Cultura e scienza / Attualità
La scienza dopo il nuovo coronavirus: aperta, cooperativa e solidale
L’esigenza di trovare in breve tempo soluzioni all’emergenza Covid-19 ha reso evidente l’importanza dell’open science. Ricercatori da tutto il mondo chiedono che il modo di comunicare i risultati della ricerca cambi
Ogni volta che un paziente risulta positivo al virus SARS-CoV-2, le informazioni provenienti dal campione analizzato possono aggiungere conoscenze utili per la ricerca sul virus e sulla malattia che provoca, Covid-19. A partire da questi dati è possibile progettare test diagnostici, tracciare l’epidemia o identificare potenziali azioni di intervento. I ricercatori del laboratorio possono infatti ricostruire la sequenza genomica del virus, cioè le istruzioni per capire lo sviluppo e il funzionamento di questo organismo, e condividerla con l’intera comunità scientifica caricandola su database accessibili a tutti.
Da quando la prima sequenza genetica del nuovo coronavirus è stata caricata sull’archivio aperto online Gisaid, il 24 dicembre 2019, i laboratori di tutto il mondo hanno condiviso migliaia di sequenze del virus in pochissimi mesi. Un risultato ottenuto a “una velocità senza precedenti” che a metà maggio aveva superato le 27mila sequenze registrate. L’esigenza di trovare in breve tempo soluzioni all’emergenza causata dall’esplosione di Covid-19 ha modificato il modo di comunicare e condividere i risultati scientifici. “La crisi ha reso evidente la necessità e l’importanza di una scienza aperta”, afferma Elena Giglia, responsabile dell’unità di progetto Open access dell’Università di Torino. “Fare scienza aperta, open science, significa rivedere il proprio modo di fare ricerca con il fine di mettere a disposizione di tutti i dati e i risultati, non solamente con lo scopo di pubblicare”. L’open science comprende l’accesso aperto (open access) alle pubblicazioni scientifiche e ai dati della ricerca, ma anche l’utilizzo di software e programmi con licenza libera (open source) e metodi alternativi per la valutazione della ricerca, inclusa la peer review, la procedura di revisione degli articoli scientifici da parte di altri ricercatori, che precede la pubblicazione. Così come prevede pratiche di citizen science, il coinvolgimento dei cittadini nella produzione di conoscenza scientifica. L’obiettivo è rendere aperto ogni passaggio della ricerca e da questo punto di vista Covid-19 si sta rivelando un esempio concreto di open science.
27mila sono le sequenze del virus SARS-CoV-2 registrate a metà maggio 2020
Decine di editori scientifici hanno reso completamente accessibili le pubblicazioni su Covid-19 e non solo, alcuni per poche settimane e altri fino a quando necessario. Tra questi ci sono anche i maggiori gruppi come Elsevier, Springer-Nature e Wiley. I ricercatori stanno producendo una grande quantità di articoli scientifici. Al 19 maggio si contano più di 32mila pubblicazioni a tema Covid-19 e quasi 3mila studi clinici avviati. Così anche sugli archivi online medRxiv e bioRxiv, solo nei primi quattro mesi dell’anno, su Covid-19 sono stati pubblicati quasi 2.700 preprint, cioè le bozze degli articoli scientifici non ancora inviati alle riviste e quindi non ancora sottoposti a una revisione da parte di altri ricercatori. Lo scopo principale di questi archivi è condividere i lavori nel minor tempo possibile, prima che cominci il lungo processo di peer review che può durare anche mesi. L’utilizzo dei preprint in ambito biomedico è raddoppiato nei primi quattro mesi del 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019.
Allo stesso tempo, anche i tempi di valutazione e pubblicazione di un articolo scientifico su rivista si sono estremamente ridotti. Eric Rubin, caporedattore del New england journal of medicine, una delle più importanti riviste mediche, ha ammesso su Science che il processo di revisione della rivista per gli articoli su Covid-19 è molto più veloce. Da un’analisi dell’Istituto nazionale per la ricerca sulla salute del Regno Unito è emerso che la maggior parte degli articoli realizzati sono commenti, mentre le pubblicazioni su Covid-19 che contengono dati quantitativi sono solo un terzo. Una tendenza che per Scienza in rete (scienzainrete.it), giornale online sulla cultura e sulla ricerca scientifica, potrebbe essere legata alla volontà dei ricercatori di aumentare la loro visibilità approfittando delle nuove modalità di pubblicazione imposte dalla pandemia. Nonostante questo Roberto Caso, presidente dell’Associazione italiana per la promozione della scienza aperta (Aisa), pensa che l’esperienza di Covid-19 stia rendendo chiaro il bisogno di scelte politiche orientate verso una scienza aperta: “Il nuovo ecosistema aperto di comunicazione della scienza che sta emergendo con forza è migliore di quello precedente. Maggiore rapidità di circolazione delle informazioni su scala globale, più opportunità di controllare e replicare le ricerche, ampie possibilità di cooperare”.
2.700: le bozze degli articoli scientifici su Covid-19 pubblicati sugli archivi online medRxiv e bioRxiv nei primi quattro mesi del 2020
Per i ricercatori condividere il maggior numero di informazioni in tempo reale permette di studiare meglio il virus e, allo stesso tempo, di fornire gli strumenti utili a contenere, combattere e ridurre gli effetti della pandemia da Covid-19. Ilaria Capua, direttrice dell’One Health Center of Excellence all’Università della Florida, rese disponibili a tutti nel 2006 la sequenza genomica del virus H5N1, responsabile dell’influenza aviaria. Quello che all’epoca fu considerato un gesto senza precedenti, in queste settimane è alla base della ricerca su SARS-CoV-2: “Rispetto a 14 anni fa è cambiato tutto. Anche se sembra che l’Italia sia un po’ indietro da questo punto di vista perché le sequenze italiane pubblicate sulle banche dati internazionali sono ancora poche”, spiega la virologa ad Altreconomia. “I dati italiani erano molto importanti nelle fasi iniziali, quando il virus si stava diffondendo. Ogni tampone positivo identifica un virus e conoscere la sequenza di quel virus significa conoscere il suo percorso nazionale, europeo, internazionale. Senza questi dati è come se moltissime macchinine, i virus, girassero senza targa e quindi non riusciamo a capire come si muovono”, conclude. Sul portale Nexstrain è possibile seguire il percorso del virus SARS-CoV-2 dalla Cina al resto del mondo grazie alle sequenze condivise dai ricercatori. Sulle 5mila presenti, meno di 100 sono quelle italiane.
Tra le questioni emerse, una riguarda l’eredità che l’emergenza lascerà alla comunicazione scientifica. Alcuni sono pessimisti. Secondo Elena Giglia il rischio è che si ripeta ciò che è avvenuto in passato con il disastro nucleare di Fukushima nel 2011: “Aveva portato molti editori a rendere libere le pubblicazioni sugli effetti delle radiazioni, ma a emergenza finita tutto è tornato come prima”. Oggi, in alcune pubblicazioni è chiaramente dichiarato che il contenuto è reso disponibile solo durante la pandemia. Cameron Neylon, professore di Comunicazione della ricerca alla Curtin University in Australia, si è chiesto sul The Australian perché malattie che causano migliaia di decessi al giorno, come quelle cardiovascolari o i tumori, non meritino lo stesso livello urgente di apertura di Covid-19. Secondo Neylon le Università dovrebbero cogliere questa opportunità unica per cambiare il sistema. Anche Sparc, una coalizione di biblioteche universitarie che cooperano per creare un sistema di comunicazione scientifica aperto, ha lanciato un appello rivolto a biblioteche, istituti di ricerca, società accademiche e finanziatori. La coalizione chiede di non tornare indietro e di lavorare per costruire un’infrastruttura e un sistema di pubblicazione aperto e pronto ad affrontare le prossime crisi, come quella climatica.
Ilaria Capua è convinta che questa emergenza un cambiamento lo porterà: “Abbiamo di fronte una grandissima opportunità per avvicinare le persone alla scienza. Siamo noi scienziati che dobbiamo fare tutto il possibile per sfruttare questo momento utilizzando nuovi modi per comunicare la scienza”. Dello stesso avviso è Roberto Caso, secondo il quale più dei gesti parziali e temporanei degli editori conteranno le azioni e le scelte future dei ricercatori, dei docenti, dei bibliotecari e soprattutto delle istituzioni. A queste ultime in particolare l’Aisa chiede di intervenire per rendere la ricerca italiana più aperta, cooperativa e solidale. Due le priorità da riformare: la proprietà intellettuale delle pubblicazioni in modo che università e ricercatori possano condividere i dati della ricerca; e il sistema di valutazione della ricerca, che stimola più la competizione che la cooperazione, perché si basa sulle citazioni (il numero di volte che un articolo è citato in altri lavori) e il prestigio delle riviste su cui si pubblica.
“Queste azioni -sostiene Caso- potrebbero migliorare l’intero ecosistema di comunicazione della scienza e non solo quello riguardante l’attuale emergenza sanitaria”.
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