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Diritti / Approfondimento

La “rotta balcanica” diventa un gioco di ruolo. Tra diritti violati e scintille di umanità

Il tabellone del gioco "The game" ideato da alcuni giovani dell'Agenzia scalabriniana per la cooperazione allo sviluppo che hanno percorso la rotta balcanica nel settembre 2019

Alcuni giovani dell’Agenzia scalabriniana per la cooperazione allo sviluppo hanno percorso la rotta nel settembre 2019. Da Gaziantep a Trieste, le testimonianza dei migranti incontrati sono diventate un foto-libro e un gioco interattivo per sensibilizzare la cittadinanza

I passaporti assegnano ai partecipanti una nuova identità: c’è chi diventa Fatma, giovane donna che scappa dall’Iran per problemi famigliari; chi Munir, dal Kashmir, costretto a fuggire perché perseguitato dal governo. Ognuno comincia il viaggio con un certo quantitativo di soldi, perché l’avverarsi del sogno di raggiungere l’Unione europea passa anche dalla capacità economica di partenza. Così chi si trova seduto intorno al tabellone di “The game”, ideato da un gruppo di giovani dell’Agenzia scalabriniana per la cooperazione allo sviluppo (Ascs) dopo un viaggio lungo la rotta balcanica, nel giro di qualche turno sperimenta la frustrazione, l’angoscia e le difficoltà delle persone in transito lungo la rotta balcanica.

“Volevamo utilizzare un linguaggio diverso da quello a cui siamo abituati -spiega Martina Cociglio, attivista dell’Agenzia scalabriniana-. Il gioco non è solo scherzo ma un’attività che per un certo lasso di tempo riesce a farti immedesimare e dimenticare chi sei davvero. Volutamente resti in attesa in certi passaggi, volutamente ti arrabbi in altri, a volte sembra che ‘capitino tutte a te’, sempre ti senti in balia di qualcosa di ingiusto e di cui non sei pienamente padrone. Sensazioni che quotidianamente vivono le persone in transito incontrate lungo la rotta”.

Tra queste Sohaib, giovane pakistano incontrato a Velečevo in Bosnia ed Erzegovina che ha spiegato come la rotta sia un “grande gioco”: “Le persone sono come semplici pedine nella scacchiera dei giocatori più grandi, gli Stati. Sono palloni da calcio che rimbalzano nel campo di gioco degli interessi nazionali. Siamo come ciechi che brancolano nel buio: noi giochiamo ma con le regole di chi ha il potere”. Cieco è anche il giocatore che tirando i dadi deve decidere quale strada percorrere. Via terra lo aspetterà il fiume Evros che separa Turchia e Grecia: un confine militarizzato e pericoloso in cui la probabilità di trovarti rinchiuso per diversi turni nel centro di detenzione di Filakio è altissima. L’alternativa è proseguire dal lato del mar Egeo per raggiungere l’isola di Samos: il mare è una scommessa e aumentano le possibilità di salvarti se acquisti il salvagente.

Chi gioca non sempre conosce la pericolosità dell’attraversamento, dei respingimenti della guardia costiera greca, di come un oggetto acquistato pagando un po’ di più i trafficanti possa salvare la vita. Proprio loro, i passeur sono le caselle che bloccano o accelerano l’attraversamento di un confine, il proseguo del viaggio. Dalla Grecia parte la “corsa” verso Trieste, tappa finale di un percorso che deve ancora attraversare i Paesi balcanici: i fili spinati, i muri, le polizie di frontiera e la loro violenza, i campi di confinamento. “Noi diventiamo i conduttori del gioco, coloro che tengono le redini del percorso -continua Cociglio-. I trafficanti che chiedono i soldi per passare, la sorte che decide il grado di fortuna/sfortuna di chiunque, non potendosi affidare a un sistema legale di viaggio verso l’Unione, si trovi costretto a fare scelte che a volte risulteranno ‘giuste’ altre volte ‘sbagliate’. Giusto è tutto quello che ti permette di andare avanti, a ogni costo. Sbagliato quello che ti blocca”. Il gioco a tratti “volutamente annoia e ti fa arrabbiare” ma sempre ti fa sentire in balia di qualcosa “di cui non sei pienamente padrone”.

Senad attivista che difende i diritti delle persone in transito a Tuzla, in Bosnia ed Erzegovina, con alcuni migranti © Barbara Beltramello

“The game” nasce da un viaggio che sette giovani dell’Agenzia scalabriniana accompagnati da una fotoreporter hanno realizzato lungo la rotta balcanica nel settembre 2019. Da Gaziantep, in Turchia, fino a Trieste. Quando la drammaticità della “rotta balcanica” era ancora meno conosciuta di oggi. “Una mancanza di conoscenza generale, anche nostra, che ci ha spinto a intraprendere il viaggio -spiega Davide Pignata che ha partecipato al viaggio-. Volevamo conoscere la complessità di quei luoghi per raccontarli e condividere il cammino con le persone in transito era necessario, pur ricordando la grande differenza tra chi può viaggiare come noi, perché ha un passaporto che ‘conta’ e chi, per fare lo stesso tragitto che abbiamo fatto in un mese, impiega cinque o sei anni”. Un “farsi migranti con i migranti” consapevoli “dell’ingiustizia di cui siamo portatori perché deteniamo dei diritti che spesso sono privilegi. E il passaporto ne è l’emblema”.

Il viaggio prima ancora di un gioco interattivo si è trasformato in un documentario e in un libro. Umanità IninterRotta, diario di viaggio sulla rotta balcanica (144 pagine, gennaio 2021) è nato a seguito di un crowdfunding lanciato dalla casa editrice Seipersei. È un libro che racconta il viaggio lungo la rotta attraverso le foto di Barbara Beltramello e i racconti delle persone incontrate. “Volevamo provare a trasmettere la complessità della rotta balcanica che è un ‘sistema’ fatto da parti diverse e interconnesse tra loro -spiega Pignata-. Parti che sono persone. Non ci sono infatti foto di contesto, dei campi di confinamento. Solamente i volti e le storie delle persone che abbiamo incontrato. Chi è in transito e proviene dall’Afghanistan, Siria, Iraq, Pakistan; i nostri racconti che descrivono il contesto politico, la violazione dei diritti, i respingimenti e il ruolo di chi, indirettamente o direttamente, si rende complice del sistema. E poi le scintille di umanità incontrate: chi cerca di andare in direzione contraria e aiuta le persone”.

Una pagina del libro “Umanità IninterRotta, diario di viaggio sulla rotta balcanica (edizione Seipersei, 144 pagine, gennaio 2021) © Seipersei

Un sostegno alle persone in transito, per chi, come racconta Sohaib “non è padrone della vita e della morte, come un uomo cieco che cammina: quando si muove non può sapere se vicino c’è una strada o una barriera. Non lo sa ma si sposta lo stesso”. Una sensazione chiara anche per chi sfoglia le pagine del libro, guarda il documentario prodotto da Barbara Beltramello o partecipa a “The game”. “Quando i partecipanti arrivano a Trieste -conclude Cociglio- dopo un momento di esultanza per il tanto agognato arrivo, di solito cala il silenzio. Fatma adesso rappresenta qualcosa per loro. Diventa qualcuno che possono immaginare e associare a un viaggio pericoloso, a un’ingiustizia subita. Forse il giorno successivo andranno a cercare su internet se davvero a Fatma e agli altri come lei è stato rotto il cellulare nei boschi, è stata usata violenza, è stato impedito di chiedere asilo. Andranno a cercare se davvero tra due stati dell’Unione europea esiste un filo spinato che pensavano appartenesse a epoche diverse, studiate sui libri di scuola”.

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