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La riforma farmaceutica europea è un’occasione persa per il rilancio della ricerca pubblica

© Christina Victoria-Craft - Unsplash

La proposta di revisione della legislazione non accoglie l’idea di un’infrastruttura europea pubblica per la ricerca e lo sviluppo di farmaci. Di contro, le aziende farmaceutiche hanno ottenuto tutto, come spiega Massimo Florio del Forum disuguaglianze e diversità. La prosecuzione dei lavori passerà al nuovo Parlamento

Le proposte di revisione della legislazione farmaceutica dell’Unione europea non sono abbastanza coraggiose da innescare un cambiamento sostanziale nelle politiche che regolano il mercato e la ricerca sui farmaci. Lo sottolinea Massimo Florio, docente dell’Università degli Studi di Milano presso il dipartimento di Economia, management e metodi quantitativi.

All’interno del Forum disuguaglianze e diversità, Florio ha infatti ideato e promosso l’idea di creare un’infrastruttura pubblica europea per lo sviluppo di vaccini e farmaci, l’European medicines facility, che però non è stata inserita nel testo della posizione del Parlamento europeo sulla nuova legislazione, votata il 10 aprile a Bruxelles. Per il Forum si tratta di un passo indietro rispetto al luglio del 2023, quando la proposta aveva trovato spazio tra le raccomandazioni alla Commissione europea e agli Stati membri nel rapporto sulle “lezioni” sulla pandemia da Covid-19. Nei prossimi mesi il fascicolo sarà seguito dal nuovo Parlamento, dopo le elezioni europee di giugno 2024, ma per il docente sono molte le criticità contenute nelle attuali versioni di riforma del regolamento e della direttiva.

Facciamo un passo indietro. A novembre 2020 la Commissione europea ha presentato la Strategia farmaceutica per l’Europa per riscrivere il quadro normativo attuale. Dopo una serie di consultazioni pubbliche e incontri tra imprese e autorità regolatorie, ad aprile 2023 è stato pubblicato poi un pacchetto di riforme con l’obiettivo, dichiarato dalla Commissione, di rendere “i farmaci più accessibili e convenienti, sostenendo al contempo la competitività e l’attrattiva dell’industria farmaceutica dell’Ue, con standard ambientali più elevati”. E che prevede proposte per una nuova direttiva e un nuovo regolamento europeo, oltre a modifiche alla legislazione sui medicinali per uso pediatrico e per le malattie rare.

Il testo finale approvato dal Parlamento lo scorso 10 aprile riesce a limitare l’influenza dell’industria farmaceutica, soprattutto rispetto alle sue ambizioni iniziali, ma secondo Florio quelli apportati alla legislazione attuale sono solo ritocchi e nel complesso questa riforma è “tutt’altro che stravolgente rispetto alle attese”.

Contiene infatti una serie di proposte che dovrebbero incentivare le aziende a entrare nel mercato europeo, tra cui un meccanismo di protezione: un periodo della durata di sette anni e mezzo durante il quale le società non possono avere accesso ai dati relativi a un medicinale autorizzato e studiato da un’altra industria per, eventualmente, iniziare altri studi.

“Sostanzialmente le aziende comunicano all’Agenzia europea del farmaco i dati raccolti dai pazienti durante gli studi per permettere di valutare l’autorizzazione al commercio del prodotto, ma per un determinato periodo questi dati non devono essere resi pubblici -spiega Florio-. Di conseguenza, un’altra impresa che voglia accedervi per studiarli ed eventualmente proporre qualcosa di nuovo, non può farlo. Non può usarli. E così non può apportare innovazione fino a quando dura la protezione”.

Inoltre, se il medicinale prodotto risponde a una serie di criteri (legati ad esempio a esigenze terapeutiche non ancora soddisfatte, se una quota significativa della ricerca e dello sviluppo si svolge nei Paesi dell’Unione europea) le aziende potrebbero beneficiare di un’estensione del periodo di protezione. Che, secondo i parlamentari, complessivamente non dovrebbe superare un periodo massimo di otto anni e mezzo.

Ulteriori due anni potrebbero poi essere aggiunti grazie al meccanismo di protezione del mercato, che impedirebbe ad altri farmaci generici, ibridi o biosimilari di essere venduti e quindi di fare concorrenza al prodotto di un’azienda. Anche questo lasso di tempo è eventualmente prorogabile di ulteriori dodici mesi se il farmaco dovesse ottenere l’autorizzazione all’immissione in commercio per una indicazione terapeutica diversa, ovvero per curare eventualmente un sintomo o una malattia differente da quella indicata in fase di autorizzazione.

I cosiddetti farmaci orfani, sviluppati per trattare malattie rare (che interessano non più di un caso ogni duemila persone), potrebbero invece beneficiare dell’esclusiva di mercato per un massimo di 11 anni se dovessero rispondere a un “elevato bisogno medico non soddisfatto”. Una soglia più elevata rispetto a quella proposta dalla Commissione che, inizialmente, aveva una durata variabile di dieci, nove o cinque anni, in base al tipo di medicinale.

“Le case farmaceutiche sostengono che questo per loro è un incentivo fondamentale per innovare in alcuni campi, perché sono disposte a entrare in un mercato e a investire in sperimentazioni a patto di avere una ridotta concorrenza. Che si traduce in guadagni in esclusiva -spiega Florio-. Se per una malattia rara si contano centomila pazienti nel mondo, le aziende investono in ricerca contando di ricevere un ritorno da quel determinato numero di persone. Quindi, se durante il periodo di esclusiva venisse messa a punto una molecola capace di risolvere quel problema, non potrebbe essere prodotta. Potrebbe essere brevettata, ma non messa sul mercato”.

Secondo la Strategia farmaceutica europea questi incentivi, associati ai diritti di proprietà intellettuale esistenti (i brevetti sui farmaci), permetteranno all’Europa di essere un polo attraente per gli investimenti e l’innovazione. Per Florio invece si tratta di meccanismi “anti-competitivi e anti-innovazione”, tra cui figura anche il voucher trasferibile di esclusiva dei dati, uno strumento pensato per stimolare la ricerca e lo sviluppo degli antibiotici e di quegli antimicrobici prioritari, necessari per combattere la diffusione del fenomeno dell’antibiotico resistenza.

Il voucher concede all’azienda che sviluppa un antibiotico prioritario un ulteriore anno di protezione normativa dei dati, che può essere utilizzato per qualsiasi altro prodotto incluso nel portafoglio della società, per questo trasferibile. Il testo della Commissione prevede anche l’ipotesi di vendita di voucher tra aziende.

Un principio che era stato molto criticato da tre esperti in economia sanitaria -Simona Gamba, dell’Università degli Studi di Milano, Laura Magazzini, della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, Paolo Pertile, dell’Università di Verona- nello studio realizzato per conto del Panel for the future of science and technology (Stoa), il comitato scientifico che lavora in supporto del Parlamento europeo.

“Si tratta del famoso studio pubblicato sul sito del Parlamento, poi cancellato a causa delle pressioni delle industrie e successivamente ripubblicato -ricorda Florio-. Questa analisi demoliva il concetto di voucher trasferibili perché metteva in guardia dal rischio che la protezione di dati ottenuta potesse essere trasferita ad altri farmaci molto più remunerati, visto che la scelta di dove trasferire il ‘buono’ è a discrezione delle industrie. Le conseguenze possono essere distorsioni di mercato causate dall’aumento del valore e del prezzo di quei farmaci”.

Per Florio si tratta di meccanismi di creazione di un monopolio legale: “Sostanzialmente queste proposte prendono atto che le imprese hanno le proprie priorità e decidono loro che cosa fare. Quindi, se la politica le vuole spingere a fare qualcosa che non è conveniente dal punto di vista economico deve dare degli incentivi. E siccome i bilanci degli Stati non consentono, come si fa negli Stati Uniti, di erogare finanziamenti, non resta che ricorrere a incentivi di mercato”.

La riforma della legislazione proposta dal Parlamento europeo affronta anche la questione ambientale legata alla produzione di farmaci, imponendo alle aziende di presentare una valutazione del rischio in materia quando richiedono un’autorizzazione all’immissione in commercio. Prevede inoltre di dare maggiore indipendenza all’Autorità per la preparazione e la risposta alle emergenze sanitarie (Hera), istituita sotto la personalità giuridica del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc). Sarebbe così “responsabile della creazione, del coordinamento e dell’attuazione del portafoglio europeo a lungo termine di ricerca biomedica e del programma di sviluppo di contromisure mediche contro le minacce attuali ed emergenti alla salute pubblica, nonché della produzione, dell’approvvigionamento, dello stoccaggio e della capacità di distribuzione di contromisure mediche e di altri prodotti medici prioritari nell’Ue”.

Per Florio si tratta di un compromesso rispetto alla proposta dell’infrastruttura biomedica pubblica sviluppata all’interno del Forum disuguaglianze e diversità, pensata per avere capacità operative di intervento molto più ampie, con una missione più larga in materia di ricerca e sviluppo di farmaci. L’appoggio dato da 156 eurodeputati che hanno provato a rilanciarla durante la plenaria del Parlamento europeo lascia anche uno spazio aperto: “La partita non è chiusa -conclude il docente-. Se l’idea di alcuni ricercatori è stata fatta propria da un importante numero di deputati, tra l’altro di vari partiti e di diversi Paesi, vuol dire che comincia a farsi strada. All’interno del prossimo Parlamento europeo ci sarà inoltre una commissione sul tema della salute, che attualmente non c’è: il tema, infatti, è seguito dalla commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare (Envi). Mi aspetto che i temi sanitari saranno molto importanti, ma vedremo chi saranno i commissari alla ricerca e alla salute designati dal prossimo Parlamento europeo”.

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