare i congedi di paternità e parentali per una cultura della condivisione della cura”, realizzata tra il 28 febbraio e il 14 marzo 2022 da WeWorld insieme a Ipsos su un campione di mille genitori di bambini e bambine under 18. 

L’obiettivo? Valutare il livello di conoscenza che i genitori italiani hanno dei congedi di maternità, di paternità e parentali, e offrire uno spaccato sull’uso che padri e madri fanno di questi strumenti, per misurare il divario che ancora esiste nel carico di cura. “La suddivisione dei compiti all’interno della famiglia ha origini antiche”, spiega l’economista Azzurra Rinaldi, direttrice della School of gender economics all’Università Unitelma Sapienza di Roma, membro del board della European Women Association. “Già nell’Ottocento la teoria economica divideva il lavoro di produzione (retribuito, ed eseguito dagli uomini) dal lavoro riproduzione (non retribuito, di cui si occupano le donne). Oggi questa separazione resta. Con la pandemia il carico di cura sulle donne è anche aumentato, a causa della situazione di incertezza e instabilità che ci siamo trovati a fronteggiare. Le famiglie hanno dovuto scegliere chi dei due genitori doveva rimanere a casa, e le donne sono state le più impattate”.

Il congedo di paternità è stato introdotto in Italia in via sperimentale solo nel 2012: inizialmente aveva una durata di un giorno, per essere progressivamente aumentato negli anni fino a raggiungere gli attuali dieci. Per la prima volta, la legge di bilancio 234/2021 per l’anno 2022 ha reso il congedo di paternità strutturale, in modo che non sia più necessario rinnovarlo di anno in anno.

L’indagine “Papà, non mammo” mostra però che l’uso del congedo di paternità è diffuso soprattutto tra i padri più giovani: sono sei su dieci a farvi ricorso, mentre un padre lavoratore su quattro dichiara di non aver usufruito del congedo di paternità perché non aveva intenzione di prenderlo. Nove padri su dieci ritengono che un papà che può permettersi di prendere il congedo per occuparsi dei figli sia fortunato, e sei su dieci pensano che dieci giorni siano troppo pochi.

“Molti uomini non hanno l’abitudine ad occuparsi dei figli”, dice Azzurra Rinaldi. “In una cultura patriarcale non è libero nessuno, neanche gli uomini, che subiscono la pressione di dover dimostrare la propria virilità: i compiti di cura sono considerati appannaggio delle donne. Così, dopo la nascita di un figlio, dopo dieci giorni il papà torna al lavoro, mentre la mamma resta a casa: nei mesi successivi, nella famiglia si radica un’abitudine a un modello di divisione dei compiti che persiste anche dopo: l’uomo guadagna, la donna si occupa della casa e dei bambini”.

Vi è ancora una scarsa conoscenza del congedo di paternità: solo il 22% degli intervistati sa che dura dieci giorni, e solo il 37% sa che è obbligatorio. Più di sei genitori su dieci pensano che il periodo di congedo di paternità preveda una retribuzione inferiore all’80%, mentre con l’attuale normativa lo stipendio resta completo.

La disparità nei carichi di cura si riscontra anche nell’uso del congedo parentale, che prevede il diritto a un periodo di dieci mesi di astensione dal lavoro spettante sia alla madre sia al padre, da ripartire tra i due genitori e da fruire nei primi dodici anni di vita del bambino.

La ricerca rileva che, quando entrambi i genitori lavorano, una coppia su quattro rinuncia a utilizzare il congedo parentale. La maggioranza crede che il congedo parentale dovrebbe essere retribuito almeno al 45% dello stipendio, mentre attualmente è al 30%. Tra quelli che ne fanno uso, le madri utilizzano il congedo parentale in misura maggiore o esclusiva in sei casi su dieci; i padri, invece, in poco più di un caso su dieci. Anche questo è uno strumento ancora poco conosciuto: un genitore su quattro pensa che possa essere usato da un solo genitore.

Insieme al report, l’organizzazione WeWorld ha lanciato la campagna e #PapàNonMammo, che chiede una riforma dei congedi. In particolare, si propone di estendere la durata del congedo obbligatorio di paternità da dieci giorni a tre mesi, introdurre un congedo parentale specifico e riservato uno alla madre e uno al padre della durata di sei mesi, non trasferibile da un genitore all’altro, e infine di estendere questi strumenti a tutte le categorie, prevedendo sussidi o indennità anche per i liberi professionisti e i lavoratori autonomi.

“I congedi sono fondamentali per portare il cambiamento”, afferma Azzurra Rinaldi. “È importante che siano obbligatori per entrambi i genitori: questi passaggi fondamentali di progresso non possono essere delegati alla buona volontà di ciascuno. Una riforma di questi strumenti dovrebbe andare nella direzione di un congedo di paternità obbligatorio e lungo tanto quanto quello di maternità: questo sarebbe fondamentale affinché i lavoratori uomini e le lavoratrici donne venissero considerati alla pari, sia al momento della selezione, sia successivamente nelle scelte di promozione e carriera”.

In questa direzione va la proposta di legge, nata in seno all’associazione Movimenta, che chiede l’estensione del congedo di paternità a tre mesi: la norma è stata depositata alla Camera dei Deputati a gennaio di quest’anno. Due mesi dopo, il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Andrea Orlando ha annunciato l’approvazione da parte del governo dello schema di decreto legislativo per recepire la direttiva europea 2019/1158, conosciuta come la direttiva work-life balance. Se il decreto verrà approvato si prevede, tra le altre cose, l’estensione dell’indennità di maternità anche alle lavoratrici autonome e alle libere professioniste, e l’introduzione di tre mesi non trasferibili di congedo parentale per ciascun genitore, per un totale di sei mesi, a cui si aggiunge un periodo di tre mesi trasferibile tra i genitori e fruibile alternativamente.

“Oggi vediamo tanti papà che amano trascorrere tempo con i propri figli, che li vanno a prendere a scuola, che fanno i compiti e giocano con loro”, conclude Silvio Petta, che ha iniziato a parlare di paternità dieci anni fa in rete fondando la community Super papà – oggi conta oltre 300mila membri. “Stanno nascendo nuovi modelli di paternità alternative, ma servono supporti per le famiglie che diano la possibilità di conciliare il lavoro con la gestione dei figli. Un congedo di paternità prolungato porterebbe vantaggi a tutti: ai bambini, che vedrebbero il padre più presente, alle madri, che avrebbero più tempo per portare avanti i propri progetti, ma soprattutto ai padri, che acquisirebbero nuove competenze e avrebbero l’opportunità di coltivare un legame unico con il proprio figlio”.

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