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Diritti / Attualità

La scuola italiana e il pieno diritto all’inclusione scolastica degli alunni con disabilità

Sono trascorsi due anni da quando è stato modificato il Progetto educativo individualizzato, con l’introduzione di significativi cambiamenti in tema di diritto allo studio per persone fragili. Ma molte scuole continuano a mettere in atto comportamenti discriminatori, limitando ad esempio le ore di frequenza

© Duonguyen, unsplash

“Ho molti bambini in classe, non posso occuparmi anche di lui che ha una disabilità”. “Non possiamo garantire più di 24 ore di sostegno a settimana; quindi non può stare a scuola più di queste 24 ore”. “Se non c’è l’insegnante di sostegno è inutile che resti in aula, ho detto alla madre che lo può venire a prendere”. E ancora: “Vogliono l’inclusione, ma non ci danno i mezzi per realizzarla”. Sono alcune delle frasi pronunciate da insegnanti -curricolari e di sostegno- con cui Federica Marci pedagogista e responsabile del servizio pedagogico dell’associazione InCerchio di Milano, ha interagito in questi primi mesi dell’anno scolastico. Frasi che denotano quanto lungo sia il lavoro ancora da fare nella scuola italiana e lombarda per assicurare il pieno diritto all’inclusione scolastica degli alunni con disabilità.

Il servizio pedagogico lavora in stretta collaborazione con il servizio legale dell’associazione, che si occupa della promozione e della tutela dei diritti delle persone fragili e, in questo caso, dell’affermazione del diritto allo studio. “Innanzitutto bisogna precisare che ‘inclusione’ non significa semplicemente far entrare l’alunno con disabilità in classe, né che questi sia una responsabilità esclusiva dell’insegnante di sostegno. Per questo motivo la mancanza di ore non è una giustificazione sufficiente a escluderlo dalle attività scolastiche -spiega Marci ad Altreconomia-. L’inclusione è il frutto di una specifica programmazione che si costruisce attorno al Progetto educativo individualizzato (Pei)”.

Di questi temi la pedagogista ha parlato a inizio novembre nel corso di un webinar dedicato al diritto allo studio per le persone fragili, organizzato proprio da InCerchio all’interno del ciclo di incontri “Diritti delle persone con fragilità: conoscerli per esercitarli”, nell’ambito del progetto “Osservatorio Salute”, realizzato in collaborazione con Medicina Democratica, l’Università degli Studi Milano-Bicocca e con il contributo della Fondazione di Comunità di Milano.

Secondo i dati del ministero dell’Istruzione, nell’anno scolastico 2022/2023 sono circa 50mila gli alunni con disabilità in Lombardia (pari al 15% del totale) di cui 2.866 alla scuola d’infanzia, 20.855 alla primaria, 15.662 alla scuola secondaria di primo grado e 10.970 alla secondaria di secondo grado. Per ciascuno di loro deve essere redatto il Pei: “Lo strumento di progettazione educativa e didattica, con durata annuale, che definisce gli obiettivi educativi e didattici e gli strumenti e le strategie da adottare al fine di garantire un ambiente di apprendimento che promuova lo sviluppo delle facoltà degli alunni con disabilità e il soddisfacimento dei bisogni educativi individuali”, spiega Marci.

In base a quanto previsto dal decreto interministeriale 182/2020, il Pei viene redatto ogni anno a partire dalla scuola d’infanzia e deve essere aggiornato ogni volta che è necessario (per adeguarsi al mutare delle esigenze del singolo alunno), propone il numero di ore di sostegno necessarie, gli interventi di inclusione svolti dal personale docente o dagli assistenti ad personam oltre agli interventi di assistenza igienica di base (svolti da personale ausiliario) se necessari.

“Il Pei è uno strumento che viene utilizzato da anni, ma il decreto ha introdotto alcuni importanti cambiamenti: innanzitutto la predisposizione di un modello nazionale unico, che viene usato da tutte le scuole, è ben impostato ed è chiaro rispetto a quello che ciascuno deve fare -spiega la pedagogista-. Inoltre è stata aggiunta la programmazione per discipline: il singolo docente deve indicare quali sono gli obiettivi per la sua disciplina e come fare per raggiungerli”.

Il compito di elaborare e aggiornare questo documento spetta al Gruppo di lavoro operativo (Glo) per l’inclusione composto da dirigente scolastico, docenti curricolari e di sostegno, genitori, da tutte le figure specifiche esterne e interne alla scuola che interagiscono con l’alunno con disabilità e con la classe. E, nel caso delle scuole superiori, anche dagli stessi studenti e studentesse con disabilità. “Il decreto 182 ha introdotto alcune novità rispetto al lavoro del Glo -riprende Marci-. Ne ha ribadito l’obbligatorietà e stabilisce che entro il 30 giugno deve essere elaborato il Pei provvisorio ed entro il 31 ottobre l’approvazione di quello definitivo e che il progetto è soggetto a verifiche periodiche. Questa riforma ha portato alcuni cambiamenti positivi: il numero di convocazioni dei Glo è aumentato, c’è maggiore condivisione e confronto sui Pei, un maggiore coinvolgimento dei genitori e, quando è previsto, degli studenti”.

Tuttavia, non mancano le criticità e nelle scuole continuano a essere messi in atto comportamenti che violano il diritto all’inclusione scolastica degli alunni e degli studenti con disabilità. Ancora troppo spesso gli istituti negano ai genitori la copia del Pei, oppure chiedono loro di concordare un orario scolastico “ridotto” per il figlio. O ancora non organizzano riunioni intermedie del Glo per l’aggiornamento dei Pei e spesso il tempo dedicato è estremamente ridotto.

“La normativa in materia è complessa e nel corso del mio intervento durante il seminario organizzato da ‘InCerchio’ ho voluto fornire a familiari e insegnanti gli strumenti di base per orientarsi e rispondere alle domande che più spesso mi sento rivolgere durante il mio lavoro -spiega Marci-. Un altro grande tema è la formazione degli insegnanti: serve un cambiamento culturale rispetto ai temi dell’inclusione e dell’organizzazione scolastica, spesso i docenti curricolari impostano lezioni poco inclusive e delegano solo al responsabile del sostegno la gestione dell’alunno con disabilità”.

L’inclusione, conclude la pedagogista, è fatta da tanti piccoli gesti quotidiani. Per metterla in atto bastano adattamenti anche molto semplici: “Uno dei casi che ho incontrato è quello di una bambina con sindrome di Down che frequenta la scuola primaria e che ancora non sa leggere. Quando in classe hanno affrontato i sumeri, l’insegnante ha assegnato a lei e a un piccolo gruppo di compagni il compito di costruire una ziggurat in miniatura”.

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