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La storica vittoria in Ecuador del referendum contro le trivellazioni petrolifere

© Sí al Yasuní

Il 20 agosto i cittadini dell’Ecuador hanno votato per bloccare le distruttive attività fossili nella terra dei popoli incontattati nel Parco nazionale Yasuní, che si estende nella regione amazzonica del Paese per oltre 980mila ettari. È però un punto di partenza nell’area, come insegna il vicino caso della riserva di Napo Tigre in Perù

Il 20 agosto il popolo ecuadoriano ha detto “Sì al Yasuní”, esprimendo a uno storico referendum il 58,9% delle preferenze contro le trivellazioni petrolifere dentro l’omonimo Parco nazionale. Le popolazioni autoctone Tagaeri, Taromenane e Dugakaeri vincono così la battaglia per la loro sopravvivenza. “Abbiamo salvato il loro territorio, le loro vite, la loro sovranità alimentare e le loro medicine nella foresta sacra di Yasuni”, commenta Leonidas Iza, presidente dell’Organizzazione nazionale indigena dell’Ecuador CONAIE.

In un Paese scosso anche dal recente assassinio del candidato alla presidenza Fernando Villavicencio del movimento politico Construye, il risultato del referendum rappresenta una boccata d’ossigeno per molti. Soprattutto per Yasunidos, il gruppo ambientalista che ha lanciato la consultazione, attivo in più province “per trasformare il modello predatore estrattivista”, e per le popolazioni indigene.

Il Parco Yasuní, che si estende per oltre 980mila ettari ed è situato nella regione amazzonica del Paese, è stato dichiarato infatti riserva della biosfera dall’Unesco nel 1989. Ospita uno straordinario patrimonio di biodiversità: 100mila specie di insetti per ettaro, 94 specie di formiche su un solo albero, 10 specie di scimmie, 1.130 specie di alberi, più che in Canada e negli Stati Uniti messi insieme, 81 specie di pipistrelli, 540 specie di pesci in un tratto di appena cinque chilometri di un fiume. E poi 165 specie di mammiferi, 130 di anfibi, 72 di rettili, circa 630 specie di uccelli. In un solo ettaro del territorio Yasuní abitano più specie di alberi, arbusti e liane che in ogni altro luogo al mondo. Essere un luogo con un tasso così alto di biodiversità all’interno del processo di crisi climatica, che ne ha causato una perdita media del 68% dal 1970, secondo il “Living Planet Report” del Wwf, senza calcolare i danni causati dell’industria fossile, rafforza l’urgenza della sua tutela.

L’estrattivismo petrolifero non è nuovo nell’Amazzonia ecuadoriana, che sconta già cinquant’anni di danni per mano di compagnie come PetroAmazonas o la statunitense Texaco: acque residuali tossiche, costruzioni invasive e fuoriuscite di petrolio. Le tribù indigene non hanno visto i profitti ma ne hanno pagato solo i costi. Grazie a questa vittoria una parte della selva amazzonica e del suo ecosistema sono salvi. Entro un anno lo Stato dovrà infatti smantellare le installazioni petrolifere e lasciare il territorio a chi lo cura da millenni, ai guardiani della Terra. Le popolazioni indigene, infatti, e la foresta, la loro casa, devono essere riconosciute, rispettate e protette per il benessere non solo proprio, ma anche del resto del Pianeta. “La scienza ha dimostrato che nella lotta ai cambiamenti climatici, i territori meglio protetti sono quelli indigeni. Per questo invitiamo la comunità internazionale ad aiutarci a prenderci cura dei territori che mantengono la vita di madre natura in equilibrio, che salvano le specie e l’umanità”, continua Leonidas Iza. Popolazioni come quelle ecuadoriane conoscono infatti la scienza delle piante e, secondo un rapporto delle Nazioni Unite, queste aree ogni anno assorbono 34 miliardi di tonnellate di carbonio. 

Questo risultato rappresenta un importante passo per la giustizia climatica: è possibile, oltre che necessario, dire no ai combustibili fossili. “Si tratta di un’enorme vittoria per il movimento indigeno dell’Ecuador e per la campagna mondiale per il riconoscimento dei diritti dei popoli incontattati”, spiega Sarah Shenker, direttrice della campagna di Survival -l’organizzazione mondiale per i diritti indigeni, per i popoli incontattati del mondo-. È un messaggio anche per la vicina Riserva indigena di Napo Tigre (in attesa di creazione), in Perù, dove le trivellazioni della compagnia petrolifera Perenco continuano, mettendo in pericolo la sopravvivenza delle popolazioni incontattate, nonché della biodiversità. La vittoria in Ecuador non può essere dunque solo un punto d’arrivo.

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