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Economia / Opinioni

La ratifica del Mes è un pezzo della crisi dei Paesi con maggior debito. Proprio come l’Italia

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Di fronte all’esplosione del debito, Banca centrale europea e Germania invocano il pugno di ferro, anche a costo di sacrifici pesantissimi. Ma non è con il feticcio dell’austerità o della crescita esasperata che si può affrontare il nuovo rapporto tra debito, monete e dimensione sociale dell’economia. L’analisi di Alessandro Volpi

L’Italia ha una montagna di debito pubblico da collocare. Il Meccanismo europeo di stabilità (Mes) è utile o dannoso rispetto a tale, cruciale, questione? Questo è il tema decisivo che la politica dovrebbe affrontare. Io penso che sia dannoso per varie ragioni che proverò a riassumere tra poco.

Il punto da cui partire però è un altro ed è rappresentato dalla totale sottomissione della realtà alle logiche del consenso, costruito su narrazioni distorte. In commissione Esteri della Camera, la maggioranza di fatto non si è espressa e hanno votato a favore della ratifica del Mes Pd, Azione e Più Europa, a detta del relatore Piero De Luca, per non indebolire la credibilità del Paese. Quindi il provvedimento è arrivato in aula con il parere favorevole di un pezzo dell’opposizione ma la Camera, riunita per discutere del Mes, era deserta. Le ragioni di questa pantomima sono, appunto, di carattere meramente elettoralistico. Pd, Azione e Più Europa sono “europeisti a priori”, puntando sullo “stigma” europeo verso la destra italiana, mentre la maggioranza di governo vuole coltivare un antieuropeismo altrettanto aprioristico. Mentre Movimento 5 stelle e Sinistra italiana si astengono.

Ma come è possibile che su una questione cruciale come il destino del debito italiano non si discuta nel merito, con chiarezza, e si inseguano solo tatticismi in previsione delle future elezioni europee? Ma a che cosa servono il Parlamento, il dibattito politico, i partiti? Sembra a poco, e l’elettorato viene alimentato solo di stereotipi didascalici quanto fumosi secondo una logica da influencer commerciali.

Sarebbe utile invece discutere della “concorrenza” che i titoli del Mes -una vera e propria banca- faranno ai titoli del debito italiano. Tali titoli hanno sicuramente un rating più alto e la loro messa in vendita farà concorrenza a quelli del debito italiano che hanno un rating decisamente più basso e quindi dovranno remunerare di più il mercato. Se a ciò aggiungiamo che il mercato del debito è già “occupato” da una marea di titoli statunitensi e poi anche dai titoli NextGenerationEU, insieme alla marea di bond obbligazionari, ratificare il Mes significa consentire una ulteriore proliferazione di titoli, più solidi rispetto a quelli italiani, che partoriranno nell’insieme un conto interessi di circa cento miliardi di euro, riportandoci ai livelli del 2011.

In questo senso, ratificare il Mes senza adoperarlo sarebbe ancora peggio perché vorrebbe dire consentire la produzione di titoli in grado di fare concorrenza al debito italiano e non utilizzarli per limitare quantomeno le emissioni necessarie al nostro Paese. Nel corso del 2023, per effetto della scelta della Banca centrale europea di non riacquistare i titoli del debito pubblico in scadenza, l’Italia dovrà emettere 112 miliardi di euro in più in titoli di Stato contro i soli due del 2022. In simili condizioni saranno necessari acquirenti privati per 432 miliardi e l’eventuale concorrenza dei titoli del Mes, la cui ratifica in linea di principio dovrebbe migliorare il rating italiano, sarà appunto molto costosa.

Ad aggravare la situazione interviene la politica degli alti tassi della Bce, perché può ridurre l’inflazione solo con la recessione cruda, perché elimina liquidità bancaria e non riduce l’intermediazione finanziaria non bancaria, la vera linfa della speculazione, e non ha effetti reali sul raffreddamento dei prezzi -se non per la già ricordata recessione- che hanno bisogno invece di meccanismi di controllo. Gli alti tassi, se uniti al Mes e ad altre emissioni più quotate, renderanno invece molto difficile collocare il debito italiano e dunque obbligheranno a tagli pesanti di spesa pubblica.

Per questa Commissione europea inoltre non ci sarà la garanzia europea sui depositi bancari, non ci sarà una revisione più morbida del Patto di stabilità, non ci saranno regole migliori per le banche più piccole. Sono già peggiorate poi le condizioni “tedesche”, tra cui figura peraltro una nuova contabilità che impone un ricalcolo con una maggior spesa, per l’Italia, nel 2022 di 53 miliardi di euro. Dunque la ratifica del Mes è un pezzo della crisi dei Paesi con maggior debito secondo le tradizionali logiche della austerità.

A riguardo sarebbe necessario porsi, piuttosto, un’altra domanda. Possiamo fare a meno del debito? Negli Stati Uniti il debito federale ha superato i 32mila miliardi di dollari, nove anni prima di quanto era stato previsto dal Congresso. Nel mondo, nel corso del primo trimestre del 2023, il debito è cresciuto di 8.300 miliardi di dollari. In Italia il debito pubblico ha superato i 2.800 miliardi di euro. Se poi consideriamo il complesso dei debiti mondiali, pubblici e privati, la stima sale a quasi 305mila miliardi di dollari. Dunque, i debiti pubblici nel mondo sono ampiamente superiori al 100% del Prodotto interno lordo e il totale di quelli pubblici e privati ha raggiunto il livello record del 335% del Pil.

Ma allora è possibile affrontare una simile mole di debito con l’austerità o con il feticcio della crescita esasperata? Oppure è necessario avviare una riflessione più ampia sul rapporto tra debito, monete e dimensione pubblica e sociale dell’economia? Un elemento pare chiaro. La Bce di Christine Lagarde è ferma all’austerità che ora giustifica con la volontà di far pagare alle imprese gli eccessivi profitti: una formula che, è assai prevedibile, scaricherà sui lavoratori gli effetti del rialzo dei tassi. La Germania è ancora più drastica, in modo surreale: la Ragioneria dello Stato tedesca ha chiesto al governo di prepararsi per un “salvataggio pubblico” della Deutsche Bundesbank perché ha in pancia troppi titoli di Stato tedeschi che, con l’aumento dei tassi, si stanno deprezzando. In pratica di fronte all’esplosione del debito, Bce e Germania stanno invocando il pugno di ferro, anche a costo di pesantissimi sacrifici, come se il complesso dell’indebitamento globale fosse quello della metà degli anni Novanta. Ma la politica dov’è?

Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento.

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