Ambiente / Approfondimento
La pena del Mincio. Così lo sfruttamento di agricoltura e turismo ha messo in crisi il fiume
Tra i simboli del territorio mantovano, l’ambiente fluviale subisce una pressione incontrollata che va dai reflui del Garda ai liquami prodotti dall’allevamento di bovini e suini. Le conseguenze sono pesanti, come l’interrimento di laghi e valli, la perdita di biodiversità e l’inquinamento da fertilizzanti. Con l’ecosistema vicino al punto di non ritorno e una minaccia per la salute umana, la società civile locale si mobilita
“In alcune zone la profondità si misura non più in metri ma in centimetri. Un sistema acquatico inquinato, dove l’acqua non circola e non si rinnova diventa sempre più terrestre. Problemi noti da decenni, ma sollevarli suscita ancora antipatia e diffidenza”.
Marco Bartoli, docente di Ecologia dell’Università di Parma, non usa mezzi termini per descrivere la sofferenza dei laghi e delle valli del Mincio, ampi specchi d’acqua e zone paludose che caratterizzano il corso del fiume nel tratto in cui cinge Mantova. Un ambiente unico, minacciato dall’eccessivo sfruttamento delle risorse idriche.
“Il Mincio collega il Lago di Garda al Po -spiega Bartoli- quindi è alimentato da una grande riserva d’acqua dolce di buona qualità. Tuttavia, il depuratore di Peschiera raccoglie le acque reflue del lago e scarica nel tratto iniziale del fiume un’enorme quantità di azoto e fosforo, generati soprattutto dal turismo che ogni anno porta sulle rive del Garda circa 25 milioni di persone. Alla diga di Salionze, i canali Virgilio e Seriola Prevaldesca si separano dal fiume per alimentare l’irrigazione sia nel mantovano sia nel veronese. Più a valle si trovano altri canali come lo Scaricatore di Pozzolo, il Naviglio di Goito e il Diversivo: sono usati per irrigare, sostenere le centrali idroelettriche e ridurre il rischio di piene e allagamenti. Diminuendo velocità e portata, l’acqua diventa carente”.
A questo si aggiunge l’impatto dell’agricoltura. Da sessant’anni nel mantovano c’è uno sbilanciamento tra il numero di bovini e suini allevati e la superficie dei campi su cui è possibile spandere i liquami. I fertilizzanti in eccesso finiscono così nel Mincio, nei canali e nelle falde acquifere. La situazione è peggiore nei permeabili terreni ghiaiosi, che caratterizzano i Comuni di Goito e Marmirolo, ma è coinvolta la quasi totalità del bacino fluviale, per una superficie di 800 chilometri quadrati.
Le conseguenze? “Ricevendo poca acqua -osserva Bartoli- laghi e valli subiscono interrimento, cioè vi si depositano sedimenti che facilitano la crescita di alghe e piante acquatiche, anche grazie all’accumulo di rifiuti organici e fertilizzanti. Cambiando le condizioni chimiche e aumentando la torbidità, specie alloctone come il fiore di loto e il pesce siluro prosperano e soppiantano quelle originarie. Il degrado ambientale è gravissimo, quasi irreversibile. Ma è minacciata anche la salute umana. Uno studio medico danese ha analizzato gli effetti della contaminazione da nitrati (sostanze composte da azoto e ossigeno) su tre milioni di persone, una buona parte della popolazione nazionale. Conclusione: se le concentrazioni superano i tre milligrammi per litro d’acqua, aumenta significativamente la probabilità di sviluppare tumori al colon. La Danimarca, grande produttore di carne di maiale, ha più suini che abitanti, come diverse zone della Pianura Padana. Tuttavia, là si cerca di limitare questo tipo di pressione e d’inquinamento, mentre la legislazione italiana permette una concentrazione di nitrati fino a 50 milligrammi per litro d’acqua”.
Che cosa fare? Alcuni batteri rimuovono l’azoto in eccesso, ma faticano a svilupparsi se c’è penuria d’acqua. Per potenziare i depuratori e realizzare bacini di decantazione servono fondi, difficili da ottenere senza presentare progetti ai bandi nazionali ed europei. Siepi e filari sulle sponde dei canali potrebbero limitare l’erosione, migliorare la qualità delle acque e dare riparo alla fauna, ma come i boschi di pianura sono stati eliminati dal paesaggio agricolo.
L’attuale gestione delle acque, molto conservativa, si giustifica citando la sicurezza idraulica anche quando non vi sono minacce reali per la popolazione. Senza contare che i litorali dei laghi, zone cuscinetto naturali, sono destinati unicamente al tempo libero e non possono più consentire variazioni di portata anche piccole. Basterebbe aumentare periodicamente, anche di pochi decimetri, il livello delle acque per diluire i carichi inquinanti e rimuovere sedimenti. La fruizione dei laghi verrebbe limitata solo per pochi giorni l’anno, e per l’ecosistema sarebbe un sollievo.
Eppure, non s’intravedono cambi di rotta. Uno degli ultimi studi scientifici sulla salute del sistema fluviale, di cui Bartoli è stato coautore, ha evidenziato chiaramente la gravità della situazione. La reazione politica è stata però molto timida, i risultati ritenuti troppo allarmanti e quindi non soddisfacenti. Per la trentina di associazioni locali interessate alla questione è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
“Abbiamo così deciso di costituirci nel Tavolo del Mincio”, racconta Andrea Fiozzi, presidente del Parco regionale del Mincio dal 1990 al 1995 e oggi portavoce di questo nuovo soggetto. Ne fanno parte, tra gli altri, associazioni naturalistiche, Wwf, Arci, Pro Loco, gruppi scout, Fridays for Future, medici, gruppi canoistici, centri per l’educazione ambientale e il recupero della fauna selvatica. Rappresenta interessi diversi ed esiste da meno di un anno, ma è già diventato un interlocutore importante.
“Abbiamo partecipato a un recente convegno indetto dal Comune di Mantova, che ha introdotto l’obiettivo della balneabilità dei laghi: può aiutare il turismo, ma richiede un ambiente sano e quindi un maggiore transito d’acqua. Almeno su questo possiamo trovare convergenze con alcune istituzioni, ed è una novità. Inoltre, per ottenere maggiori deflussi abbiamo lanciato una petizione indirizzata, tra gli altri, a Parlamento europeo e Regione Lombardia”.
Com’è cambiata la gestione del fiume nel tempo? “In peggio -riflette Fiozzi-. Il Parco esiste dal 1984 e fino agli anni Duemila il suo piano territoriale era più importante dei piani regolatori comunali. Poi, modifiche alle leggi regionali hanno ristretto la superficie dell’area protetta, riportandone gran parte alla programmazione dei Comuni. Il territorio è gestito perlopiù sulla base degli interessi economici, come dimostra, ad esempio, la costruzione di interi quartieri a ridosso del Mincio in aree soggette a esondazione. Manca un soggetto capace di valorizzare la natura senza saccheggiarla. Il Parco ha cercato di recuperare istituendo il Contratto di Fiume Mincio, un raggruppamento di 60 enti e associazioni che dovrebbe conciliare gli interessi pubblici e privati, economici e ambientali. Ma ha solo funzione consultiva e i suoi programmi, anche ambiziosi, sono rimasti sulla carta”.
Intorno al 2008 la Regione Lombardia aveva stabilito un valore di deflusso minimo vitale per proteggere i laghi e le valli: circa sette metri cubi d’acqua al secondo, il 10% della portata media. “Con il tempo questo obiettivo si è rivelato insufficiente, anche perché è impossibile monitorarlo -sottolinea Fiozzi-. I dati sulla portata del Mincio e la quantità dei prelievi non vengono resi pubblici: sono noti ai soli enti gestori, come l’Agenzia interregionale per il fiume Po e i consorzi di bonifica. Questo permette decisioni azzardate. Ad esempio, è stato autorizzato l’accesso all’acqua anche a tante nuove centraline idroelettriche: questo ha contribuito a impoverire il corso del fiume negli ultimi, siccitosi anni. A nome della cittadinanza, chiediamo trasparenza immediata. Per il futuro, puntiamo a identificare un indicatore chiamato deflusso ecologico, a valore variabile, per avere sempre acqua sufficiente ad assicurare la sopravvivenza dell’ambiente naturale”.
Dopo le recenti forti piogge, dal Garda è stata liberata un’immensa quantità d’acqua per evitare che esondasse. A valle ne è arrivata pochissima. “Quando scarseggia -conclude Fiozzi-, finisce tutta nell’irrigazione. Se abbonda, viene deviata per ragioni di sicurezza, non sempre fondate. Tra turismo e agricoltura, l’ambiente è sempre sacrificato. Eppure, i servizi che offre, come la fitodepurazione, sono uno dei motivi della buona qualità della vita di Mantova. Le guide cittadine incollano i visitatori al patrimonio artistico e architettonico, ma quello naturale è altrettanto importante. Non possiamo più darlo per scontato, tantomeno distruggerlo”.
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