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La libreria Odradek e quel pezzo dell’identità radicale di Roma che scompare

La chiusura di una storica libreria indipendente è un segno della trasformazione quasi irreversibile dei centri storici, divenuti parchi a tema per turisti. È il caso della Odradek di via dei Banchi Vecchi a Roma, che interrompe la sua attività dopo 25 anni. Ma la sua storia fa parte di un tragitto culturale più lungo che merita di essere raccontato

© Facebook di Odradek

La chiusura della libreria Odradek a via dei Banchi Vecchi, nel centro storico di Roma, fissata dai suoi proprietari Davide Vender e Katia Sardo il 6 gennaio del 2023, arriva dopo 25 anni di attività, ma riguarda un pezzo di storia più lungo. La notizia dell’insostenibilità economica, e quindi del fallimento dal punto di vista commerciale, dell’ennesima libreria cosiddetta indipendente (cioè individuale, non appartenente a un grande gruppo, quindi iniziativa di un privato), ha avuto una grande eco nella “bolla culturale” cittadina, sui social media e i giornali, e ha fornito il pretesto per fare analisi su come stiano cambiando le nostre città, e ricordare lo svuotamento di persone che vivono nei centri storici, diventati ormai dei non luoghi, attraversati dal turismo di massa, che ha la caratteristica di essere rapido e consumistico.

Se non ci sono più persone che vivono i centri città, non ci saranno più lettori che acquistano libri. Più concretamente l’inflazione, condizioni commerciali insostenibili (che avvantaggiano solo i distributori a scapito di librai ed editori, che hanno ormai ricavi minimi dal prezzo di copertina), hanno costretto i proprietari di Odradek ad arrendersi. Non sono bastati, come hanno spiegato in un lungo post su Facebook, i bonus e ristori nazionali e regionali a sostegno delle piccole imprese.

Con il rischio di sembrare un reduce, per me la chiusura della libreria Odradek è un tuffo al cuore. Ho avuto la fortuna di frequentare il centro di Roma e in particolare il rione Parione da adolescente, perché frequentavo il Liceo Virgilio di via Giulia, e di vivere quotidianamente uno dei quartieri con la più alta concentrazione di librerie: Fahrenheit a Campo de’ Fiori e Altroquando al Governo Vecchio sono ancora lì, ma c’era la libreria Croce a Corso Vittorio, con la scalinata in legno per andare al secondo piano (ora un negozio di streetwear), c’erano ben due librerie su Corso Rinascimento, aveva aperto il primo Punto Einaudi di Roma accanto alla mia scuola, esisteva la libreria del Viaggiatore al vicolo del Pellegrino specializzata in guide e libri fotografici e tante altre che ricordo male e forse non ricordo. Molte erano di libri usati, strette e buie con l’intensa puzza di muffa della carta e l’odore di fiume del Tevere a pochi metri più in basso.

Leggendo il libro di Sandro Ferri, “L’editore presuntuoso” (edizioni e/o, 2022), si scopre che prima di fondare la casa editrice e/o aveva aperto una sua libreria in un vicolo dietro piazza Navona. Del resto, le prime moderne case editrici dell’Ottocento erano originariamente delle librerie e i caratteri moderni sono nati in piccole tipografie veneziane che non dovevano essere tanto diverse dalle librerie: il libro è un supporto tecnologico molto duraturo che ha in media le stesse caratteristiche e misure da 500 anni. Anche Odradek era nata come libreria/casa editrice.

Non c’è romanticismo in questo ricordo: è naturale che nelle città i negozi di quartiere si concentrino in alcune zone, per facilitare la logistica, tanto è vero che una città come Istanbul sembra un bazar a cielo aperto, sotto la Torre di Galata ci sono solo negozi di strumenti musicali, ad esempio. A Parigi, il Comune sostiene da sempre le librerie itineranti sulla Senna, le bouquinistes, anche per opportunismo turistico: per conservare l’immagine di una città che sparirebbe col tempo, a beneficio delle foto di chi visita il centro città per poche ore. L’eredità libraria del rione Parione si vede nella resistenza della Feltrinelli a Largo Argentina, una delle ultime di catena rimaste in città dopo la chiusura di quella alla Galleria Alberto Sordi, e nell’apertura di Spazio Sette, l’ultima nuova libreria indipendente aperta nel vicolo dei Barbieri. O ancora in luoghi più istituzionali come la libreria Stendhal a San Luigi dei francesi e la Casa delle letteratura all’Orologio. Fino a venti anni fa, insomma, esistevano più di una quindicina di librerie.

Tuttavia una caratteristica di questo rione, che si rispecchiava nella sua offerta culturale alternativa, era il suo carattere ribelle e irriverente. Le origini sono antiche, come il Pasquino, la statua di origine romana alla quale, dall’epoca dello Stato Pontificio fino a oggi, un anonimo appende di notte dei sonetti satirici e irriverenti contro il potere. Il Pasquino ebbe un grande ruolo nella vicenda dei due carbonari, Montanari e Targhini, giustiziati nell’Ottocento, vicenda raccontata da Luigi Magni nel film “Nell’anno del Signore” del 1969. Oppure il murale dell’asino che vola in via Tor di Nona, che ricorda -credo- una delle prime occupazioni abitative della capitale.

La libreria Odradek (il nome era ispirato a un essere inventato da Kafka nel racconto “Il cruccio del padre di famiglia”) era, in questo senso, tra le più alternative del quartiere, aveva un reparto di libri usati con tutti i testi del movimento, aveva pubblicato la controinchiesta su Piazza Fontana (con la foto di Valpreda a pugno chiuso in copertina) e ospitava i cataloghi delle edizioni di controinformazione e trasgressive come Kaos e Malatempora. Per noi, che frequentavamo il liceo Virgilio poco distante, quella cultura underground, un po’ cialtrona, era affascinante, come il circolo culturale che Angelo Quattrocchi, animatore di Malatempora, ospitava tutti i giovedì a casa sua a Trastevere, non lontano.

Per me e i miei compagni quel luogo ha rappresentato, dopotutto, la scoperta della lettura e di una cultura impegnata. Entravamo in contatto con il retaggio della sinistra extra-parlamentare: gruppettari, cani sciolti, situazionisti ed ex di Autonomia operaia, di Lotta continua, e del gruppo il manifesto.

Odradek non era spuntata dal nulla, visto che nel 1998 aveva preso il posto della libreria Italia-Urss. Inoltre entrando, prima di avventurarsi nel corridoio che si apriva su una saletta, all’ingresso i libri erano esposti su grossi moduli di legno più volte verniciati: quei moduli erano appartenuti a un’altra libreria dal nome Uscita che era nata nel 1969 proprio a via dei Banchi Vecchi, ma a un civico diverso. La storia della libreria Uscita è stata raccontata nel libro “La cultura brucia. Anna e la libreria uscita nella Roma degli anni ’70” curato da Giovanni Feliciani, Catia Gabrielli (di Fahrenheit 451) e Gianni Peg, pubblicato da Bibliosofica nel 2010, ma mi è stata raccontata anche dai miei genitori che la frequentavano da quando erano venuti a studiare a Roma a metà degli anni Settanta. Era una libreria per la quale passavano moltissimi studenti e intellettuali, compresi Nanni Balestrini e il Gruppo 63.

Una coincidenza che mi ha sempre colpito è che Anna Gaggio, la libraria di Uscita morta prematuramente, era la sorella di Adelaide Cristina Gaggio -nota come Haidi Giuliani-, cioè la zia di Carlo Giuliani ucciso dai carabinieri durante il G8 di Genova del 2001. Una coincidenza che fa riflettere su come più generazioni si siano succedute in quei luoghi e grazie a quei luoghi stessi.

In questo senso la chiusura di Odradek rientra in una storia più grande: non riguarda solo una piccola attività commerciale e culturale che chiude, ma è un pezzo dell’identità radicale e progressista Roma che scompare.

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