Altre Economie
La montagna va abitata
Viaggio nella Val Maira, terra occitana, dove -contro lo spopolamento- giovani famiglie puntano sull’economia reale e sostenibile
“Farsi la legna era una cosa che una volta facevano tutti, non c’era tutto questo abbandono, e questo voleva dire tenere puliti il bosco e i torrenti. Se capitava un’alluvione o una valanga, tutti andavano a prendersi la legna e dopo una settimana era sparita. Ognuno manteneva il suo pezzetto, e questo era un bene. Adesso resta lì. Tanta gente non è neanche più capace”.
Monica, 40 anni passati da poco, da vent’anni coltiva con metodo biologico un piccolo terreno a 1.400 metri di altezza sopra Marmora, uno dei comuni dell’alta Val Maira (in provincia di Cuneo); racconta di combinazione di strategie di sussistenza e attenzione ai beni comuni che ha preservato per secoli l’ambiente e insieme l’uomo. Anche dalle catastrofi naturali che tanto frequentemente funestano il nostro Paese.
La montagna va abitata, mantenuta viva dal lavoro quotidiano dei suoi stessi cittadini: lo sanno bene nelle valli occitane (le valli piemontesi al confine con la Francia, ultima propaggine orientale di una regione culturale che si estende da qui alla Catalogna).
Chi viene a passare qualche giorno in Val Maira rimane colpito dalle decine di associazioni culturali, i due musei etnografici, la varietà di percorsi tematici alla scoperta di antichi borghi e mestieri che questa offre, oltre che dalla valorizzazione dei prodotti biologici, locali, e artigianali venduti nei (pochissimi) negozi della vallata.
Se molte comunità montane hanno scelto un modello di sviluppo che le colloca in un ruolo di “servizio” rispetto alla pianura, la Val Maira sembra resistere a questa prospettiva e rivendicare la centralità della qualità della vita di chi vive in valle e la salvaguardia del suo ambiente e della sua identità. Con l’idea che solo una comunità forte, consapevole della sua identità e rispettosa delle sue risorse può proporre a chi viene da fuori un’ospitalità vera.
Al turismo estivo e invernale vengono proposti sentieri (con un circuito di percorsi in quota molto curati), arrampicate, quaranta chilometri di piste di sci da fondo e centinaia di itinerari di sci alpinismo.
Negli anni 70 un’azienda voleva realizzare degli impianti di risalita, ma i comuni della vallata si accordarono per respingere l’iniziativa.
“Che è stato anche bene -chiosa chi racconta- perché negli anni successivi non ha nevicato! E ci saremmo trovati con i prati rovinati e gli impianti abbandonati… Non sono mica pochi i posti dove è successo! Dobbiamo ringraziare le persone che in quel momento erano lì. Che han fatto una scelta difficile e che poteva apparire penalizzante per i posti di lavoro. Però oggi ci troviamo con una valle integra e un turismo che apprezza”.
Mariano Allocco -ex presidente della Comunità montana, originario di una piccola borgata della valle, cavaliere della Repubblica, saggista, una vita lavorativa spesa in Fiat a Torino e nelle sue filiali in giro per il mondo- ci parla a lungo del rapporto montagna-pianura: “Gli interessi di chi vive in pianura nei confronti della montagna sono focalizzati sull’ambiente [inteso come ambiente naturale, ndr], mentre per chi vive in montagna l’interesse centrale è l’uomo che vive la montagna”.
“Negli anni 50 l’economia contadina e pastorale della montagna è fallita e migliaia di imprenditori sono stati trasformati in operai della Fiat. Il rapporto fra pianura e montagna è diventato di tipo coloniale: alla montagna è stato affibbiato il ruolo di ‘deserto verde’: uno spazio idealmente integro e selvaggio, che lavi la cattiva coscienza di chi ha deturpato le risorse naturali della pianura e consenta di scappare in un ‘parco’, dove fotografare un capriolo o un cervo che ti attraversa la strada. La differenza più grande fra la valle di oggi e quella di allora -conclude- non è lo spopolamento, ma il panorama. Un tempo qui era una distesa di campi di segale, orti, piccoli pascoli. Ora assistiamo al ritorno della foresta.
È un’invasione dei barbari. Migliaia di anni di lavoro per ricavare coltivi e terrazzamenti buttati via”.
Monica si mantiene gestendo il b&b Lou Bià (www.loubia.it), vendendo le eccedenze dell’orto ai turisti e producendo da sé tutto quello che riesce. “Ognuno qui si trova la sua integrazione, ché di agricoltura non si vive. Anche perché la stagione è molto corta. Io faccio il b&b, altrimenti avrei dovuto andare a lavorare fuori, come fanno gli altri. Ma ho sempre continuato a fare agricoltura, fare il fieno. Tengo anche le capre. Così, oltre a rientrare delle spese, mantengo il prato pulito e faccio bene al paesaggio. Altrimenti, con molta meno gente che tiene animali, vengono fuori tutte le infestanti e i campi, se un domani qualcuno volesse coltivarli, sarebbero inutilizzabili”.
“Deve essere chiaro che è una cosa molto diversa -ci avverte Giorgio, pastore e casaro- vivere in montagna e vivere della montagna”. Giorgio gestisce insieme a Marta e Lara una piccola azienda agricola biologica che alleva capre, produce caprini bio e gestisce un piccolo agriturismo (www.lopuyvallemaira.com) a San Damiano Macra.
“I caseifici fanno un formaggio buono, piacevole e accattivante -osserva- come quei vini un po’ barricati che risultano subito piacevoli. Che magari hanno un anno e sembra ne abbiano 4 o 5. Però son molto standard. Se vai a 200 chilometri lo trovi uguale. Noi abbiamo scelto la qualità e la creatività: e quindi il latte crudo per non annullare le capacità del latte, le bestie al pascolo, anni di corsi e di confronto con chi produce questi formaggi, soprattutto in Francia, qualche idea originale.
Allevare le bestie al pascolo significa sfruttare le possibilità di un territorio ripido e difficile, che solo le capre possono sfruttare. I vegetariani e i vegani sollevano molte questioni sul consumo di risorse naturali prodotto dall’allevamento: questo può essere vero per territori come la pianura padana, che sono troppo sfruttati e dove la vacca, allevata com’è oggi, non riesce a restituire quel che consuma.
Nel nostro caso, bestie selezionate per questo tipo di ambiente producono, grazie l’intervento dell’uomo, formaggi buoni da foraggi poveri, spontanei, che non verrebbero utilizzati”.
“Il rapporto fra montagna e pianura è coloniale -continua Mariano- anche perché le imprese della pianura cercano di venire a prendersi le risorse qui, sottraendone l’uso al controllo dei cittadini. Molte valli vicine hanno accettato di far gestire la propria acqua dall’Acda di Cuneo. Invece noi abbiamo creato la ‘Comuni riuniti’: otto comuni che gestiscono insieme gli acquedotti come abbiamo sempre fatto, senza darli via a chi ha come obiettivo il profitto.
Gli otto comuni hanno anche creato la Maira Spa (vedi box) per gestire l’acqua come fonte di energia e girarne i benefici al territorio. Puntiamo all’autosufficienza energetica e questa azienda, a maggioranza pubblica, rende alla comunità montana più di 700mila euro all’anno che vengono reinvestiti in valle per aumentare il benessere di chi qua sceglie di vivere”.
La Val Maira è molto lunga e le sue strade son strette e difficili da mantenere; la più suggestiva -il “vallone” immortalato dal film “Il vento fa il suo giro” del regista Giorgio Diritti- è spesso soggetta a lavori e nel 2010 è stata aperta pochissimo. D’inverno, quando la temperatura scende a meno diciotto, percorrerle diventa un viaggio lungo e faticoso.
Lorenza, Seiscia e Giò, trentenni che gestiscono rispettivamente un agriturismo e il negozio di alimentari di Elva, il comune della valle più alto e affascinante, ci raccontano quanto la lunghezza dei viaggi incida sul loro lavoro e sul modo in cui l’hanno organizzato. Lorenza, che da quando aveva diciannove anni gestisce l’agriturismo L’Artesin (www.artesin-elva.it), ci spiega che la scelta di utilizzare solo prodotti locali (in gran parte dell’azienda agricola di famiglia) e produrre da sé quasi tutto, è dovuta al piacere di offrire prodotti genuini ma anche alla necessità di risparmiare tempo e denaro: se dovesse scendere a fare la spesa ogni volta che ha bisogno di qualcosa, passerebbe in auto la maggior parte del tempo.
Seiscia e Giò sono hanno trent’anni e due anni fa sono saliti a Elva (quasi per caso) da Cuneo e Pinerolo; hanno accettato di riaprire il negozio di alimentari del paese, ormai chiuso dal 1981.
Quello che ha guadagnato loro il sostegno della piccola comunità locale è stata la promessa di tenerlo aperto tutto l’anno, come un servizio ai cittadini delle borgate.
“In negozio teniamo prodotti di base per le esigenze quotidiane dei residenti e poi i prodotti richiesti dai turisti; tutto quello che possiamo lo prendiamo dai piccoli produttori locali o a cui riconosciamo comunque un valore (il vino di Valli Unite, per esempio) e i prezzi cerchiamo di tenerli contenuti, in particolar modo per i beni di uso comune dei locali. Siamo a 1600 metri, dobbiamo fare cinquanta chilometri ad andare e altrettanti a tornare e che nessun fornitore ci porta niente. La cosa bellissima è che si è creata anche tutta una rete che ci sostiene: la postina ci porta su il pane tre volte alla settimana, Marta lascia i caprini di Lo Puy alla farmacista, il messo comunale ci porta su quel che può…”.
“Un’altra cosa che uccide l’impresa in montagna sono le difficoltà burocratiche, che rendono la scelta di avviare un’attività agricola molto più onerose. Se uno oggi vuole aprire un’aziendina di 50 capre e non ha 500mila euro a disposizione da spendere come co-finanziamento nella ricerca di fondi europei, perché ne serve almeno il doppio, rischia di andare incontro a un indebitamento molto difficile da reggere”.
La Val Maira oggi conta 1.472 residenti distribuiti in nove comuni. Cent’anni fa erano 14.531. La sensazione di spopolamento, per chi ci ha vissuto a lungo, è forte. Eppure in questo periodo di crisi non sono pochi a credere che la valle conoscerà presto una nuova fase. Se le istituzioni avranno la capacità di sostenere l’insediamento di cittadini e imprese, lo spazio per l’avvio di attività primarie è grande. Ne è convinta Monica: “Qui potrebbe esserci spazio per altra gente. Vista la crisi che c’è, secondo me tanta gente tornerà. Se si crea un’alleanza fra chi consuma il prodotto e chi lo vende, c’è possibilità”. —
Azioni in comune per valorizzare le risorse
Maira spa è la società a maggioranza pubblica fondata dalla Comunità montana Valle Maira per utilizzare e valorizzare, secondo criteri di sostenibilità ambientale, le risorse naturali presenti sul proprio territorio -l’acqua in particolare- e con questa generare benefici economici da restituire attraverso servizi, iniziative, opere alle persone che abitano, lavorano, studiano, vivono in Valle Maira. Maira spa ha realizzato e gestisce un‘impianto idroelettrico nel comune di Acceglio e ne sta ultimando altri due. www.mairaspa.it
Insieme per coltivare il sole
Costituire gruppi di cittadini che finanziano collettivamente (attraverso il versamento di 300-500 euro o multipli) la costruzione di un impianto fotovoltaico presso un’azienda agricola o agrituristica e ricevono la restituzione del capitale e gli interessi sotto forma di prodotti dell’azienda (formaggi caprini o soggiorni presso l’agriturismo): questa l’idea del progetto “Coltiviamo il sole” dell’associazione Solare Collettivo onlus, che ha scelto proprio l’azienda agricola Lo Puy di San Damiano Macra come primo test “pratico” del progetto. www.solarecollettivo.it
Sul nostro canale youtube, il video reportage dalla Val Maira “Sem encar ici (siamo ancora qui)”