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La lotta della Chiesa sudafricana accanto ai minatori per chiedere giustizia

L'ingresso di una miniera di carbone in Sudafrica © Jan Truter

La Conferenza episcopale dell’Africa del Sud sostiene la class action contro tre colossi minerari promossa da 17 ex minatori che hanno contratto gravi malattie polmonari. Una battaglia che affonda le sue radici nel regime di apartheid. Intervista all’arcivescovo Stephen Brislin, appena nominato cardinale da papa Francesco

Maiwana Jan Nkosi ha lavorato per 35 anni -dal 1981 al 2016- nella miniera di carbone di Matala, in Sudafrica. Oggi, a 65 anni, soffre di un dolore costante al petto: “Di notte devo dormire in una posizione particolare per alleviarlo. La tosse e il respiro affannoso a volte mi svegliano di notte. Se cammino velocemente mi sento come se il petto fosse bloccato e mi devo fermare per riposarmi. Spesso mi manca il respiro”. Da quando ha lasciato il lavoro, l’uomo non è più stato in grado di trovare un’altra occupazione perché non è in grado di fare nessuno sforzo fisico. Nel 2020 gli è stata diagnosticata una malattia polmonare (coal mine dust lung disease) causa dai lunghi anni trascorsi in miniera durante i quali ha respirato la polvere di carbone senza adeguata protezione

Nkosi è uno dei 17 ricorrenti che lo scorso 15 agosto ha presentato -attraverso lo studio legale Richard Spoor- una class action davanti all’Alta corte di Johannesburg contro tre società minerarie attive nel Paese: il colosso australiano Bhp, la sua controllata South32 e la sudafricana Seriti Power. L’obiettivo è ottenere risarcimenti per le persone che, a partire dal 1965, hanno lavorato nelle miniere di carbone delle tre aziende e che si sono ammalate, oltre che per le famiglie di quanti sono morti a causa della pneumoconiosi e della broncopneumopatia cronica ostruttiva.

Si tratta di patologie croniche e non curabili, ma prevenibili. Secondo i ricorrenti, le società erano consapevoli dei rischi a cui andavano incontro i lavoratori, tuttavia non hanno fornito loro né una formazione adeguata, né dispositivi di protezione o un ambiente di lavoro sicuro. “Sappiamo che la strada da percorrere è lunga e difficile. Anche se il risarcimento non restituirà la salute ai minatori, vogliamo ottenere giustizia”, ha commentato l’avvocato Richard Spoor, che in passato ha rappresentato in tribunale altri lavoratori del comparto minerario, ottenendo importanti sentenze e significativi risarcimenti dalla società sudafricana Gencor e dalla svizzera Eternit.

A sostenere i minatori in questa battaglia c’è poi un alleato molto particolare: la Conferenza episcopale dell’Africa del Sud. “I lavoratori delle ex miniere non sono più iscritti ai sindacati: non avendo voce non possono chiedere giustizia per le malattie che hanno contratto durante gli anni di lavoro -spiega ad Altreconomia Stephen Brislin, arcivescovo di Città del Capo nominato cardinale da papa Francesco il 30 settembre 2023-. Tra il 2014 e il 2015 alcuni di loro si sono rivolti alle istituzioni ecclesiastiche chiedendo assistenza nella ricerca di giustizia contro le potenti compagnie minerarie”.

Secondo l’arcivescovo, il motivo per cui questi lavoratori hanno scelto di chiedere aiuto alla Conferenza episcopale sta nel prestigio e nella solida credibilità che la Chiesa cattolica ha maturato schierandosi a fianco delle fasce più deboli della popolazione: durante gli anni di massima diffusione dell’Hiv-Aids, ad esempio, ha avviato un massiccio programma di assistenza a domicilio per i malati e gestito cliniche per garantire l’accesso ai farmaci. “Fin dai primi anni dall’introduzione dell’apartheid i vescovi condannarono questa forma di discriminazione -ricorda ancora Brislin-. La Chiesa ha fatto parte del Fronte democratico unito fin dalla sua costituzione, negli anni Ottanta. A livello locale, inoltre, ha sempre aperto le sue porte agli attivisti non potevano riunirsi altrove. Diversi sacerdoti, per non parlare dei semplici laici, furono detenuti, arrestati e in alcuni casi imprigionati senza processo. La gente sentiva che eravamo dalla parte della giustizia e che cercavamo davvero di costruire un Sudafrica migliore”.

Per quanto riguarda l’azione legale contro le aziende proprietarie delle miniere di carbone, oltre a fornire sostegno materiale agli ex lavoratori malati e alle loro famiglie (ad esempio con la distribuzione di pacchi alimentari), la Chiesa ha sostenuto i ricorrenti durante la fase di accertamento delle patologie e nella ricerca di uno studio legale che fosse disponibile a rappresentarli. “I lavoratori che hanno intentato la causa sono 17 -spiega Brislin- ma trattandosi di una class action l’impatto sarà più ampio: se l’esito sarà positivo stimiamo che circa ottomila lavoratori potranno ottenere un risarcimento. Purtroppo molti sono morti, quindi il ricorso non rappresenta solo i lavoratori ma anche le persone a loro carico e le famiglie”.

“Gli ex lavoratori coinvolti hanno speso gran parte della loro vita sotto terra, per estrarre le ricchezze che hanno contribuito alla crescita e al rafforzamento dell’economia sudafricana”, aggiunge Stan Muyebe, direttore della Commissione giustizia e pace della Conferenza episcopale dell’Africa del Sud. Oggi questi uomini hanno più di sessant’anni, diversi sono in pensione da almeno un decennio ma non possono godersi il meritato riposo: la loro salute è compromessa e -a differenza dei proprietari delle miniere che si sono arricchiti- non hanno abbastanza risorse per potersi curare.

Questa class action affonda le proprie radici negli anni dell’apartheid: il regime di segregazione della popolazione nera introdotto per legge nel 1948 e terminato con le prime elezioni democratiche nel 1994. “L’azione legale coinvolge, per la maggior parte persone che hanno lavorato nelle miniere in quel periodo, durante il quale era la norma estrarre il carbone in condizioni di scarsa ventilazione, senza monitoraggio della salute e senza dispositivi di protezione adeguati -spiega ad Altreconomia Stan Muyebe-. Il settore minerario ha lasciato una triste eredità di migliaia e migliaia di ex lavoratori che soffrono di malattie polmonari”.

L’industria estrattiva ha svolto un ruolo fondamentale per la crescita economica del Sudafrica e viene spesso celebrata come una “storia di successo”. Che però è stato ottenuto a scapito della tutela della salute dei lavoratori mentre la ricchezza prodotta è finita nelle mani di pochi: “Per usare il linguaggio dei diritti umani, possiamo dire che l’industria mineraria dell’epoca dell’apartheid ha avuto molti impatti negativi sui diritti umani dei lavoratori -continua Muyebe-. Per decenni, le miniere si sono sforzate di esternalizzare questi impatti sui diritti umani e di trasferire allo Stato il compito di porvi rimedio. È giunto il momento di invertire questa esternalizzazione e di ampliare la responsabilità delle imprese nell’affrontare i danni ai diritti umani legati all’eredità delle miniere dell’epoca dell’apartheid”.

Per la Chiesa cattolica sudafricana l’esistenza di migliaia di lavoratori che soffrono di gravi malattie polmonari non è solo una questione di salute pubblica o una questione legale. Ma è piuttosto il sintomo dell’erosione dei valori -dignità, compassione, equa divisione delle ricchezze- su cui deve basarsi una società. “Penso che la questione sia molto più ampia rispetto alla vicenda di questi 17 ricorrenti -conclude l’arcivescovo-. Si tratta di mettere al centro la sicurezza sul posto di lavoro. E di smettere di considerare i lavoratori come semplici strumenti o manodopera, ma come persone che devono essere protette: spetta alle aziende la responsabilità di guardare al loro benessere”.

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