Crisi climatica / Approfondimento
La Spagna punta a diventare l’hub del gas per l’Europa
Nel Paese sono già presenti sette terminal Gnl e due gasdotti, ma le istituzioni europee spingono per potenziare queste infrastrutture per favorire le successive ri-esportazioni. Una vicenda che riguarda anche l’Italia
Il piano di sicurezza energetica italiano passa da Barcellona e dal suo rigassificatore, il più grande del Mediterraneo. Costruito nel 1969, oggi il terminal ha una capacità di rigassificazione pari a 17 miliardi di metri cubi e può contare su sei unità di stoccaggio, con una capacità di 750mila metri cubi. La proprietà dell’impianto è di Enagás, società spagnola di trasporto del gas e tra le più grandi a livello europeo, nonché business partner dell’italiana Snam (il cui primo azionista è lo Stato italiano attraverso Cdp Reti con il 31,3%).
“Lo scheletro nell’armadio di Barcellona è il suo porto. Qui c’è uno dei più grandi terminal d’importazione di gas fossile in Europa, ma è nascosto dalla città -racconta Kevin, artista e attivista del collettivo Gastivists -. Sugli autobus che girano in città c’è scritto ‘Alimentato da gas naturale sostenibile’. Invece sappiamo che quello che arriva qui è stato estratto con il fracking negli Stati Uniti e in Argentina. Uccide la gente, diffonde i tumori, distrugge i sistemi idrici, le falde acquifere. A noi però dicono che è green: sono menzogne”.
La Spagna è tra i Paesi europei con il maggior numero di terminal di importazione per il gas “naturale” liquefatto (Gnl) già installati, ben sette, oltre a due gasdotti di collegamento con l’Algeria, primo tra i nuovi partner energetici strategici dell’Unione europea. Oltre che dal Paese nordafricano, negli ultimi decenni il Gnl è arrivato qui da Qatar, Nigeria e Norvegia. Ma da Bruxelles le istituzioni comunitarie rimarcano le poche interconnessioni tra la penisola iberica e il resto dell’Unione: vogliono più gasdotti ed elettrodotti, per permettere alla Spagna di aiutare il resto del continente.
A settembre 2022, il ministro spagnolo dell’Energia, Alvaro Nadal, ha dichiarato all’agenzia di stampa Reuters che “avrebbe adeguato un pontile dell’impianto (di Barcellona, ndr) per aumentare la capacità di carico delle navi che trasportano gas verso l’Italia” per aiutare il nostro Paese a liberarsi dalla dipendenza dalla Russia. Intanto, dal 2022, gli Stati Uniti sono diventati il primo fornitore della Spagna, superando l’Algeria. Secondo i dati ufficiali del Dipartimento dell’energia, ben 122 dei 136 cargo di Gnl provenienti dagli Usa erano partiti dalla Costa del Golfo: è plausibile ipotizzare che circa il 90% di questo gas sia stato estratto con il fracking, il più impattante ed energivoro tra i metodi di estrazione, devastante per l’ambiente, le comunità e per la crisi climatica.
Un dato che ci riguarda più di quanto pensiamo. A marzo 2022, l’allora ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, ha messo nero su bianco nel Decreto energia il nuovo collegamento tra il terminal di La Spezia-Panigaglia (controllato da Snam) e quelli spagnoli. Da allora, il 61% del gas liquefatto ri-esportato dal terminal di Barcellona è arrivato proprio in Italia, per la precisione a Livorno e Panigaglia. Secondo Reuters, parliamo di 194,5 tonnellate nel 2022, un volume 17 volte superiore a quello importato nel 2021.
Ma il boom di Gnl che ha inondato l’Unione europea -e la Spagna in particolare- comprende anche una buona fetta di importazioni dalla Russia, che oggi è il terzo fornitore della Spagna. Gas che chiaramente arriva via nave, e che Madrid rivende ad altri Paesi europei, compresa l’Italia. “Fino al 2021 in Spagna non era entrato nemmeno un metro cubo di gas proveniente dalla Russia. Come mai, in un contesto in cui si vuole isolare Mosca, la Spagna diventa il primo importatore di gas russo a livello mondiale, proprio nel mese di agosto 2022?”, si chiede Josep Nualart Corpas dell’Observatori del deute en la globalitzaciò.
Oggi sul tavolo ci sono decine di miliardi di euro per la costruzione di progetti energetici in Europa, a partire da quelli del nuovo capitolo del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e che dovrebbero servire a emancipare il nostro Paese dalle importazioni dalla Russia. L’espansione del terminal di Livorno, ma anche la costruzione del gasdotto tra Barcellona e il capoluogo toscano -proposto da Snam e Enagás- sono tra i progetti candidati a ricevere i finanziamenti. Ma che garanzie abbiamo che il gas che dovremmo importare da Barcellona -via tubo o Gnl- non sia sempre russo?
“Siamo preoccupati e stanchi del modello industriale, della scarsa attenzione all’impatto ambientale, dei livelli d’inquinamento” – Paco Ramos
Nella prima decade degli anni Duemila, il governo spagnolo ha investito centinaia di milioni di euro nella realizzazione di infrastrutture per il gas di ogni tipo. Ma molte di queste erano sovradimensionate, guidate da una domanda futura gonfiata, che non si è mai tradotta in consumo effettivo. “Sono in buona parte sottoutilizzate e le stiamo pagando con le nostre bollette, con un costo fisso che prescinde dai consumi reali. Una di queste è il terminal Gnl di El Musel, qui a Gijón”, racconta Paco Ramos, attivista di Ecologistas en Acciòn delle Asturie, nel Nord-Ovest del Paese. Un impianto superfluo, secondo la piattaforma di attivisti che fin dalla costruzione del rigassificatore, nel 2007, ha iniziato una resistenza ferrea, tra manifestazioni e carte bollate.
I fatti hanno dato loro ragione. Nel 2012, a costruzione ultimata, il governo spagnolo ha emesso un decreto di “ibernazione” dell’impianto, che ha impedito la sua attivazione: visti i costi di funzionamento e i sovraccosti che avrebbe generato sul sistema, era più conveniente ripagare l’impresa per l’investimento piuttosto che metterlo in funzione. Anche perché gli altri terminal già operativi erano ampiamente sottoutilizzati. In seguito alle denunce e ai ricorsi amministrativi presentati da varie associazioni (insieme al partito dei Verdi delle Asturie) l’impianto è stato dichiarato definitivamente illegale nel 2016 per non aver rispettato la distanza prevista dai nuclei abitativi adiacenti al porto.
“Ma oggi, approfittando della crisi scatenata dall’invasione russa dell’Ucraina, il governo vuole mettere in funzione El Musel, senza collegarlo alla rete, ma utilizzandolo solo come deposito di Gnl intermedio tra i Paesi esportatori e i destinatari finali -spiega Ramos-. Non crediamo in questa soluzione. Per noi è parte di un problema più ampio che riguarda questo territorio: siamo preoccupati e stanchi del modello industriale, della scarsa attenzione all’impatto ambientale, dei livelli d’inquinamento. Il terminal di El Musel si aggiunge al resto”. Per altro già costato ai contribuenti spagnoli oltre 300 milioni di euro, equivalenti alla remunerazione dell’investimento pagato a Enagás dalle casse pubbliche.
L’emergenza è stata usata dalle imprese per rilanciare anche un altro progetto: il mega gasdotto tra Barcellona e Marsiglia (rinominato H2Med) in quanto “pronto” a trasportare idrogeno. Tra le aziende proponenti c’è anche la francese Terega, partecipata da Snam. “Per loro l’idrogeno è transizione economica, mentre per noi è la stessa cosa del MidCat, hanno cambiato solo il percorso: passa via mare”.
A parlare sono Barbara e Jordi, attivisti della Piattaforma contro il MidCat, il mega gasdotto che avrebbe dovuto unire Barcellona alla Francia attraverso i Pirenei. Un’opera che, qualche anno fa, è stata bloccata dalla resistenza dei comitati e da una valutazione costi-benefici negativa. Perché ogni tanto l’opposizione popolare riesce a bloccare gasdotti inutili e dannosi.
Lo spazio “Fossil free” è curato dalla Ong ReCommon. Un appuntamento ulteriore -oltre alle news su altreconomia.it– per approfondire i temi della mancata transizione ecologica e degli interessi in gioco
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