Diritti / Opinioni
La Grecia, la Turchia e i rifugiati: il gorgo nel quale siamo scesi
La dissoluzione dell’Europa passa anche per il piano criminale condiviso con Ankara nel 2016. Dobbiamo ricordarlo. La rubrica di Gianfranco Schiavone dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione
Sono passati poco più di quattro anni, era il 18 marzo 2016, da quando fu diffusa la “dichiarazione” tra l’Unione europea e la Turchia in base alla quale “tutti i nuovi migranti irregolari che hanno compiuto la traversata dalla Turchia alle isole greche a decorrere dal 20 marzo 2016 saranno rimpatriati in Turchia”, con la pietosa aggiunta che ciò sarebbe avvenuto “nel pieno rispetto del diritto dell’Ue e internazionale, escludendo pertanto qualsiasi forma di espulsione collettiva”.
La giustificazione politica di una misura in così radicale contrasto con il diritto europeo sull’asilo fu la stessa che stancamente viene riproposta un po’ in tutte le occasioni, ovvero la necessità di salvaguardare vite umane e contrastare il traffico criminale di esseri umani. Infatti si dichiarò che “una volta terminati, o per lo meno drasticamente e sostenibilmente ridotti, gli attraversamenti irregolari fra la Turchia e l’Ue, verrà attivato un programma volontario di ammissione umanitaria. Gli Stati membri dell’Unione europea contribuiranno al programma su base volontaria”.
La dichiarazione Ue-Turchia fu presentata come un accordo siglato tra l’Unione e uno Stato terzo, ma fu in realtà solo volgare propaganda perché, come sancì la Corte di giustizia dell’Unione nel febbraio 2017 (causa T-257/16 sollevata di fronte alla Corte da NS residente nell’isola di Lesbo) nel dichiararsi incompetente a valutare sulle violazioni (altrimenti eclatanti) del diritto dell’Unione, il controverso accordo europeo non è mai esistito perché non fu fatto dall’Unione ma dagli Stati membri. Non ho qui spazio ulteriore per argomentare sul punto ma ritengo che quanto avvenuto nel marzo 2016 sia stato uno degli eventi più sconcertanti della contemporanea storia europea che, ben lungi dal salvare la Ue dall’“invasione” dei rifugiati e dalla nascita dei sovranismi, abbia invece dato impulso proprio a quel processo di dissoluzione dell’Europa a cui stiamo assistendo.
I fatti che seguirono sono chiari: non c’è stato alcun piano di reinsediamento dei rifugiati dalla Turchia verso l’Europa mentre nel frattempo il numero dei rifugiati in Turchia, per la stragrande maggioranza siriani, è arrivato alla sbalorditiva cifra di tre milioni e ottocentomila persone. In parallelo si è ottenuto il vero e unico obiettivo ovvero il crollo degli arrivi in Grecia dalla Turchia: solo 161.431 persone nel triennio 2017-2019, secondo i dati UNHCR. Nonostante vi sia una pressione significativa sulla Grecia, gli arrivi di questi ultimi quattro anni non consentono dunque di parlare di una situazione di “emergenza”. Il sistema concentrazionario realizzato in quelle stesse isole greche nelle quali più due millenni fa iniziò la nostra storia come Europa non è pertanto un’inevitabile e triste necessità bensì è un piano criminale di deterrenza verso l’arrivo dei rifugiati. È il gorgo nel quale tutti siamo scesi.
Va certamente invocato oggi quanto rimane, ed è veramente poco, del diritto europeo, nel garantire l’accesso al diritto d’asilo e la fine delle violenze contro i migranti, così come va realizzato un programma europeo di redistribuzione dei rifugiati dalla Grecia verso tutti gli Stati dell’Unione, come previsto dall’inattuato articolo 78 paragrafo 3 del Trattato Ue. Prima ancora di ciò però dobbiamo riflettere su quanto vi è di abietto e insieme di autolesionistico in ciò che abbiamo fatto: reinsediare, in quattro anni, dal 2016 al 2019, almeno la metà dei rifugiati bloccati in Turchia (quindi circa un milione e mezzo di persone, circa quattrocentomila all’anno) con quote vincolanti per ogni Paese dell’Unione, sarebbe stata non un’immaginifica azione umanitaria per anime belle ma una realistica operazione di fredda realpolitik dalla quale, oltre alla salvaguardia della legalità, avremmo tratto persino benefici economici e sociali. E avremmo evitato il cupo scenario senza uscita di fronte al quale l’Europa si trova oggi, impotente e senza dignità di fronte al Sultano.
Gianfranco Schiavone è studioso di migrazioni nonché vice-presidente dell’Asgi e presidente del Consorzio italiano di solidarietà-Ufficio rifugiati onlus di Trieste
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