Terra e cibo / Approfondimento
La nuova politica del cibo di Roma che rafforza la democrazia alimentare
Dall’accesso alle terre pubbliche al rilancio dei mercati rionali, la food policy della città mira a creare relazioni tra piccoli produttori e cittadini, andando oltre il dominio della grande distribuzione. Il 23 febbraio in Campidoglio si riunisce la prima seduta del Consiglio del Cibo per renderla attuativa
A Sud del Grande raccordo anulare la via Ardeatina si snoda tra le colline della campagna romana. Le macchine scorrono per raggiungere i Comuni limitrofi o i quartieri della zona sorti come isole tra i campi. “È un territorio rurale ma è difficile da fruire perché è tutto recintato”, osserva Antonio Finazzi Agrò, presidente della società agricola e impresa sociale La Nuova Arca. I suoi cancelli, invece, sono aperti: “Campi estivi, spazi per associazioni, un giardino sensoriale per la riabilitazione di persone con deficit di varia natura progettato con il dipartimento di Psicologia dell’Università di Tor Vergata. Presto ci sarà un agriturismo”. Nata nel 2007 come casa famiglia per madri sole in difficoltà, dal 2012 La Nuova Arca è anche un’azienda agricola biologica di circa cinque ettari che produce ortaggi, commerciati soprattutto tramite Gruppi di acquisto solidale, e che dà lavoro a sette persone, quasi tutte migranti e donne inserite in percorsi di autonomia. Il suo presidente guarda con interesse alla nascita di una food policy: “Renderà più consapevoli i clienti del fatto che oltre al cibo acquistano anche valore sociale e ambientale”.
Il percorso è iniziato nel 2019 quando una cinquantina di associazioni, produttori, accademici e realtà sociali hanno sottoposto al Comune, allora guidato dalla sindaca Virginia Raggi, un’analisi del settore agroalimentare. La proposta individuava dieci punti per costruire una politica pubblica in grado di indirizzare il sistema alimentare cittadino verso una maggiore sostenibilità per produttori, consumatori e ambiente. Tra i punti, il rafforzamento di piccole e medie imprese e delle filiere corte, l’accesso al cibo di qualità per tutti, la riduzione degli sprechi, il contrasto al consumo di suolo, la promozione delle specificità territoriali e delle aziende multifunzionali che forniscono alimenti e servizi allo stesso tempo, come La Nuova Arca. Obiettivi raccolti in una delibera approvata all’unanimità dal Consiglio comunale ad aprile 2021 che la nuova amministrazione, eletta lo scorso ottobre, ha deciso di rilanciare.
Il 23 febbraio di quest’anno in Campidoglio, alla presenza del sindaco Roberto Gualtieri, si terrà la prima seduta del Consiglio del Cibo che avrà il compito di attuare la food policy. “Ai tavoli di lavoro, divisi per temi, parteciperanno soprattutto esponenti della cittadinanza: oltre ai promotori apriremo alle grandi organizzazioni di categoria, al terzo settore, a esperti e realtà della società civile”, spiega ad Altreconomia l’assessora all’Ambiente, Sabrina Alfonsi. È sua la delega all’Agricoltura anche se, fa notare, “la politica del cibo coinvolgerà tutti gli assessorati perché è sistemica. La giunta lavorerà in modo collettivo”.
Roma non parte da zero, prima di tutto per la conformazione del suo territorio. Nel Comune più esteso d’Italia, la campagna è vicina alla città, la circonda, e si insinua nel suo tessuto urbanizzato cresciuto in modo disordinato. Nel solo territorio comunale, secondo dati Istat del 2010, la superficie agricola è di quasi 58mila ettari, pari a Milano, Bologna, Napoli e Torino messe insieme. Lo stesso censimento rilevava 2.656 aziende agricole, tra le quali anche realtà molto piccole. All’inizio del 2021, per la Camera di Commercio in tutta la provincia erano registrate 11.971 imprese. “Le criticità di Roma sono anche le sue potenzialità”, commenta Francesco Panié, ricercatore di Terra! Onlus, tra gli autori del report “Una Food Policy per Roma”. “Nelle sue vicinanze sono attive migliaia di aziende, ma non abbiamo dati chiari su come e quanto del loro cibo arrivi in città. Le filiere corte non mancano, ma senza una regia pubblica è difficile per i piccoli produttori consolidare il proprio spazio in un mercato dominato dalla grande distribuzione”.
Al primo punto della food policy romana c’è la garanzia di accesso alla terra, pensata per favorire nuove giovani realtà e presenza femminile in un settore che impiega meno dell’1% degli occupati della Capitale, con una prevalenza maschile, una scolarizzazione medio-bassa ed età avanzata. Al centro dell’attenzione ci sono soprattutto le terre pubbliche. Secondo “L’Atlante del Cibo della Città Metropolitana di Roma capitale” elaborato dal Consorzio universitario per la ricerca socioeconomica e per l’ambiente (Cursa), in pubblicazione a febbraio, in provincia ammontano a quasi 22mila ettari, parte delle quali a Roma. L’assegnazione dei lotti incolti è al centro di una vertenza partita una decina di anni fa da una rete di associazioni e giovani agricoltori, che hanno raccolto l’eredità delle battaglie degli anni Settanta, che in città portarono alla nascita di aziende biologiche e multifunzionali attive ancora oggi. Sulla spinta della vertenza, nel 2014, Roma Capitale ha messo a bando quattro lotti per un totale di 97 ettari. L’iniziativa, però, è rimasta isolata nonostante il Comune abbia altre disponibilità. Ora l’amministrazione ha avviato un censimento per individuare i campi assegnabili. “Le terre pubbliche sono una risorsa strategica”, spiega Giacomo Lepri, presidente della cooperativa agricola Coraggio, assegnataria di 22 ettari, nell’area Nord di Roma, lavorati con metodi biologici e attenzione alla biodiversità delle colture. Oltre alla produzione, il progetto prevede corsi di formazione, un’area pic-nic, una fattoria didattica. Per Lepri, “i bandi funzionano se fanno parte di un piano complessivo in grado di supportare le aziende con infrastrutture locali per la trasformazione dei prodotti e di facilitarne l’ingresso nel mercato cittadino”.
Avvicinare la produzione al consumo è un altro degli obiettivi. Anche in questo caso Roma ha già costruito: come riporta “L’Atlante del cibo”, la Capitale conta su 744 agricoltori che praticano vendita diretta, 57 gruppi di acquisto solidale, 20 mercati contadini, circa 150mila pasti al giorno nelle mense scolastiche. “Il punto è far fare rete ai piccoli produttori, soprattutto biologici, e consolidare la loro presenza in queste filiere così che non restino schiacciati dalla grande distribuzione e possano mantenere retribuzioni eque e cibo di qualità”, spiega Gabriella D’Amico, ricercatrice e consigliera nazionale del commercio equo per l’Associazione Botteghe del Mondo. Per D’Amico mancano anche spazi adeguati per filiere corte e reti alternative di distribuzione: “Per questo avanzeremo proposte di rigenerazione urbana”.
Oltre alla richiesta di nuovi spazi, c’è il rilancio di quelli esistenti. È il caso dei mercati rionali. A Roma, come riporta il sito comunale, ce ne sono 70 dislocati in tutti i municipi. Rappresentano uno sbocco importante per molte aziende del Lazio, soprattutto attraverso l’hub logistico del Centro agroalimentare romano. I produttori diretti che decidono di gestire un banco, però, sono pochi. Inoltre la scarsa manutenzione di molte strutture ha reso i mercati poco attrattivi e sottoutilizzati. “Il primo passo è la riqualificazione”, commenta Amedeo Valente, venditore di formaggi a chilometro zero e dal 2016 presidente del mercato rionale Trieste, nella zona Nord di Roma. Valente ha rivitalizzato l’attività organizzando eventi e aumentando la quota di produttori diretti, che nel suo mercato occupano il 14% dei banchi. La chiave, spiega, “è incentivare i commercianti ad acquistare dalla filiera corta e favorire l’associazione di piccole aziende, perché chi lavora la terra fa fatica ad aprire un banco tutti i giorni”.
Quali forme prenderà la food policy di Roma è presto per dirlo. Ora l’attesa è per l’avvio dei lavori del Consiglio del cibo. “Uno strumento innovativo che interviene in un ambito sottovalutato: la democrazia alimentare”, commenta Davide Marino, docente universitario e tra gli autori de “L’Atlante del Cibo”. “Nei supermercati scegliamo tra numerosi prodotti che però sono stati selezionati da altri. Per questo la speranza è che il confronto si allarghi anche agli attori più grandi. Per fare in modo che funzioni, però, è necessaria una regia pubblica”.
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