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Economia / Opinioni

La speculazione finanziaria perfetta rischia di essere “green”

Società private ed hedge fund puntano a investire in titoli verdi ricorrendo agli strumenti speculativi. I controlli sono carenti. La rubrica di Alessandro Volpi

Tratto da Altreconomia 243 — Dicembre 2021

Come si costruisce una perfetta speculazione finanziaria. Due conferenze internazionali, del G20 e della Cop26, hanno insistito sulla necessità di trovare risorse per la costosa transizione energetica. Così, subito e miracolosamente, ben 450 società hanno dichiarato di essere disponibili a mettere in gioco 130mila miliardi di dollari. Tra tali società figurano i principali player dei mercati internazionali che stanno scommettendo a piene mani sul rialzo del prezzo dei combustibili fossili, delle materie prime e dei beni agricoli, spingendo l’inflazione e impoverendo gran parte delle popolazioni dei Paesi più fragili, insieme alle fasce più deboli delle società a capitalismo avanzato.

Solo le principali banche mondiali hanno indirizzato, dal 2015, oltre quattromila miliardi di dollari verso il settore dei combustibili fossili e nel 2021 gli impieghi sono stati superiori ai 500 miliardi. Al di là di questa colossale incoerenza, tuttavia, l’aspetto ancora più deteriore è costituito dal fatto che la disponibilità dei grandi soggetti finanziari a “investire” in titoli verdi, soprattutto per quanto riguarda i 57mila miliardi dei fondi, è condizionata al perdurare di una situazione in cui manca ogni tipo di regolazione sui prodotti finanziari. In altre parole, un mare di liquidità andrà verso strumenti finanziari concepiti per operazioni di chiara matrice speculativa.

Non è infatti credibile l’idea secondo cui si possano fissare parametri oggettivi di destinazione “verde” degli investimenti privati, come intende fare l’International Sustainability Standard Board, mantenendo in essere le migliaia di prodotti dell’ingegneria finanziaria, capaci di rendere opaca ogni tracciabilità. Peraltro proprio i criteri di questo board fanno riferimento alla capacità delle società finanziate di reggere all’introduzione di tassazioni sulle emissioni di CO2, generando una serie di scommesse in relazione all’approssimarsi o meno di simili forme di prelievo fiscale. La costruzione di un dovere etico alla lotta contro il cambiamento climatico rischia così di essere sfruttata dagli attori della finanza privata per scommettere cifre strabilianti nel casinò finanziario, avendo la certezza che proprio la narrazione dell’indispensabilità della transizione garantirà loro enormi plusvalenze.

Questo scenario è reso ancora più inquietante da due ulteriori elementi. Il primo è costituito dalla candidatura del mercato finanziario di Londra come sede privilegiata per l’universo dei prodotti legati alla transizione energetica: la City, dotata di regole spregiudicate, dovrebbe diventare il porto franco delle transazioni alimentate dalla finanza green che aggirerebbe i pochi vincoli europei. Il secondo è rappresentato dall’erogazione di prestiti ai Paesi in difficoltà nell’adeguarsi ai vincoli ambientali. Si tratterebbe di prestiti, da affiancare agli aiuti, che dovrebbero essere contratti in dollari, a tassi contenuti e a lunga scadenza; un’operazione destinata a ricordare il processo di indebitamento che affossò le economie di molti Paesi del Sud del mondo e che creerebbe una loro strutturale dipendenza verso i grandi fondi hedge.

4mila Sono i miliardi di dollari che dal 2015 le principali banche mondiali hanno indirizzato verso il settore dei combustibili fossili. Nel 2021 gli impieghi sono stati superiori ai 500 miliardi.

Per quanto riguarda gli aiuti poi esiste una contraddizione altrettanto evidente. È previsto infatti un fondo da 45 miliardi di dollari da portare rapidamente a 100 miliardi, finanziato con una rimodulazione dei diritti speciali di prelievo. Tale fondo dovrebbe aiutare, appunto, la transizione ecologica nei Paesi in via di sviluppo, ma il principale beneficiario risulterà la Cina. È evidente che le scommesse della finanza speculativa avranno nella “Cina verde” una destinazione privilegiata.

Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento

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